Le
angiove di Cecè Laima
di Francesco Principato
Il
sostituto procuratore Alessi non arrinisciva a distogliersi il
pinzero del catavero di Cecè Laima mentre spicchiava l’aglio.
Si puliziò le mani nel fallarino, mise sul fuoco la padella
, versò l’oglio. E ancora il ciriveddro tornava al
marinaro suicida. Spellò i pomodorini di Pachino, li tagliò
e li svacantò dei griddri, perché se qualichiduno
restava, era una camurrìa arritrovarisi i semi fra i denti.
Prese un piatto chiano unni posò i filetti di pummadoro.
Aggiunse il sale e il pinzero ritornò al sopralluogo del
pomeriggio.
Il commissario Salvo lo stava aspittanno nella casa di schetto
di Cecè. Perché Vincenzo Cerello, detto Laima per
via della bocca grande come la rana pescatrice, viveva assolo
nella sua casa di scapolo felice. Felice?
- Suicidio, dottore. Non c’è dubbio.
Il famoso commissario indicò il pirtuso alla tempia e il
revorbaro, proprio sutta la mano morta.
Lo sfrigulìo della padella gli fece ritornare la testa
alla cena da priparare. Toccava a lui stasera: bavette con il
pescespada. Levò l’aglio dall’olio cavudo e
lo jittò via. Levò pure la padella dal fornello
per fare arrifriddare tanticchia. Perché sennò appena
ci unciva il pummadoro gli schizzi avrebbero pittato pure il tetto,
ad olio. E chi la sentiva poi a Cettina? Lei aveva ricivimento
alla scola e così aveva ordinato la cena al perfetto cuoco
Nino Alessi, marito di bello pititto.
Anche il medico legale aveva dato subito arragione al commissario.
- Foro d’entrata dalla regione parietale sinistra…
Nino lo interruppe.
- Commissario, si accerti ca fosse mancino.
Salvo uscì e il dottore continuò.
- E foro d’uscita da quella destra…
- Mancino era.- il commissario ritornò subito. - Lo conferma
il di là presente compare che ha fatto la macabra scoperta.
E lì c’è il pirtuso del proiettile. –
aggiunse indicando la scalfittura sul pavimento.
Prese una picca di olive e di capperi salati, li juncì
al pomodoro e rimise la padella sul foco, aumentandolo tanticchia.
Raprì il frigorifero, stette a taliare e ritaliare.
- E il pescespada unn’è? Vuoi vedere…
Raprì il comparto dei surgelati e si mise a santiare.
- E viva ‘sta minchia. E Cettina si scordò di nescire
il pescespada. E ora com’è che fazzo? Lo jetto in
padella con tutto il ghiaccio? E accossì mi viene una lurdìa
brodosa…
E mentre arragionava a voce ganta se arricorrere all’odiato
microonde, il pinzero se ne fuì nuovamente al morto. Ma
fu un pensiero strammo. Alessi cominciò a fare un passo
avanti e uno narrè, indeciso se proseguire nella sua pinzata,
con il rischio di farsi scuncichiare dal commissario per il resto
della carriera, o mettere il pesce nel microonde a scongelare,
strafottendosene del cadavere e scanzare il rischio di sfottimenti.
Dopo diversi passi di contradanza s’addecise. Scongelò
il pescespada, asciucò i tozzi e li juncì alla salsa.
Ci juncì macari mezzo bicchiere di vino bianco e cummigliò
la padella. Abbasciò il fuoco e andò a telefonare.
- Commissario? L’ho disturbata? Ah! Stava cenando…
No, la mia ancora non è pronta, sto cucinando… No,
no. Non la chiamavo per questo, anche se lei a cucinare se la
cava meglio di mia… Però ci trase proprio il cibo…
Cioè… Glielo dico così capisce. Però
non mi pigli per il culo. Eh… a lei lo conosco. Ora vengo
e mi spiego. Cucinando ho pensato: avete taliato nel frigorifero
di vucca di laima? Come chi? Vincenzo Cerello! Come? Certo che
sono sicuro di quello che le chiedo… E non faccia mali pinzeri
perché le arripeto che non ho manciato. E perciò
neanche bevuto. Vabbè, lei piccati di pinzeri non ne fa,
ehhhh… E facciamo finta che ci crio. Però avete controllato?
No ah? Importante? Importante potrebbe esserlo….Che fa,
mi accompagna a controllare? No subito. Lei si finisce la sua
cena che io mentre controllo la salsa… Quale salsa? Bavette
col pescespada… Sì, pomodorini, capperi eoliani e
olive. Il vino? C’ho jittato una spruzzata di inzolia. L’origano?
Nonzi, giammai. Dice di sì? Non è che cummoglia
troppo il sapore di mare? No? Lei ce lo mette? E allora stavolta
provo pure io e più tardi le saccio dire. Buon appetitto.
Tornò alla sua padella. Scoperchiò e annusò
la voluttà da rinviare. Ci jittò una piddricata
di origano, spampazzò i pezzi di pesce troppo grossi, arriminò
col cucchiaro di legno, susciò sulla punta e assaggiò.
- Mmmmhhhhh!
Si tolse il fallarino e astutò il foco. Scribacchiò
un biglietto e lo lasciò all’affaccio, in vista per
il ritorno di Cettina. Sempre che lui non si fosse già
arricampato prima di lei.
Una
squadra volante era già davanti alla casa del morto. Il
sostituto procuratore salutò i poliziotti ai quali il commissario,
ammuccione e alle spalle di Alesi, fece nzinga di sopportazione.
Raprirono e il sostituto si abbrivò subito sul frigorifero.
Raprì e ispezionò. Si calò a taliare tutti
gli scomparti, scoperchiò qualcosa e si raddrizzò.
- Ccà semu!
Niscì
fora adascio adascio, con la lentezza d’un tiatrante, un
piatto di angiove marinate.
- Commissario, taliasse!
Salvo si avvicinò, si calò.
- Mi parono ancora ngreste.
Il procuratore tistiò con un sorriso di compiacimento.
Annuendo posò sul tavolo la pitanza di pesce crudo.
- Pure a mia non mi parono maturate al punto giusto… Secondo
lei da quann’è che sono state messe a macerare?
Il commissario ci arripinsò.
- Mah… zara e imbazara… occhio e croce… - finalmente
capì - Minchia! Dottore, ragione c’ha avuto. Queste
sono state preparate da poco…
- E da poco quanto?
- A taliare che c’è ancora il rossore del sangue…
a talialle…
- E lei non si limitasse solo a taliare.
Il commissario strammò.
- In che senso?
Alessi si avvicinò al tinello, raprì un cascione
e lo richiuse, cercò in navutro. Raprì e trovò
la forchetta. La proì al poliziotto. Il commissario alzò
l’occhi al soffitto, afferrò la posata e spirtusò
una acciuga.
- Sono ancora ‘ntostate. A occhio e croce… seconno
un’approssimata…
Il sostituto gli scippò la forchetta e infilzò un
filetto di pesce.
- Commissà! E che minchia ci vuole…
Si ammuccò l’angiova, inzaporò il pesce portandoselo
a passeggio per tutto il palato e sentenziò.
- Queste angiove sono state messe nell’aceto da non più
di quattro ore. Controlli macari lei.
E gli pruì la posata.
- Pure io? - il commissario si stringì nelle spalle, prese
la forchetta e assaggiò - Sì… cinque al massimo.
- Giusto! Giusto poco prima dal decesso. E… volennoci arraggionare…
uno non si mette a far marinare le acciughe se poi si vuole suicidare.
O no?
- O no? O sì! E pure abbonnate. – straviò
le acciughe nel piatto granne - Perché, tranne che non
avesse intenzione di mangiarle per due giorni di seguito, che
magari sono anche meglio…
- Bastano e assoperchiano almeno per due. Sicuro. Cecè
aspettava compagnia per la cena. Sì, commissario, c’ha
inzertato pure lei. Guardi il resto, guardi macari lei dintra
al frigorifero.
Il poliziotto controllò e niscì il resto del menù,
isenno i piatti e appoiannoli sul tavolo..
- Polipo già voddruto e pronto per l’insalata, triglie
spanzate e annettate. – annusò- Fresche! E per biviraggio…
- tirò fuori una bottiglia di solimano – spumante
di passito di Pantelleria.
- Il nostro suicida aveva una cena importante.
- Importante e, forse, con qualche fimmina. Forse importante macari
lei.
- Sì. Ma con chi? E’ questo il busillibo…
- Ho l’impressione che…
Il sostituto zittiò il commissario con un gesto. Abbasciò
lo sguardo al pavimento scurciato. Abbaddrò la testa di
lato. Si assittò sulla sedia del catavero. Abbaddrò
ancora chiossà la testa. Cercò di simulare la jittata
del proiettile. Si sforzò ancora di più a piegare
la testa e poi si susì scatascianno e sbattenno a terra
la seggia.
- Non può essere!
Il commissario arrisantò.
- E che mmmm… Mi vuole fare pigliare un moto? Non…
non può essere cosa?
- Il suicidio. Non può essere. Quando è stato sparato
il colpo Cecè Laima era già senza vita.
- Già morto?
- La sua testa era già a pinnolone.
Rimise la sedia precisa come doveva essere, sui segni tracciati
per terra. Si assittò nuovamente, fece nzinga con la mano
a pistola puntata alla tempia. Prima stette con il collo tiso
e poi cominciò a piegarlo, a piegarlo sempre chiossà.
- Guardi, guardi come mi devo storcìre la testa affinchè
la traettoria del colpo si appatti con il signale che c’è
sul pavimento. Osservi.
Il commissario taliò di sbiego la testa storta del procuratore
e, nel so pinzero, inseguì la pallottola. Fece una smorfia
e acconsentì. Si diede un pugno nel palmo dell’avutra
mano.
- Dottore, ho l’impressione che lei abbia proprio ragione…
E io testa di…
- Lasci perdere la testa sua. - il procuratore si susì
- Dobbiamo riconsiderare tutto il caso. C’è probabilità,
molta probabilità che si tratti di ammazzatina…
Salvo si stava smancianno il labbro per il nirbuso.
- Minchia. Io. Io che non me ne sono addunato.
- E manco il medico legale.
- Lui forse era ancora addumisciuto nella pennichella pomeridiana…
ma io. - Salvo si smancicò l’unghia del pollice,
si tastò la ferita al petto - Forse… io forse sono
già da pensione.
Lo disse con un scioscio, in un sussurro. Il dottor Alessi smorzicò
la sua euforia. Taliò il poliziotto.
- Lei… lei, commissario, è semplicimenti addivintato
omo, omo vero. Comunque il mio non era un lisciaebusso. Non volevo
rimproverarla. – cercando di sbariarlo dal muso lungo -
Su, forza! Non si allamìchi. Neanche io me n’ero
accorto, se la cosa lo può consolare…
Il commissario rimase malinconico, con le vele vasce.
- Ma poi lei c’è arrivato…
Il sostituto gli sbattè la spalla.
- Eh! Sapesse come ci sono arrivato…- il procuratore cercò
di darici conforto babbianno e jocanno – Tutto merito di
mia moglie che si è dimenticata di scongelare il pescespada.
– continuando a scherzare – Non le ho cuntato che
dovevo preparare la cena? E mia moglie non si scorda di scongelare
il pescespada? Lei solo questo doveva preparare. E…
Finalmente il commissario ricambiò il sorriso del procuratore.
- Invece non ha priparato il pesce. E Cecè…
- E Cecè, aveva priparato qualichecosa? Macari pesce…
- Ha pensato lei… Lei! – la colira gli acchianò
di nuovo - Minchia, ma io non c’ho pinzato però.
- Ma lei non stava preparando la cena…
- Già! Io stavo mangiando.
E si vutò a dare le spalle al procuratore.
Il procuratore si allisciò la panza. Sospirò. Sarà
stato l’antipasto di angiove. Saranno stati il polipo e
le triglie. Sarà stato tutto il parlocìo sul cibo
e pietanze saporite. Come fu e come non fu, la fame gli era smorcata
prorompente. Taliò il ralogio.
- E allora forza commissario, dobbiamo recuperare il tempo perso.
Al lavoro. Al lavoro suo. Chè lei ha già mangiato
e io no. Io ho ancora la mia pasta col pesce spada da inzaporare,
che a pensarci mi gargiolìa in bocca.
Il commissario si arrunchiò le spalle. Abbozzò e
cominciò a gridare gli ordini.
- Fazio, Fazio! Chiama Augello e tutti gli uomini disponibili.
Dobbiamo arrimischiare nella vita di Cecè Laima. Dobbiamo
trovare e interrogare compari, amici, mariti cornuti. Abbiamo
da trovare un assassino.
Il procuratore scuscì le dita.
- O un’assassina.
Salvo gli accordò.
- Già. Dobbiamo cercare zite e fimmine buttane. Come si
dice: cherchez le femme.
- Cherchez le femme? - Alessi cominciò a ridere ancora
prima di sparare la sua battuta babbigna. - Io la fame ce l’ho
già. E spero che Cettina non si sia mangiato tutto.
Il procuratore fece per iresinne, arridenno. Il commissario rise
solo per finta. Gridò ancora ai suoi poliziotti.
- Criscuolo. Accompagna il dottore a casa. Ma poi torni qua ah!
Ah, dottore, ce l’ha poi messo l’origano nel pesce
spada?
- Sì. Ce l’ho messo. Domani le faccio sapere com’è.
Domani.
- Domani?
- Domani le racconto. E pure lei mi racconterà. Domani.