1) Mi buttano su un letto di paglia in due
2) Di sicuro si amavano
3) E per sempre chiederai scusa
4) La tela
5) Analisi in tempo reale
6) Lo sento ancora denso quel boato
7) Quella sola notte del colonnello Tibbets
8) Senso di colpa
9) Uomini sul divano
10) Colpevole di libertà
 
 

 

 

 

"La colpa"

Uomini sul divano
di Lisa

Era il 27 marzo e New York sbadigliava alle prime luci dell’alba sotto una pioggia sottile che odorava ancora di notte. Un’insegna lampeggiava la scritta “...izza…izza ”, pulsando come un cuore stanco, un’altra le rispondeva qualcosa in tailandese con una coreografica esplosione di colori. Sulla Fashion Avenue il traffico aumentava a poco a poco. Come cellule, le automobili sembravano sdoppiarsi moltiplicandosi, e presto avrebbero formato un compatto tessuto in movimento.

Lenny si risvegliò quando il suono di una sirena si amplificò nella sua testa, rimbalzando da un orecchio all’altro seguendo un tortuoso e interminabile percorso, e con la sensazione che qualcuno lo stesse fissando.
Aprì gli occhi lentamente, le palpebre gli sembrarono così pesanti da pensare che non avesse forza a sufficienza per affrontare quello sforzo.
Dove si trovava?

La testa gli roteava, un forte senso di nausea gli stringeva lo stomaco.
Tastò la stoffa ruvida su cui era disteso, mentre un disgustoso odore di orina e rifiuti gli riempiva le narici.
Si guardò intorno cercando qualcosa che gli fosse familiare, ma la mente gli rimandò la macabra immagine di Tom che sbucava lentamente da uno dei cassetti dell’obitorio.
Composto, rigido come una camicia appena stirata e inamidata.
“ Tom!” mormorò.
“ Tom, non è possibile!”

Quella notte, quello che era successo, era stato tutto un sogno? Ecco, qualche ora prima quella era una persona meravigliosa. Nella sua mente c’erano tutti i ricordi che aveva voluto conservare, con amore, perché gli anni non li cancellassero mai. Sì, gli anni che pensava di avere ancora davanti, e tutti i desideri, i sogni da realizzare, le gioie che forse sarebbero arrivate inaspettate, e anche le delusioni da sfidare e superare. Invece probabilmente erano bastati pochi minuti per liquidare tutto quanto. Sì, un soffio per cancellare tutto.
Tom era arrivato il mattino precedente. Tom, il caro vecchio Tom, quante ne avevano combinate insieme! Che gioia aveva provato a trovarselo davanti.

“Dai entra. Dio, che bello rivederti!” gli aveva detto.
“ Lenny, vecchio mio, sembri un figurino!”
“ Sempre con la voglia di scherzare tu!”
“ Ma no, non sto scherzando, ma guardati! Accidenti Lenny, sono contento di essere qui.”
“ Questa è casa tua, resta finché ti pare Tom”
Era trascorso un po’ di tempo da quando si era trasferito in città. Lui e Tom erano stati amici inseparabili dall’infanzia fino all’università. Appena laureato lui aveva deciso di fare il grande salto lasciando Payson e gli era andata bene. Il lavoro l’aveva trovato subito, anzi in poco tempo stava guadagnando molto bene.

Viveva in un loft luminoso e ampio ed era stato contento di accogliere il vecchio amico che gli aveva chiesto ospitalità per qualche giorno, “almeno fino a quando non avesse trovato qualcosa per proprio conto” gli aveva detto lui al telefono.
Se lo era trovato di fronte, e avrebbe voluto abbracciarlo forte come se finalmente avesse ritrovato un fratello. Lui era quello con cui aveva diviso tutti gli anni più belli, che solo ad averlo accanto lo riportava a casa. Sì, casa sua, dove c’era suo padre che usciva ogni mattina fischiettando quel vecchio motivo e sua madre che lo guardava andare via, e poi alzava gli occhi al cielo e sorrideva come per dire “ ancora quella sciocca canzone!” ma si capiva che adorava quello stupido vecchio. E c’era quel piccolo giardino sul retro dove aveva imparato ad andare in bicicletta, dove aveva dato il primo bacio, e poi era corso a raccontarlo a lui, a Tom.
“ Ehi! Tom, che fine ha fatto Karen, ma sì Karen, quella del liceo, non puoi averla dimenticata?” gli aveva chiesto inseguendo quel ricordo lontano.
“ Karen? Non so, mi sembra che sia andata nel Nebraska, che abbia sposato uno di là… sai un montanaro. Mah! Fra qualche anno avrà tre o quattro figli e venti chili in più!”

“Ehi, tu vuoi ascoltarmi?”
Una voce interruppe lo scorrere dei suoi pensieri facendolo sobbalzare, gli sembrò che quel suono provenisse dal basso, da un buco che comunicava direttamente con l’inferno.
“ Devo parlare con qualcuno, ti prego, ti prego devi ascoltarmi!”
Lenny era sveglio ormai, completamente cosciente.
“ Dio che puzza!” e lentamente si mise a sedere. Quel vecchio divano abbandonato fra i rifiuti, pensò, doveva essere servito a tutti i randagi del quartiere, animali e umani, a giudicare quanto fosse sudicio e malmesso.
“ Non volevo farlo, ti giuro, devi credermi. Per favore ascoltami!”
La voce ora aveva anche un corpo, e quel corpo gli era accanto, seduto su quel maleodorante divano in mezzo all’immondizia.
“Che vuoi? Sei ubriaco? Vai via, non ho niente, niente!” gli urlò Lenny mentre cercava di rialzarsi. Ma la testa continuava a girare, e non appena cercò di sollevarsi ricadde sul divano.
“Dio che sbronza!” disse tenendosi la testa fra le mani. Spinse con forza le dita sulle tempie come se volesse scacciare tutto quanto, ma Tom era lì, stampato nella sua mente, con quella smorfia stupita sulla faccia di chi non ha avuto troppo tempo a disposizione.
Neanche lui gliene aveva concesso. Dannazione l’aveva lasciato solo! Come poteva perdonarselo?

Avrebbe dovuto metterlo in guardia su quella città e rimanere con lui. Ma qui aveva imparato che si doveva essere squali per andare avanti, non bisognava mollare mai, e se avevi ottenuto qualcosa ne volevi di più, sempre di più.
Lui e Tom erano finalmente di nuovo insieme e lui l’aveva subito lasciato solo quando invece avrebbero potuto starsene a radunare tutte le piccole cose che si erano lasciati indietro, e avrebbero fumato e riso rumorosamente, e poi quando la notte avrebbe vestito con tutto il suo fascino ogni angolo della città gli avrebbe detto come rivolgendosi ad un bambino goloso “ dai usciamo, ti faccio dare il primo morso a questo meraviglioso frutto proibito! New York!”
“Mi dispiace, devo andare in ufficio. Tu comunque, sarai stanchissimo.” gli aveva detto.
“ Sì, in realtà sono distrutto.”
“ Lì c’è il divano. Sistema le tue cose , poi riposati un po’. Ti lascio le chiavi semmai volessi uscire. Ci vediamo più tardi. Devi raccontarmi tutto.” Sì, ecco quello che invece gli aveva detto, e non sapeva che stava lasciandogli nelle mani solo l’ultima manciata della vita.

Tom era un ragazzone alto e grosso, dal viso colorito di chi è cresciuto a bistecche, e che aveva fatto chilometri correndo su un campo di football. Aveva seguito con lo sguardo l’amico, poi quando la porta si era richiusa dietro le sue spalle aveva iniziato a guardarsi intorno.
L’ambiente era unico e l’arredo era scarno ed essenziale, ma i pochi mobili erano ricercati nel design. Spiccavano nell’ampio spazio, la moquette verde brillante e l’unica porta che probabilmente introduceva alla stanza da bagno.
“Non c’è che dire amico, ti sei sistemato proprio bene!”, si era detto mentre si abbandonava sul divano bianco.
Avrebbe avuto anche lui tutto questo, aveva fantasticato. Lenny di sicuro l’avrebbe aiutato ad avere la sua porzione di successo. Quanto l’avevano sognato quel momento! Loro due insieme, uniti come sempre. Sì, avrebbero ripreso tutto da dove l’avevano lasciato, gli scherzi, le notti a parlare, rubandosi la donna fino a quando non avrebbero trovato quella giusta. Sì, innamorarsi, e sapere che sarebbe bastato solo guardarsi perché l’altro comprendesse che finalmente era successo.
“E’ bello essere qui Lenny, sono a casa” pensò prima di addormentarsi.
Si era svegliato che fuori era già buio. L’ appartamento era silenzioso. Aveva cercato fra i numerosi cd uno di Miles Davis, e aveva selezionato il suo brano preferito. Le note di Milestones erano risuonate calde e magiche nell’aria mentre con calma si era preparato per uscire.
“New York, ora ci sono anch’io!” aveva urlato.

E la sua voce aveva riempito tutta la grande stanza.
Lenny era rientrato un po’ più tardi del solito quella sera, Tom non era in casa, e sorridendo si era detto “ dannato ubriacone non vedevi l’ora, vero?”
Si era addormentato guardando uno stupido programma televisivo in cui una coppia litigava e un pubblico oscenamente sguaiato e rumoroso aizzava i due l’uno contro l’altro. Il telefono che squillava lo svegliò bruscamente e gli servì qualche attimo prima di riuscire a capire che al di là del filo qualcuno gli stava dicendo che doveva recarsi alla stazione di polizia.
“ Non è lui! Non è lui!” si era ripetuto per tutto il tragitto, ma tutte le sue speranze erano svanite quando fu accompagnato all’obitorio e dovette riconoscere che quel corpo era di Tom. Nella tasca interna della giacca gli avevano trovato il suo numero telefonico, era stato l’unico indizio per poter dare un nome a quello sconosciuto senza documento.
“Rapina probabilmente. Dobbiamo aspettare l’esito dell’autopsia” gli aveva detto laconicamente l’ impassibile agente.
Lenny voleva solo andare via da quel posto, che puzzava di morte. Tom, il suo amico Tom, doveva essere fatto a pezzi, scrutato e ricucito, no, non avrebbe dovuto lasciarlo da solo in questa giungla!
Desiderò solo cancellare quell’immagine. In quanti bar era entrato? In tanti, a giudicare le sue condizioni e il posto dove si era risvegliato.
L’uomo accanto a lui piagnucolava, e continuava sommessamente a ripetere “non volevo, non volevo.”
Lenny lo guardò, ora non gli sembrò ubriaco, ma la disperazione gli stravolgeva i lineamenti del viso. Era giovane, si tormentava le mani giunte come se volesse trovare la preghiera giusta che potesse liberarlo da quell’ angoscia.
“ Ho ucciso un uomo.” mormorò.

Lenny sollevò lo sguardo distogliendolo da quelle mani nervose e guardò fisso davanti a lui. In quella notte, pensò, tutto poteva accadere, anche di ritrovarsi a parlare in mezzo ai bidoni della spazzatura con uno sconosciuto che gli diceva di essere un assassino, seduto su un lurido e sgangherato divano, mentre il suo più grande amico s’irrigidiva sempre più in un vano frigorifero dell’obitorio.
“ Cosa hai detto?” gli chiese.
“ Non ho mai pensato di potere arrivare a tanto. Tutto è accaduto come in un sogno. I soldi, quei maledetti soldi mi servivano. Jack l’italiano non avrebbe aspettato ancora, quei soldi li rivoleva e con gli interessi, stavolta m’avrebbe fatto fuori se non pagavo quel debito.
Faceva freddo, la strada cieca si perdeva nella notte, e mi è apparso davanti.
Era ubriaco e barcollava, era ben vestito, un riccone sicuramente, ho pensato, sarà un figlio di papà che se la spassa. La strada era deserta, e lui doveva avere quei soldi.
Quel poveraccio non se l’aspettava e io mi sono avventato addosso a lui, non mi aspettavo una reazione, e invece quel cretino aveva iniziato a menare pugni come se lo facesse di professione.”
Lenny ascoltava la storia in silenzio. Ormai la conosceva bene quella città e sapeva che nascondeva fra le sue braccia così fascinose un mondo pieno di miserie, ma fino ad allora dal suo loft tutto gli era sembrato così distante, e invece erano bastate solo poche ore per cadere in quella realtà, una sottile linea aveva separato la sua vita tranquilla dal cadere nel più orribile degli incubi, e lui l’aveva superata.
“A quel punto la mia disperazione si è trasformata in rabbia” proseguì lo sconosciuto, “ l’ho afferrato con tutte le mie forze e l’ho scaraventato con violenza per terra, battendogli la testa più volte sul selciato.
Mi sono accorto che era morto solo quando il poverino ha smesso di urlare. Non ho avuto il coraggio neanche di guardare la sua faccia, ho cercato il portafoglio e sono scappato, senza voltarmi sai, come se dietro di me ci fosse un demonio ad inseguirmi.
Correvo, correvo, il respiro mi stringeva la gola e il cuore mi sembrava che potesse uscirmi dal petto da un momento all’altro, quando ho pensato di aver corso abbastanza, mi sono fermato.”

“Era morto? Sei sicuro?” Lenny si meravigliò della sua freddezza, quello era un assassino, perché continuava ad ascoltarlo, perché non si alzava da quel maledetto divano e tornava a casa? Invece aspettò la sua risposta. Quell’uomo voleva solo che qualcuno ascoltasse la sua disperazione, e lui era abbastanza disperato per farlo.
“Sì, sì, dannazione era morto. Dio, Dio mio cosa ho fatto!”
I singhiozzi che era riuscito a trattenere fino ad allora, proruppero in un pianto disperato, ma continuò il suo racconto anche se le parole gli uscivano con più sforzo e meno comprensibili.
“Ho lanciato lo sguardo al portafoglio e quasi non sapevo spiegarmi cosa ci facesse fra le mie mani, poi vi ho guardato dentro. Niente, capisci, niente, un paio di banconote da 10 dollari, qualche tessera, un indirizzo segnato su un foglietto e un documento.
Era così giovane, forse un pivellino arrivato con i suoi sogni e una gran voglia di vivere, forse era la sua prima notte in città, forse se l’era voluta godere tutta, forse… forse…forse è tutta una merda!” urlò.
La città ormai iniziava ad animarsi e anche il vicolo non sembrava più l’ oscura sponda di quel fiume surreale dove quella notte li aveva fatti incontrare. Qualche passante lanciava qualche occhiata a quelle due strane figure, poi affrettava il passo per allontanarsi al più presto da loro.
“Calmati!” disse Lenny” la gente ci guarda! Cosa pensi di fare?”
“Non lo so!”
Il pianto ora si era trasformato quasi in un lamento. L’uomo si stringeva le spalle con le braccia, dondolandosi leggermente avanti e indietro come se si stesse cullando. Sembrava un bimbo spaventato.

“Sai, io c’ho provato a far finta di niente. Sono ritornato a casa. La mia casa. Quando ho aperto la porta e sono entrato mi è sembrata l’unica cosa che avesse un senso questa notte. Per un po’ mi sono calmato. Me ne sono stato seduto al buio sul divano. Che buon odore aveva! La trovo sempre lì la mia bambina quando rientro di sera. Mi aspetta e i suoi capelli sanno di shampoo al miele. Mi sono sentito al sicuro lì, fra quelle quattro mura che avevano il profumo di una vita normale, che sapevano di cenette familiari, di giocattoli e caramelle alla fragola. Sì, a mia figlia piacciono così tanto le caramelle alla fragola! Lei e mia moglie dormivano. Quei respiri erano così puliti, puri. Non potevo rimanere lì, non potevo guardarle negli occhi pensando che tutto sarebbe rimasto immutato. Io non avrei mai pensato di scendere così in basso. Il gioco è stato la mia rovina ed ora sono precipitato in un baratro. Ho ucciso un uomo. Non volevo, ma l’ho fatto!”
“Cosa vuoi fare?” gli chiese nuovamente Lenny “ Pensi di costituirti?”
“Sono colpevole. E’ l’unica cosa da fare se voglio sperare che la mia famiglia mi perdoni, non voglio perderla. E’ tutto quello che ho , capisci?”
“Dai vieni, il distretto non è lontano, ti accompagno.”
“Grazie amico, ma tu, tu come mai eri qui?”
“Forse per il tuo stesso motivo. Forse non ho colpa, o forse ne ho e potrò perdonarmi solo col tempo, ma quello che io ho perduto non potrò mai più riaverlo. Dai andiamo!”
Si avviarono lentamente in silenzio, non pioveva più ma il cielo era ancora grigio. No, quella mattina il sole non sarebbe riuscito a bucare quella coltre ancora pesante di pioggia.
Lo sconosciuto prima di salire gli porse la mano. Lenny gliela strinse e lo guardò, sembrava tranquillo, quasi sereno.
“Come si chiamava?” gli chiese Lenny, quando era già in cima alla breve scalinata che conduceva al grosso portone scuro del distretto.
L’uomo senza girarsi farfugliò qualcosa prima di entrare.
A Lenny sembrò che avesse detto “Tom”, ma forse si sbagliava.