Mele
Verdi
di Mario Robusti
"Il
serbatoio è un'opera d'arte", disse Carla.
Con il logo a stella che si allungava verso la sella, era un pezzo
unico prodotto dalla casa in 20 esemplari. Si estendeva verso
l'alto in una gobba di bisonte. Il color arancia metallizzata
era stato lentamente tolto, lasciando posto ad una lucidatura
che culminava nel tappo del serbatoio, cromato. Il parafango posteriore,
perfettamente sagomato, dello stesso colore, copriva l'intero
pneumatico fino ametà, dove terminava con un puntale aggressivo
e lucidato sui bordi. Davanti, in bella mostra, i travi del telaio
rossi, sabbiati dopo l'incidente in Arizona. La forcella era stata
cambiata, così come i cerchi, adesso a 10 razze. La moto
di Luca era veramente la più bella della città.
L'aquila sul parafango anteriore l'aveva vinta al concorso di
due mesi prima. Ma non era ancora così bella. Lui l'aveva
tirata a lucido così negli ultimi giorni, solo per un motivo.
Portare in giro l'unica ragazza che avrebbe attirato più
attenzione della moto. Carla. Che in quel momento si stava godendo
lo spettacolo della moto che l'avrebbe resa celebre per tutta
la contea. Carla su una Harley! Carla che gira con Luca! A metà
fra lo scandalizzati e gli stupiti, i vicini di Carla facevano
finta di falciare il prato per guardare la scena.
Tutto ciò non sarebbe mai stato possibile. Luca non era
bello, aveva un viso lungo e un'ombra minacciosa stampata sul
viso, che i suoi occhi azzurri non riuscivano ad eliminare. I
capelli castani tagliati male, il giubbotto con i simboli di novel
attaccati al petto, e quelli di master dietro alla schiena (un
teschio color oro traforato da una pallottola, avvolta dalla bandiera
americana, non incute molta fiducia).
Però, quando si incontrarono nella piazza di Feltre, durante
il raduno “1%” della settimana prima, nemmeno Carla
pensava a saltare su una Harley. Lei e il suo gruppetto di amiche
facevano come al solito bella mostra di se sul muretto del municipio,
contornate da cinque o sei lambrette.
Luca non pensava ad altro che alle moto, al club, alla birra e
a scazzottare qualche plasticone (i ragazzi che non potevano permettersi
una moto e compravano gli scooter) che avrebbe voluto intrufolarsi
nel raduno.
Solo che Giacomo, l'ala della squadra locale di basket, aveva
iniziato a fare qualche battutaccia sui riders. Orso l'aveva sentito,
e si era diretto verso di lui con una bottiglia di birra in mano.
Un metro e sessantotto per 110 chili di campagnolità contro
un metro e novanta per novantacinque chili di raffinata tecnica
cestistica.
Il match iniziò con un bellissimo scambio di battute:
"Hey, hai dei problemi?"
"Io? Gira al largo, puzzi."
La bottiglia volò a due dita dalla testa di Giacomo, schiantandosi
contro una quercia nel giardino del municipio. L'ala da 15 rimbalzi
a partita si girò cercando di allungare un gancio sul muso
dell'Orso, che in realtà si chiamava Gianmaria. Ma lui
ne sapeva troppo di risse per abboccare. Si abbassò schivando
il colpo e partì alla carica, assestando una testata alla
bocca dello stomaco di Giacomo, come un toro indiavolato. Gli
altri ragazzi si lanciarono sul vecchio rider con il cappellino
giallo che recitava: "Io, Forlì e il mondo".
Luca e un paio di novel intervenirono sbloccando l'esito della
rissa. I ragazzi, poco più che sbarbati, presero il largo
in pochi secondi, dopo aver visto il gruppetto di tre avvicinarsi.
Carla e le sue amiche invece restarono lì, un po' impaurite
e un po' divertite dalla vigliaccheria dei loro amici.
"Scusateci signorine per questo increscioso incidente. Ma
il vostro amico si è comportato sgarbatamente con il nostro
Gianmaria..."
Le ragazze risero come pazze. Quell’ammasso di grasso e
cattiveria si chiamava Gianmaria!. In più il tono di Franco
il lupo era da perfetto maggiordomo inglese. Nella vita faceva
il direttore di banca, sposato con 4 figli. Ma a vederlo non ne
avrebbe mai dato l'impressione: vestito con un paio di bermuda
e le infradito (che usava per guidare anche a dicembre), il giubbotto
di pelle e una bandana rossa, sembrava più un cannonato
da riviera che un manager di successo.
Luca intanto non aveva staccato gli occhi da Carla. Non ci riusciva,
era calamitato. Lei e le sue amiche ridevano.
"Guarda che mi consumi..." gli disse lei, facendo ridere
tutti.
Luca divenne rosso in viso e si cacciò le mani nelle tasche
del chiodo. "Scusa..."
"Dai, scherzavo. Come ti chiami?"
"Io? Luca, piacere. Tu?"
"Io sono Carla". Sorrise. E Luca perse il controllo.
"Piacere di cono,cono,cono... di incontrarti"
Balbettava, dio mio com'era carino quando balbettava. Carla si
era innamorata di quel modo innocente di porsi sotto uno scudo
da duro. Quegli occhioni azzurri non erano affatto male.
Il gruppo iniziò a chiacchierare del più e del meno.
Si aggregarono altri ragazzi di età un po' più adatta,
mentre Franco e Orso si staccavano per andare a bersi una birra
alla faccia dello spilungone. Franco, allontanandosi, diede una
spallata a Luca sussurrandogli "E' fatta campione".
Il pomeriggio dopo le ragazze erano ancora lì. E due giorni
dopo Luca e Carla si incontrarono "casualmente" per
strada, vicino al supermercato dove lui faceva abitualmente la
spesa. Poi si videro ancora una volta, e un'altra. Fino alla sera
in cui lui non la invitò a fare un giro in moto.
Adesso erano lì tutti e due, davanti a quello spettacolo
di Harley Softail modificata. Per non impressionare troppo i vicini
aveva rimontato gli scarichi originali, senza la doppia pinna
finale, e molto meno rumorosi.
"Perchè hai tolto gli scarichi? stavano così
bene!"
"Perchè i tuoi mi avrebbero sparato a cinque chilometri
di distanza, invece finora non mi hanno sentito e magari non stanno
cercando il fucile"
"Sbagliato, mio papà è alla finestra e probabilmente
ha già la doppietta in mano!" Scherzò lei.
Ma non più di tanto, visto che il padre era davvero alla
finestra a controllare quel poco di buono che si portava via quella
screanzata della figlia. Poteva pur studiare architettura, ma'l
restava semper'n barbù.
Carla salì sul minuscolo sellino posteriore. Indossava
un completo di Jeans chiaro, con una magliettina bianca e un paio
di eleganti guanti rosa. Si strinse a Luca che accese la moto,
dando due colpi di gas. Partì con calma, per non destare
attenzione.
"Beh, adesso che sei fuori dalla mia via, puoi ben accelerare,
no?"
Luca sorrise, aspettò di entrare sulla strada maestra,
senza dare la precedenza, e accelerò a fondo. Carla gli
si avvinghiò ancora di più al petto e lui sentì
salire l'emozione. Era la prima volta che portava una ragazza
sulla sua moto. Si sentiva battere il cuore più velocemente
del motore.
Luca puntò la strada che saliva sul montefeltro, verso
le colline di San Marino
"Cos'è, mi porti al confino?"
"Perchè no? Sc...sc...sc... andiamo all'estero?"
Carla rise appoggiando la sua testa alle spalle di Luca.
Il giro doveva durare pochi minuti, ma in realtà era già
passata mezz'ora. Luca fece divertire Carla strusciando le pedane
per terra, facendo qualche impennata, ma per la maggior parte
del tempo cercava di andar piano per gustarsi il contatto con
lei.
Ad un certo punta Carla gli bussò sulla spalla.
"Ho fame, andiamo a mangiare qualcosa?"
Anche Luca aveva fame. Ma non aveva molti soldi. Se avesse speso
qualcosa non avrebbe avuto soldi a sufficenza per la benzina.
"Perchè non ci mangiamo quelle mele?"
Si fermarono al primo tornante. Luca appoggiò la moto sul
cavalletto. Carla scese e gli diede un bacio sulle labbra, poi
foggì via dicendo: "Torno subito!".
Era stupenda.Quella ragazza era davvero stupenda. Non l'avrebbe
fermata neanche un ciclone. Tornò senza il giubbino, che
aveva usato come cestino per le mele. Le mangiarono e si baciarono
fino a che la luce del sole non venne sostituita da quella della
luna. Poi risalirono in moto.
Luca, per galanteria, diede il suo giubbino a Carla, perchè
iniziava a fare fresco. Al primo paesino Luca ricordò di
avere suo zio che abitava nei dintorni, e che stava cambiando
casa. Magari avrebbe rimediato le chiavi del nuovo appartamento,
in cambio di un aiuto nel trasloco. Si fermò al primo bar,
scese con Carla per mano ed entrò per bere qualcosa e chiamare
lo zio.
Era veramente fortunato quella sera. Il barista era un biker conosciuto
al raduno. Gli passò un paio di gettoni che non avrebbe
potuto pagare, e gli offrì un giro di birra. La prima chiamata
andò male. Suo zio era alla casa nuova. Però avevano
già montato la linea e poteva provare a chiamarlo là.
E lo trovò.
"Ma... chi è questa qua?"
"Eh,zio... è, la mia rag...rag...è la fidanzata,
spero"
"Occhio che le donne son tutte stronze. Fat'no 'nciulè.
'T lasè'l purton vrisè"
"Grazie zio, grazie."
"Ma'dmenic gom 'purtè i credense al prim pian"
"Va bene zio, va bene. Ciao"
"Ciao"
Tornò da Carla che stava già sorseggiando la sua
birra. Parlarono per un po'. Lei faceva il primo anno di economia
a Bologna. Aveva già partecipato a qualche concorso di
bellezza ed era stata notata, con quei suoi occhi verdi non era
stato difficile. Luca se la stava divorando con gli occhi.
"Dove mi riporti? Non mi riporti a casa vero? Voglio fare
un giro con la notte." Disse lei allungando sotto il tavolo
una mano sulla sua coscia, sorridendo con nascosta malizia, ad
occhi bassi. Come se stesse facendo una cosa vietata.
"Va bene"
Ripartirono di gran carirera.
Luca iniziava a sentire un po' di freddo, perchè il suo
giubbino era ancora sulle spalle di Carla. Per galanteria allungò
un po' il giro prima di arrivare alla casa di suo zio. Ma l'idea
di mangiare le mele verdi si stava dimostrando poco eccezionale.
Aveva un gran mal di stomaco. Poi senza guibbino...
Arrivarono all'appartamento. Carla gli aveva già infilato
le mani nella camicia, sbottonandogli qualche bottone. Stava pensando
che quella sera sarebbe stata la sua prima sera. Anche Luca pensava
lo stesso, nella confusione di pensieri che gli girava per la
testa. Si baciarono e si sfiorarono. Poi salirono le scale fino
al primo piano.
La casa era ancora spoglia. Nel corridoio centrale si affacciavano
a sinistra le porte del salotto, della cucina e del bagno. Di
fronte aveva la porta di una camera da letto per gli ospiti, e
in fondo sulla destra quella della camera da letto dello zio,
dove già c'era un materasso doppio. Andarono lì
per fare all'amore. Furono le due ore più belle della vita
di Luca. Carla se lo rigirò come un calzino. Lui, nella
sua innocenza, ne sapeva poco o niente. Lei invece era già
più smaliziata. Le sue amiche ne parlavano sempre e cercò
di mettere in pratica, per altro molto bene, le cose apprese sul
muretto davanti al municipio.
Alla fine, esausti, si sdraiarono abbracciati.
Mentre si coccolavano, Luca le disse:
"Non credevo potesse essere così. Sei stata magnifica."
Carla prese male le sue parole. Era stata la cosa più sbagliata
che potesse dire:
"Ma per chi mi hai preso? Per una di strada?"
"No..no...no non intendevo questo, scusa"
A metà fra lo scherzoso e il serio lei gli tirò
una gomitata nello stomaco.
Il mix mele verdi-freddo-birra avevano portato lo stomaco di Luca
ad elaborare una brutta combinazione. E uscì la tragedia.
Luca si chinò in avanti e da dietro... colorò di
nuovo metà del letto.
"Che schifo!!! Ma come puoi... che schifo, maiale!"
Nel tentativo di fermare tutto Luca scappò verso il bagno,
ma non era ancora attivo il collegamento con l'acquedotto. E non
c'era acqua. Mentre cercava la sua maglietta per pulire vide Carla
che sdegnata si rivestiva.
"No, Carla, ti pre...ti pre... aspe... E' colpa delle mele,
del fred... del fred..."
"Non farti più sentire, porco schifoso!"
Era fatta. Carla se ne andò lasciando il povero Luca letteralmente
nella merda. Almeno una lezione l'aveva imparata: mai mangiare
mele verdi con il freddo!