Rue
d'enfer
di ...
Potrebbe
sembrare anche una storia normale.
La storia di una donna che aspetta un bambino.
La donna è Marguerite.
E’ seduta nel parco su una panchina ai Jardin Du Luxembourg
che sfoglia le rose come fossero margherite. Lo tengo…non
lo tengo… lo tengo…non lo tengo. Questa attesa è
un inferno, questo dubbio è un demonio. Quel sassolino
che ha nella pancia, non è un figlio dell’amore.
Potrebbe ancora essere una storia normale, in fin dei conti siamo
in tempo. Sembrava amore, non lo era e resta un figlio a ricordarlo.
Ma non è nemmeno così. La ragazza si alza e inizia
a camminare giù per Rue St Jacques, verso la Senna. Sfiora
il Pantheon e arrivata all’altezza dell’Hotel de Cluny
entra nel giardino e si dirige al roseto in cui fa piovere i petali
della rosa precedentemente spolpata. La Senna è a un passo.
Costeggiando Notre Dame e prendendo per il Pont de St Louis, arriva
a St Louis en l’Ile, dove il Quai d’Orleans sfuma
nel Quai du Bourbon e la punta dell’isola sembra disegnare
una polena che si protende sul fiume. Sotto platani secolari che
stanno appena iniziando a cambiare colore, sosta ancora a cercare
risposte nella rapida corrente.
“Se dicessi che c’è stata violenza non sarebbe
una bugia, ma ‘essere stata violentata’ suona peggio
di come è andata in realtà. Non fu del tutto forzata
la mia volontà. Volevo, volevo anch’io. Inizialmente.
Poi non volevo più. Non era un capriccio. Era che non andava,
non volevo più. Ma forse sono io … Fatto sta che
adesso sono sola, o meglio sono sola con questa bestiola nella
pancia. Non è certo dolce questa attesa ma non ce la faccio
a…non posso fare altro che aspettare”.
Marguerite si allontana. Alle sua spalle mulinano foglie mai stanche
di stare nell’aria, foglie che volteggiano come i pensieri
che si addensano neri sopra il nero cappello, l’ombrellino
da pioggia, i fianchi ondeggianti fasciati di morbido giallo.
Marguerite remota in un turbine di vento, Marguerite che sogna,
Marguerite che piange, Marguerite che ama, Marguerite che odia,
Marguerite che va nello sfumare della luce in un cerchio lontano
che sfuma nel buio.
Il velo buio sul fondo a poco a poco si apre, ritorna il colore,
rientra la luce: è un giorno d’estate e Marguerite
ora avanza.
Le foglie stanno tranquille sui rami e i pensieri stavolta non
volano ma piangono e urlano di fame nella carrozzina che Marguerite
sta spingendo. La madre piange il figlio che ha voluto, ma non
vorrebbe avere avuto. Il figlio piange la madre che, in fondo,
non ha avuto. Ancora non capisce Pierre, ma i suoi polmoni che
urlano ai cieli francesi improperi infantili un senso ce l’hanno,
un monito quasi, un dito alzato come per ammonire. “Il peccato
… il peccato!” pensa Marguerite. “Il peccato
di averci provato. Di averlo voluto, quell’uomo, e poi rifiutato,
ma senza vigore. Lasciandolo fare per non farmi picchiare, per
non farmi rifiutare, per non dare scalpore, non richiamare attenzione.
Il peccato ora è qui, steso davanti a me, che mi guarda:
lui mi chiamerà mamma, ma io lo chiamerò per sempre
peccato!”. Il bambino si quieta, Marguerite si siede sotto
un albero ombroso e dalla borsa prende quel lavoro di maglia che
deve finire per fare una fodera calda di lana a questo peccato
dal viso di bambino. Perché Pierre è biondo, azzurro
di occhi e di colorito vivace. Ha i tratti del viso gentili e
raffinati, disegnati con cura da un creatore bizzoso che ha voluto
donare sembianze da angelo a un bambino che a sua madre evoca
l’inferno.
“Sola. E questo piccolo essere che sorride. Un sorriso ingannatore.
Lo stesso del padre che mi sorrideva così prima di prendermi,
al ballo, e portarmi di sopra, coricarmi sul letto ed alzarmi
le vesti. Mi piacevano le sue mani addosso, il suo odore di tabacco
che si mischiava al sentore di cavallo di chi ha appena finito
una caccia alla volpe. Mani robuste che sapevano toccare per darmi
piacere e mi maneggiavano leggere ma anche violente. Mani a cui
non ho saputo sottrarmi. Chissà se sotto gli stivali da
cavallerizzo nascondeva il piede fesso e caprino del demonio che
era. Una sola volta! Una sola volta ho ceduto … non ho resistito
fino in fondo … e in quest’unica volta il seme ha
colpito.
E’ germogliato nella terra riarsa che è diventato
il mio ventre da allora e anche ora. Padre-diavolo e figlio-demonio!
Astarotte, Baal-zebub, Adramalech dovevo chiamarti e non Pierre!
Pierre … così breve da sembrare un acrostico …
Peccatrice In Eterno Rea Rimembri l’ Errore!”
Nel giardino del Luxembourg i passanti la guardano,
le sorridono, alzano il cappello in segno di saluto. Potrebbe
sembrare una mamma normale.
Nessuno di giorno e all’aperto può sapere l’inferno
che ha nel petto e che la sera nel buio di casa, esplode feroce.
Parossismo e furore. Marguerite è un’Erinni che cavalca
il suo corpo come una scopa e le sue proprie mani la frugano,
la frugano ancora di sotto le vesti, in un gioco crudele che sembra
ricordare le mani dell’altro che sapevano di tabacco e nella
stanza sopra alla sala del ballo l’hanno portata all’estasi
e da lì all’inferno, senza sosta.
“Padre – si confessa Marguerite – Ho paura di
mio figlio! Mi sembra che succhi, quando lo attacco al seno, tutta
la mia forza vitale. Mi sembra che succhi non per crescere forte
e sano e robusto, ma per consumare sua madre. Padre … l’ha
mai visto quando vomita? E’ un liquido verde che si contorce
e che fuma! Padre, è come se sputasse serpenti! Glielo
giuro! Venga a vedere. E lo sento, sa? Lo sento negli urli che
lancia al cielo di sopra a Parigi che sono urla piene di formule
arcane, di parole segrete, di lingue che lui non sa e non può
ancora parlare. Padre … mio figlio è posseduto da
un demone! Me lo deve liberare! Ci deve almeno provare! Mi promette
che verrà? Vero padre? Lei verrà … lei …
non è vero? Mi libererà dal mio inferno …
dai tremori del corpo, dal calore cocente che mi sale dal seno
e mi scende nel ventre?”
Marguerite cambia molti confessori ma nessuno di loro la può
aiutare. Alcuni non vogliono nemmeno incontrare Pierre-piccolo
demone, nel timore che l’altro demone, quello che ondeggia
la gonna leggera di Marguerite, esca a turbare i sensi di un uomo
di fede. L’inferno di Marguerite resta un imbuto in cui
era caduta sospinta da un uomo e in cui nessun altro uomo vuole
introdurre nemmeno la mano, per paura che venga inghiottita.
Passano i mesi, ma per Marguerite non passa. Ogni giorno è
lo stesso rosario da sgranare con pena. Di giorno ai giardini
una madre normale, con un figlio biondo e bello da guardare. Un
bambino che ride a ogni persona che incontra, ma che se si gira
e vede sua madre che lo osserva, scoppia nel pianto irrefrenabile
e testardo.
Marguerite resiste. Coltiva il suo dubbio. Quel verme scortese
che si fa sempre più strada nei suoi pensieri inquieti.
Se il demonio ha prodotto quest’unione che non è
santificata, forse Dio solamente può porre rimedio. Forse
Dio o un suo ministro. Ma se un uomo non vuole potrebbe essere
donna: una suora! Le suore! Separati per sempre! Marguerite che
deposita il figlio nella ruota e che scappa lontano. Lei che fugge
per sempre e il Signore e i suoi adepti che combattono Memnoch,
il diavolo eccellente e Behemoth, la bestia! Se la sfida si gioca
tra poteri così grandi, Marguerite deve tirarsi fuori.
Per questo quel giorno lo veste di azzurro, il colore del cielo,
lo nutre di latte più dolce dell’ambrosia, latte
di capra e lo avvolge in una coperta di lana.
Il cielo è fosco dell’inverno incipiente. Le lame
del freddo le tagliano il viso. Marguerite però non rallenta
e con passo sicuro si avvicina alla via che, nascosta agli occhi
della gente per bene, ospita la ruota degli innocenti, degli infanti
colpevoli solo di essere nati. Rue d’Enfer! Camminando con
passo automatico Marguerite si avvicina al muro di pietre chiare
nel quale è inserito il curioso congegno, una piccola porta
di legno consumato e una sorta di manovella che fa girare il cilindro
che sta dietro alla porticina. C’è anche una iscrizione
sopra, forse in latino, Marguerite non sa cosa dice ma pensa sia
un qualche messaggio di saluto. Perché è lì
si lasciano i bambini. E qualcuno dall’altra parte del muro
li prende in consegna…lei ha sentito dire che è un
posto benedetto…forse è quello che ci vuole per il
suo diabolico involto. Fa tanto freddo e Marguerite non sente
più le dita dei piedi ma le braccia sulle quali tiene il
bambino bruciano: ecco un altro segno, “Bisogna che io faccia
in fretta, sarà meglio per tutti, bisogna fare in fretta”.
Ora è davanti alla ruota, apre con facilità lo sportellino
e depone Pierre nel cilindro come se stesse aggiungendo un pezzo
di legno nella stufa. E gira la manovella. Forse ora le si scalderanno
i piedi. Forse la confusione che ha nella testa svanirà
insieme alla nebbia e non si sentirà più addosso
quell’odore di polvere acida.
Marguerite si allontana.
Sfoglia
la ruota Marguerite,
un raggio di morte
un raggio di vita
piccoli demoni sulle tue dita.
Cerca
il tuo senno Marguerite
nell’acqua che scorre
nei giri di fumo
del cerchio infinito.
Marguerite
arriva sulla riva del fiume, alza gli occhi e vede i rami rigidi
dei grandi platani nudi alzarsi al cielo come magre braccia supplicanti
e davanti a quel pubblico muto si lascia andare nell’acqua
della Senna che scorrendo veloce porterà via tutto il male
dal suo corpo di bambina cresciuta.