Olive
in calce
di Teresa (Ida Campagnola)
Eravamo
appena rientrati dalle vacanze estive. Avevo ancora l’odore
del mare sulla pelle e un lieve profumo di mortelle e di lentisco
si sprigionava dalle valigie aperte e si spandeva per la stanza.
Pensai che questo mi avrebbe attutito il ritorno alla vita di
città: tutte le volte che tornavo dopo un periodo lungo
di assenza vivevo almeno un giorno in un limbo domestico, una
condizione in cui mi sembrava di dover imparare di nuovo i movimenti
e i gesti per muovermi bene nelle stanze di casa mia. Uscii per
un breve giro nel quartiere pensando che il solito percorso bar-edicola-panetteria
mi avrebbe aiutato a ritrovare le coordinate. Appena girato l’angolo
notai subito qualcosa di diverso, c’era un nuovo ortolano
che ingombrava un po’ il marciapiede con le sue cassette
di quella frutta e verdura di fine agosto, verdi intensi e rossi
maturi, frutti e foglie caldi, impregnati di sole.
Mi è sempre piaciuto stare a guardare in che modo dispongono
la merce i fruttivendoli: c'è chi tiene ben divisa la frutta
dalla verdura...di solito sono
gli stessi che lucidano le mele fino a farle diventare irresistibili
per tutte le Biancaneve che passano di lì, poi ci sono
quelli che compongono i cesti, tutti rigorosamente uguali di misura,
con precisione geometrica e forse un po' ti odiano quando gli
chiedi un chilo di zucchine e loro sono costretti a far rompere
le righe alle loro batterie di soldatini verdi. Poi ci sono i
creativi, quelli che piazzano qua e là ravanelli intagliati
come boccioli, bouquet di cavolfiori e cornucopie di vimini piene
di nocciole fresche; e quelli che vogliono stupirti e sbattono
in prima fila bacche e radici di ignota provenienza e stanno lì
con finta aria indifferente aspettando solo che tu chieda spiegazioni;
e i ‘modernizzati’ che, per stare al passo con i supermarket,
hanno la moglie sul retro che lava, taglia e insacchetta le verdure
per chi ha premura.
Questo nuovo negozietto mi ispirò subito simpatia, a partire
dall’insegna che diceva semplicemente ‘frutta e verdura,
e poi il padrone, un uomo sulla cinquantina, col baffo cespuglioso
e l’occhio allegro, aveva sistemato all’esterno un
tavolino alto e sopra a questo un catino azzurro dal quale pescava
con un ramaiolo bucato delle grosse olive che offriva ai clienti
o a qualche passante. Mi raggiunse con lo sguardo e al mio sorriso
mi offrì subito una mestolata di olive verdi: “Se
ne prenda una signorina, sono qualcosa di speciale” disse,
con un accento leggero e quelle “o” strette che i
pugliesi non perdono mai, nemmeno se sradicati da anni dal loro
paese.
Presi
un’oliva verde brillante e intanto che la avvicinavo alle
labbra lui aggiunse :” Le facciamo noi, come si facevano
una volta, con la polvere di calce. E la cenere.”
Se disse ancora qualcosa, io non lo sentii.
Il primo morso liberò l’umore della grande oliva
nella mia bocca asciutta, stillò gocce di puro ricordo.
Al secondo feci un balzo nel tempo, avevo appena compiuto tredici
anni, era un ottobre tiepido e ventoso e l’odore delle vacanze
si mischiava con quello dei libri e dei quaderni.
E mentre i denti con delicatezza ripulivano il lungo nocciolo
dalla morbida polpa, mi ritrovai ragazzina, appena uscita da scuola,
con in mano un imbuto fatto di carta di giornale pieno di olive
in calce, quel giorno avevo i capelli raccolti a coda di cavallo
e di lui mi ricordo solo il viso e una camicia chiara con le righe.
Ci fermammo a parlare sul muretto e finimmo le olive del cartoccio.
Io sentivo una strana sensazione, un’attrazione prepotente
che non avevo provato fino allora, la pelle mi sembrava si scaldasse…una
febbre improvvisa, ecco cos’era.
Poi lui propose un gioco conosciuto, sostenere lo sguardo, occhi
negli occhi,
avrebbe perso chi avesse riso prima: non ci furono più
tempo né spazio, né luce o ombre, niente tutto intorno.
Fu come se attraverso i nostri occhi passasse un filo che piano
piano ci avvicinava. Vicino, fino a che sentimmo il nostro respirare
che formava una piccola nuvola tra le mie labbra e le sue, una
nuvola profumata di olive in calce. La attraversammo con vera
leggerezza senza perdere gli occhi uno dell’altra e fu un
bacio di scoperta e di gioia esplosiva. Fu il primo e il più
profumato di tutti i miei baci.Ridemmo insieme.
“Signorina ne vuole un’altra? Signorina?”
Un altro che? Un altro bacio ? Un’altra oliva?
“Grazie, si. Anzi, guardi, me ne dia un bel cartoccio, era
da tanti anni che non sentivo questo sapore….”
Seguita dallo sguardo incuriosito dell’uomo me ne tornai
verso casa con il mio involto prezioso. Altro che coordinate avevo
ritrovato! Colonne di ricordi che reggevano la mia vita.
Quella sera feci l’amore e tutti e due mangiammo olive in
calce prima, durante e dopo. Fu una giostra di odori e di sapori
Io mi sentii felice. Lui non mi chiese mai niente, per fortuna.
Le ‘colonne’ non si possono raccontare.