1) Mi buttano su un letto di paglia in due
2) Di sicuro si amavano
3) E per sempre chiederai scusa
4) La tela
5) Analisi in tempo reale
6) Lo sento ancora denso quel boato
7) Quella sola notte del colonnello Tibbets
8) Senso di colpa
9) Uomini sul divano
10) Colpevole di libertà
 
 

 

 

 

"La colpa"

Senso di colpa
di Sandra Palombo

Ti ho visto dietro la piccola porta a vetri.
Il mio cuore è saltato. Non potevo crederci. Eri tornato.
Non mi vedesti però. Passai dietro le tue spalle curve e salii la scala dietro di te velocemente. Quando ridiscesi non c’eri più. Avrei voluto guardarti negli occhi, ma il senso di colpa, a distanza di anni, non è ancora svanito e ho preferito fuggire.
A quel tempo, non avevo capito, ma tu non puoi saperlo.

Ignoravo nel modo più assoluto che tu potessi provare simpatia per me, non mi sono mai considerata una donna attraente, anche se adesso, non più giovane come allora, osservo la gente in città e mi rendo conto che non sono da buttare in confronto a tante altre.

Curvo, la barba incolta, un cappello di lana fatto ai ferri, calcato sulla testa, uno zaino di stoffa a tracolla sulla spalla destra, arrivavi sotto il Palazzo.
Iniziavi il tuo comizio con parole senza senso, solo per chi si fermava all’apparenza, e rivolto alla finestra degli eletti, vomitavi accuse alla classe politica locale e nazionale.

Alcuni passanti ascoltavano meravigliandosi della tua intelligenza, altri non ti consideravano proprio, sapevano che eri un folle innocuo.
Dopo aver esposto, gesticolando, le tue ragioni entravi nell’edificio e raggiungevi la mia stanza per chiedermi con gentilezza estrema una sigaretta.
Ero giovane, inesperta, prevenuta verso i cosiddetti “matti”, avevo timore, pur essendo a conoscenza del percorso che ti aveva portato alla follia.
Eri un giovane in gamba intelligente impegnato, ma troppo sensibile. Quando morì un fratello o un amico, non ricordo bene, moristi anche tu perdendo il senno.

Ti diedi sigarette per giorni e giorni, poi come una scema senza cervello, senza pensare comprai un pacchetto e lo lasciai all’usciere pregandolo di offrirti una sigaretta quando spuntavi dalle scale.
Era trascorsa circa una settimana quando l’usciere mi chiamò e mi rese il pacchetto dicendo:
“ E’ venuto. Gli ho aperto il pacchetto, ma ha rifiutato la sigaretta.”

Da allora sparisti, la volevi da me ed io non avevo capito che venivi per me e non per una misera bionda. Quando sei tornato ho visto che ti dirigevi verso quella porta dietro la quale ho lavorato per anni, forse alla ricerca di un sorriso, di un po’ d’umanità, ma non mi hai trovato. Non lavoro più in quella stanza. Il tempo nel tuo mondo si è fermato, ma fuori, all’interno nel manicomio dove vivono gli uomini normali le situazioni si evolvono.