Di
sicuro si amavano
di Giorgio Maimone
Di
sicuro si amavano. Di più non saprei dirvi. E forse nemmeno
loro. Lo avevano capito da poco, da pochissimo. E continuavano
a ripeterselo per non dimenticarselo.
“Ora lo so. Ne sono sicuro. Questo è amore!”
“Come lo riconosci?”
“Proprio dal fatto che non lo riconosco. Se lo riconoscessi
sarebbe qualcosa già vissuto. Ma so che è nuovo.
E per ora unico. E se non è amore gli troverò un
nuovo nome che suoni buffo, caldo e accogliente”
“Che ne dici di cioccolato?”
“Pensavo più al caffè … Ma cioccolato
non va male”
Telefonate da lontano ricche di niente, di qualche scherzo, di
un sorriso, di minuti comunque rubacchiati, ai lavori, agli amici,
alle famiglie. Telefonate di chi vive spesso lontano. Ma senza
drammi. Nulla vieta di vedersi. Non ci sono impedimenti di età,
sesso, casta, religione, stato civile. Adulti e consenzienti.
Ma, momentaneamente lontani. E nella lontananza (come diceva Modugno?)
gli amori grandi sembrano grandi, ma si spengono i fuochi piccoli.
Fuoco? Era più che altro una pira che bruciava e che li
consumava. Nel corpo di persona, nell’animo da remoto.
“Che
fai stasera?”
“Sono fuori con degli amici. Sai, quelli del cavallo …”
“Un cavallo non ha amici! Lo sanno tutti che è un
solitario”
“Quello è il verme. Oppure si fa con le carte.”
“Si, con le cartine, ma dentro, il cavallo, ci mette tanta
erba buona!”
“Gli amici del circolo di equitazione. Va meglio così?”
“Meglio. Se mi dai anche i loro nomi poi passa ad ammazzarli
tutti, così si pentiranno di avere fatto sogni sconci su
di te!”
“Piantala di fare il buffone!”
“Vabbé, a domani allora?”
“Certo. Ti chiamo domattina”
E la notte scendeva sulle esauste linee telefoniche del sud della
Francia. E la stessa notte, ma proprio la stessa, scendeva anche
sugli stremati pali del telegrafo della Liguria di levante. Solo
al mattino dopo la situazione non sarebbe più stata la
stessa. Avete mai notato che se non esistessero i “ma”
l’intera storia della letteratura sarebbe molto più
corta? Il “ma” è l’incipit della svolta;
è come se l’autore dicesse: “fin qui abbiamo
scherzato, schermaglie preparatorie, ora si entra nella storia
vera”. E così ci prepariamo anche noi al nostro “ma”.
Loro si amavano,era sicuro “ma” (eccolo qua!) la mattina
dopo non ci fu verso di mettersi in contatto. I telefoni suonavano,
i piccioni viaggiatori partivano, i postini pedalavano, i telegrafi
ticchettavano, ma tutti invano. Non c’era segno di lei.
E non era abituale. E, soprattutto, non era abituato.
Il silenzio è una lavagna nera su cui si possono scrivere
i peggiori incubi. Soprattutto quando ti accorgi che il gesso
che tieni in mano in realtà è carbone. E per giunta
quello della calza della befana! Incubi neri con retrogusto dolce.
Il retrogusto dolce era quanto restava del sogno d’amore
del giorno prima.
Ma stiamo calmi e proviamo a ricapitolare. Si amavano, lo abbiamo
già detto. Lui amava lei e lei amava lui. Niente avrebbe
potuto scalfire queste certezze…
Niente?
Forse proprio niente no. Tant’è che ora vacillavano.
E solo perché un maledetto telefonino non mandava segnale
di risposta. Ma cosa poteva essere successo? Lasciamo la parola
a lui. Io mi eclisso. La situazione, dopo un “ma”,
rischia sempre di farsi troppo calda da gestire.
“Quando
una non risponde un motivo ci deve pur essere! Vediamo di analizzare
con calma: impegni di lavoro? Chiamo dalle 7! Uno non può
iniziare a lavorare prima delle sette. Non mi vuole rispondere.
E perché? Ci siamo parlati ieri sera. Le è successo
qualcosa? Ma cosa? Non ci sono notizie di incidenti. Oddio, può
essere uno di quelli di cui nessuno parla. Chessò …
hanno bevuto troppo ieri sera e tornando, su una stradina di compagna
… pam! Questo potrebbe essere. Sennò … sennò
non PUO’ rispondere perché NON E’ SOLA! E di
sicuro non è in compagnia della mamma! La stessa scena
di prima: hanno bevuto un po’, lungo una stradina di campagna
e… pam! Ma non era un cozzo! Cambio di vocale la chiamano
sulla settimana enigmistica. E di colpo mi sento prudere la fronte.
Ma non è umanamente possibile! E poi perché? Perché
… domanda idiota … perché prima o poi capita.
E si vede che a noi è capitata ora! Ma perché non
risponde? Cinque ore col telefono staccato sono un’enormità.
Altro che anima in libertà. La verità è che
non siamo più abituati al silenzio. Il telefonino entra,
spia, indaga, cerca di capire, di leggere tra le onde. E’
un occhio puntato dalle stelle verso terra. Un brutto occhio.
Se almeno non avessi questa possibilità! Adesso sarei tranquillo.
Lei non ci sarebbe ugualmente, ma rientrerebbe nella normalità.
Così no. Così un buco di 5 ore diventa una voragine
orribile dove fare precipitare tutti i nostri sogni”.
…
Sette ore. Sono sette ore di silenzio. Hanno avuto tutto il tempo
per copulare il copulabile, per stancarsi, smettere e riprendere.
E poi persino per pranzare assieme! Adesso basta! Un minimo di decenza.
Possibile che non le interessi più niente di me? Eppure noi
ci amiamo … ci amavamo? Era l’unica cosa sicura …
…
“Pronto, pronto!”
“Ciao”
“Come ciao?”
“Allora addio?”
“E’ già più appropriato!”
“Che è successo? Ti ha morso un serpente?”
“Che mi è successo? Mah …. Mah …. Non trovo
nemmeno le parole! La sentite? Ricompare dopo un’eternità
e mi chiede se mi ha morso un serpente! E’ un peccato che
non abbia morso te!”
“Ti trovo veramente acido! E sgradevole. Se vuoi ti richiamo
quando ti sarai calmato”
“Hai tempo? No, dico … Hai molto tempo? Ci vorranno
una ventina d’anni circa. Non ti sembra davvero il caso di
dare una spiegazione?”
“Non finché tieni questo tono sopra le righe!”
“Ok, lo porto sotto il rigo”
“Adesso fingi”
“No! Cerco di essere calmo quanto tu cercherai di essere convincente.
E’ possibile trovare una mediazione così?”
“Scusa, ma avevo mal di testa. E non mi andava di essere disturbata
mentre guidavo. Così ho spento”
“Cosa?”
“Ieri sera abbiamo bevuto troppo, poi all’uscita, su
una stradina di campagna … Pam!”
“Pam!!!”
“Si… Pam! Perché”
“In che senso PAM?”
“PAM! Mi è scoppiato un mal di testa folgorante. Sono
anche un po’ preoccupata. Poi sono arrivata a casa, sono andata
a lavorare e ho lavorato fino a poco fa. Poi ho pranzato e lì
mi sono accorta che avevo ancora il cellulare spento”.
“Ah! Tutto qui?”
“Tutto”
“Non che quel PAM sia stato un altro tipo di PAM? E poi tu
che non ricevi telefonate per quasi tutta una giornata e non ti
turbi? Nemmeno di lavoro? Niente di niente? Come è possibile?”
“E non lo so come è possibile, ma è andata così”
“E se non ci credessi?”
“E perché non dovresti crederci?”
”Ammetterai che non è realistico”
“Non lo so. E’ andata così, punto. E adesso devo
andare”
“Che fai, spegni ancora?”
“No, riattacco! Ciao”.
Ha
riattaccato! La stronza! E neanche a dire che si senta in colpa.
Al massimo l’avrà trovata in “polpa”
lui! Già ma lui chi? Non ho neanche idea di con chi sia
uscita. L’amico del cavallo … e chi è? L’alfiere?
Non che abbia importanza. Quella che importa è lei. Ma
è possibile? Mah …
….
“Pronto”
“Sei ancora arrabbiato?”
“No. Sono furioso!”
“Allora s-furiati che non c’è nessun motivo”
“Va bene, ma allora spiegami. Cosa è successo?”
“Niente, solo il mal di testa”
“E dagli ma prenditi una pillola!”
“L’ho presa”
“Un momento! Quale pillola?”
“Tutte e due. Quella per il mal di testa e l’altra”
“Allora c’era rischio di restare incinta?”
“Idiota! Quella la piglio per stare con te!”
“Eh già, dicono tutte così!”
“Tutte chi? Ma con quante stai?”
“Adesso non incominciamo che stiamo parlando di te!”
“Ma forse diventa più interessante parlare di te”
“Stai girando la frittata”
“Ma da grande cuoca! Sei tu che la giri facendola cadere”
“Insomma, adesso basta! O mi dici cosa è successo ….”
“o …?”
“O me lo dici e basta”
“Mmmm l’ometto mostra i muscoli?”
“Non è questione: cosa è successo? Sette-otto
ore di silenzio sono un’enormità da parte tua”
“Doveva pure esserci una prima volta”
“Questo vuol dire che …?”
“Vuol dire solo che ci sono state sette ore di silenzio”
“Otto”
“Otto, va bene”
“Va
bene, anzi va male, Claudia. Ma ti rendi conto che non ci stiamo
capendo per niente? Tu non vuoi capire che io sono stato in ansia
per te e non vuoi dirmi nulla di più e io … io non
so cosa pensare di te”
“Hai ragione. Adesso arrivo e ne parliamo”
“No, aspett … Ha riattaccato! Ma ci ha il vizio? Non
conosce il diritto di replica … la par condicio.Viene qui?
Come “viene qui”?Ma è già sera! Le conviene?
Non potevamo parlarne per telefono. Che si faceva anche prima. E
poi domani sarò lì anch’io. Tra un po’
la richiamo. Però mi fa piacere che venga. Di persona è
diverso. Anche le peggiori ipotesi viste dal vivo, faccia a faccia
possono sfumare. La aspetto. Tra due ore sarà qui. E’
anche una bella serata. Possiamo uscire a bere qualcosa. No, vado
a prendere una bottiglia di vino bianco, un Pigato, e la metto in
fresco. Poi ce la beviamo qui sul terrazzo. Il mare, la luna, un
po’ di vino … in fin dei conti potrebbe finire meglio
di come è iniziata questa giornata”.
….
Sono
ormai le cinque di mattina. Il bianco dell’ospedale Galliera
è allucinante. Il nero che ho dentro va in conflitto. E’
strano quanto non mi senta. Non mi sento stanco, non mi sento
male, non mi sento bene, non sento neanche quanto dicono intorno.
Coma? Incidente? Ci vorrebbe un miracolo? Di cosa parlano? Il
miracolo non c’è stato. Non ci sono mai i miracoli.
Quando non c’è vita si muore. Ogni tanto si muore
comunque. E si continua a camminare. Come quel pollo di cui mi
raccontava mio nonno. Con la testa mozzata correva qua e là
per il cortile spargendo sangue ovunque. Così sono io.
Un pollo dalla testa mozzata. Posso ancora camminare. Ma sono
sicuro che getterò il mio sangue attorno. Che ci posso
fare? Sono amputato. Non si vede. Sono amputato dentro. Di Claudia.
Non è mai arrivata da me. La terrazza è rimasta
vuota. Il vino in frigo. I discorsi in bocca. Ora non saranno
più sette ore di silenzio. Sarà silenzio e basta.
Esco dall’ospedale, prendo un taxi fino a Caricamento, risalgo
per via Soziglia e mi inoltro fino a Vico Neve, nel cuore della
mia città che muore. Mi butto senza neanche accorgermene
dentro da Manetta, l’unico posto che conosca aperto tutta
la notte. Qualche tavolo più in là gira una chitarra
e si canta. Ma cerco il buio e un tavolino d’angolo. Una
bottiglia di vino rosso e un tagliere di salame. Mi giro spalle
alla porta. E così non mi accorgo di lei finché
non si siede al mio fianco.
“Ti
vedo stupito”
Lo sono. La donna è di una bellezza clamorosa. Prima di
riuscire ad articolare una parola sono costretto a farle il perimetro
con gli occhi. Ci impiego parecchio tempo. Tanto da darle modo
di parlare ancora.
“Non sai chi io sia, vero?”
“Uh uh” – Il mio lessico normalmente è
più brillante di così, ma provate voi a mettervi
nei panni di uno a cui muore la ragazza e un secondo dopo essere
sceso all’inferno si trova seduto a parlare con un angelo.
Nero. Perché la ragazza è tutta nera.. Nei lunghi
capelli lisci ala-di-corvo, nella giacca di pelle, nei jeans fatti-a-pelle,
nella maglietta che sorride. Nera come una Juliette Greco cinquant’anni
fuori tempo massimo. Tanto erano chiari i colori di Claudia, tanto
questi sono scuri. Persino gli occhi. Carbone che arde. Rossi?
Mannò, neri! Prima che arda!
“Non preoccuparti. Non è importante. Non sono importante.
… Però potresti almeno offrirmi da bere!”
Mi alzo travolgendo un paio di sedie, mi precipito a prendere
un secondo bicchiere e verso sulla tavola un buon quantitativo
di Nero d’Avola, prima di riuscire a centrare il bicchiere.
Poi, sopraffatto mi accascio sulla sedia.
“E’ colpa tua”
Colpa? Forse non dovevo rovesciare il vino sulla tavola. Mi affanno
ad asciugarlo col tovagliolo di carta, presto zuppo.
“Non il vino. Parlo di Claudia”
Ah, questa poi! Come colpa mia? Ma . soprattutto … cosa
ne sa lei di Claudia? E di me? E chi è? Mentre penso che
sia ora di finirla di fare la figura dell’idiota e sia ora
di aprire bocca, mi cade il coltello. Mi chino per prenderlo e,
meraviglia, non vedo le sue gambe sotto il tavolo. Una mezza donna?
Mi alzo di scatto, picchio la testa, ma noto con sollievo che
non c’è più nemmeno la metà superiore.
Resta il bicchiere, ma vuoto. Così vuoto che mi chiedo
se sia mai stato usato. Mi avvicino a Manetta per pagare e andarmene.
“Dì … l’hai vista?”
“Chi?”
“La mora che si è seduta al mio tavolo”
“Stessi a guardare tutte le more non lavorerei più.
Notevole?”
Notevole? Era dir poco. Era da premio Nobel per la fisica! Non
replicai, pagai e me ne andai con lo stesso aplomb dell’uomo
del Vecchio frac di Modugno. Mi mancava solo la gardenia nell’occhiello.
Tornato in zona Acquario per recuperare l’auto la rivedo.
Mi aspetta. Non ci sono dubbi. Riconosco il culo … no, volevo
dire … riconosco che sotto il suo culo si sta evidentemente
eccitando il cofano della mia macchina.
Riesco appena a indicarmi come dire “cercavi me” che
mi guarda e mi sorride con la stessa nonchalanche con cui l’uragano
Ivan ha spazzato le coste della Florida. Annuisce e col dito mi
invita ad avvicinarmi. Poi fa cenno di lanciarle
le chiavi della macchina. Le afferra al volo. Apre col telecomando,
si muove languida scendendo dal cofano, mi guarda e dice ancora
in un sussurro che capisco solo io: “E’ stata colpa
tua”. Poi lascia scivolare le chiavi di fianco alla portiera
di sinistra. Le raccolgo e, come previsto, quando mi rialzo non
la trovo più. Salgo. Accendo l’autoradio. Musicaccia.
Metto Keith Jarrett, il concerto di Colonia, non tradisce mai.
Parto. Ho ancora tanta Aurelia da macinare e tante storie da raccontarmi.
La bellissima dama nera deve uscire dalla mia storia e dalla mia
mente. Asfalto viscido di prima mattina, ma non ha piovuto. Spruzzi
di mare, rugiada, pianto, sangue che scorre. E una mattina che
non riesce a farsi chiara. Tiro dritto a una curva e volo in mare.
Giuro, la dama nera era seduta a fianco a me e rideva. “E’
colpa tua – dice – Claudia era con me. Facevi meglio
a crederle”.
Arancia
si chiede, ma lei mente
o non mente?