1) "Rue d'Enfer"
2) "Affaccia bedda"
3 ) "Grande strada di Philadelphia"

4) "Lettera dall'inferno"
4 ) "Era una bellissima giornata"

6) "Inferno nelle viscere"
7) "L'inferno dentro"
8) "Lo specchio dell'anima"
9) "L'ubriaco"
10) "Selena"
 
 

 

 

 

"Inferno"

Lo specchio dell'anima

di ...

12 SETTEMBRE 2004 -
LA CONSAPEVOLEZZA

La luce filtra appena dalle tende nere a pannelli. Il silenzio è quasi assoluto, disturbato solo dal ronzare dell’iMac in stand by, la luce bianca e pulsante del monitor ad illuminare appena la stanza scura e inerte. Il tempo riprende a scorrere con il fischio della teiera inglese.
Nicholas si srotola dalla coperta gialla di pile, si alza con una nuova lentezza che non gli si addice e scalzo compie silenziosamente i dieci passi verso la cucina. Si muove come un automa, fa fatica a riconoscere i percorsi, ma li segue d’istinto, apre la porta scorrevole di vetro acidato e rimane a fissare il filo di vapore che sale verso la cappa di alluminio.
Ogni cosa è al suo posto, Rosa è appena andata via, dopo aver già riordinato e pulito tutto ed aver messo a scaldare l’acqua per il te mentre lui dormiva. Ma il senso di estraneità che sente crescere dentro non gli consente di riconoscere le sue stesse abitudini, che invece Rosa, dopo quattro anni di servizio, ha imparato a rispettare perfettamente.
Si prepara una tazza di tè, si siede sulla plastica bianca di una sedia minimal, appoggia la tazza sul cristallo del tavolo e guarda il calore appannare la superficie. Prova a riordinare i pensieri, prova a inventare un modo per dimenticare le ultime ventiquattro ore, ma capisce che è un tentativo vano, perché non si tratta di scollare dei ricordi dalla mente. E’ la sua essenza stessa che sembra essersi trasformata, forse dovrebbe rinascere, ma questo implicherebbe prima morire, probabilmente uccidersi e forse il cambiamento non è arrivato a tanto.

La mattina, appena sveglio, ha provato a credere ad un incubo, come avrebbe fatto chiunque altro, e si è sentito felice, per un attimo, di quella felicità che non deriva da un pericolo scampato, ma dalla leggerezza di un pericolo mai esistito davvero. Poi è subentrato il dubbio. Si è alzato, si è infilato velocemente una felpa ed i pantaloni del pigiama è andato verso lo studio ed ha aperto il cassetto dello scrittoio. Ha preso la sua pistola, ha estratto il caricatore ed ha visto il vuoto terribile e illuminante di un alloggiamento.
Ha sentito il cuore balzargli in gola e soffocarlo ed ha creduto di morire. L’attacco di panico lo ha assalito all’improvviso ed ha perso i sensi. Si è risvegliato poco dopo, sdraiato sul pavimento di marmo, ridendo tra se del fatto che in un giorno come quello, cadendo così di colpo, non sentisse altro che un forte dolore al fianco sinistro, sul quale era poggiato. Una contusione, nulla di più. Avrebbe potuto spaccarsi la testa. Forse il giusto epilogo.

Ma ora quell’essere ancora vivo, gli sembra, un segno, un invito a sperare.



11 SETTEMBRE 2004 – IL TERZO ANNIVERSARIO

L’11 settembre, come ogni anno da tre anni, ha preso un giorno libero. Si alza un po’ contro voglia, si infila nei vestiti della sera prima ed esce in strada senza nemmeno lavarsi la faccia. Prende la metro fino a Winter Garden. Compra dal solito fioraio un mazzo di gerbere bianche e lo depone accanto alla recinzione che circonda la terribile voragine. Rimane qualche minuto lì, in silenzio, nell’unico momento della sua vita in cui si concede di dedicarsi a qualcosa di inutile e doloroso, probabilmente sentimentale. Poi si scrolla di dosso la tristezza, sistema meglio i fiori e cammina per due isolati, cercando di cacciare indietro sensazioni che sono sul punto di traboccare dalla sua memoria inibita, fino al suo bar preferito, rigorosamente italiano, per un espresso ed una brioche.
Dopo la colazione prende un taxi e si fa lasciare da Franco, sulla Lexington, dove si rifornisce di tutto il suo hardware casalingo. Franco è un italiano, dal quale si recano tutti i turisti italiani indirizzati lì dai loro connazionali che hanno visitato New York. Ovviamente a loro non riserva alcun trattamento di favore, ma la spiegazione del suo successo deve essere in quella strana contraddizione insita negli italiani di ritenersi una popolo furbo, dimenticando che gli affari sarebbe allora meglio farli con qualcuno di diversa provenienza. Ai suoi clienti di New York, invece, quelli più affezionati, è in grado di procurare qualsiasi cosa nel giro di una settimana ed a prezzi davvero convenienti.
Il taxi lo aspetta fuori. Avrebbe preferito la Metro, ma il pacco da ritirare è voluminoso.
- Ciao Nico, il tuo iMac G5 è arrivato. Te lo vado a prendere giù in magazzino. Non ci crederai ma te l’ho rimediato a 700 dollari. –
- Grazie Franco, oggi sono contento di portarmi a casa un regalo. Forse è la giornata giusta per giocare un po’ con un balocco nuovo –
Franco riemerge dopo qualche minuto con una scatola decisamente grande, sebbene sottile, perfettamente in linea con i 21 pollici dello schermo piatto con computer integrato della Apple. Ed altre due scatole più piccole: tastiera e mouse ottico.
- Finalmente, non ne potevo più di rovinarmi gli occhi sul 17 pollici del note book. Al solito, lo provo. Se qualcosa non va, il pacco torna al mittente – Gli strizza l’occhio e gli allunga l’American Express.
Ha fatto un ottimo affare e se ne torna a casa con qualcosa di diverso cui pensare, qualcosa che abbassi il livello di allerta dell’anima.

L’iMac è bellissimo, la struttura di un bianco lattiginoso e lo schermo nero lucido, la sua linea pulita, i suoi led ad intermittenza sfumata. Sposta il portatile aziendale dalla postazione abituale e ci appoggia il 21 pollici, la nuova tastiera ed il mouse, anch’essi bianchi opalescenti. Il sistema di autoconfigurazione dell’iMac gli consente di rendere operativo il computer in pochi minuti. Trasferisce da portatile al suo nuovo gioiello tutti i programmi ed i file che pensa possano essergli utili. Il minimo indispensabile per potersi divertire un po’.
Decide di scaricare la sua posta per vedere se ha correttamente impostato l’account.
Il modem per il collegamento inizia a stridere, in quel suo modo stonato e fastidioso ed infine il collegamento si attiva. Su ‘Enturage’ Il numero delle e-mail nella cartella di posta in arrivo inizia a salire. Si ferma a sette.
Apre la cartella e riconosce subito le prime tre mail che si è inviato da solo dall’ufficio per finire il lavoro interrotto per stanchezza la sera prima. La quarta è una promozione della sua agenzia di viaggi di fiducia, per Capo Verde. Già fatto, pensa, non merita un secondo tour. Poi l’occhio le cade sull’ultima, la prima in ordine cronologico. Sente un brivido, come se il tempo si fosse riavvolto improvvisamente trascinandolo indietro con se di tre anni esatti. L’indirizzo del mittente non dovrebbe neanche più esistere: camljub@hotmail.com. Camljub. Camille Ljubicic. Non è possibile.
Esita, pensa ad un virus, poi dà un’occhiata all’oggetto: ‘grazie dei fiori’. Sente improvvisamente salirgli il sangue alla testa, gli sembra di staccarsi dalla sedia, come tutte le volte in cui perde il controllo. Clicca due volte ed apre.

Grazie, ho sempre amato le gerbere bianche. E’ bello che te ne ricordi ancora. Sapevo che non era una cosa da poco. Ed un certo genere di cose non ti abbandona mai.
Tua per sempre (mio per sempre?)
Cam

Rimane impietrito. Rilegge più volte. Ma è in stato confusionale. Stacca gli occhi dal monitor, beve un sorso di caffè liofilizzato si concentra sul sapore amaro, sul calore che sente scendergli dentro e ritrova la lucidità. Controlla la data della e-mail. 11 settembre 2004. Non è l’inoltro di un vecchio messaggio, almeno non sembra. Allora deve essere uno scherzo di pessimo gusto.
Ma chi sapeva di lui e Camille? Non c’era stato tempo di raccontarlo a nessuno. E soprattutto chi sapeva che ogni anno, in quella stessa data lui le portava gerbere bianche e chi aveva accesso al suo account di posta?

Vorrebbe sentirsi furioso. Ma la verità è che si sente spaventato. Clicca su Reply:

Pessimo scherzo!
Non ho problemi a rintracciarti, visto che sai tante cose, dovresti sapere anche questo.
Non ho tempo da perdere, fai finire qui questo gioco imbecille. In caso contrario troverò io il modo di farti passare la voglia di fare lo spiritoso.


Invia.



ANNO 2001

Nicholas Terenzi era stato nominato responsabile dei sistemi informativi della M&S nel 1998, ed in questo modo era diventato, a soli trentatre anni, il più giovane dirigente di una delle più grandi e potenti banche degli Stati Uniti. Nonostante questo, non era il traguardo più ambizioso che un uomo della sua intelligenza e intuitività potesse aspirare a raggiungere.

Lui e Camille si erano incontrati per la prima volta nell’agosto del 2001, quando lei, appena assunta dalla M&S come Responsabile del controllo qualità, le era stata presentata perché lui le spiegasse i sistemi di protezione della rete e delle transazioni bancarie, che lui stesso aveva riprogettato un anno prima con la motivazione iniziale di renderli compatibili con l’anno duemila, ma che in realtà aveva completamente stravolto creando un sistema di crittografia a chiave pubblica e chiave privata che aveva fruttato all’azienda un riconoscimento ufficiale e una crescita rilevante dei capitali gestiti.

Camille Ljubicic era una donna di grande intelligenza, non bellissima, probabilmente troppo magra, ma incredibilmente intrigante. Riusciva a tenergli testa, le sue domande richiedevano sempre una riflessione, le sue osservazioni erano sempre acute e precise.
Gli aveva raccontato di essere originaria dell’Europa dell’Est, il padre era nato e cresciuto a Zagabria. Era evidente che lei ne aveva ereditato i tratti tipici degli slavi, gli zigomi alti, la bocca piccola, i capelli biondo cenere, l’ossatura sottile.
Come gli slavi aveva un carattere schivo, distaccato, ma comunque cordiale . Non c’era nessun atteggiamento costruito nella donna, era molto naturale e schietta, mai banale, proprio perché non cercava di stupire, diceva quello che l’occasione richiedeva in un modo spontaneo che finiva per caratterizzarla.
E c’era una cosa che lo faceva impazzire, che lo affascinava e divertiva allo stesso tempo. Lei aveva una specie di avversione per il linguaggio tecnico, provava un gusto inspiegabile, sebbene la cosa non sembrasse premeditata, nel veder confondersi i sistemisti, quando disdegnava, laddove possibile, i termini informatici con cui avevano familiarità, ricorrendo invece a definizioni prese dal migliore inglese e ovviamente ugualmente adeguate. Probabilmente questa capacità le derivava dal fatto di essere bilingue, di aver pensato sempre in una lingua e simultaneamente tradotto nell’altra, cercando sempre il termine più corretto per rendere la cosa allo stesso modo, più per abitudine che per necessità.

Nicholas era un uomo difficile da stupire. A causa della sua acuta capacità di osservazione e di comprensione dei comportamenti umani, aveva imparato a riconoscere la banalità anche quando questa tentava di nascondersi dietro un’originalità ostentata e più si nascondeva più gli risultava intollerabile. Era una persona cui piaceva poter cambiare il proprio punto di vista su qualcosa o qualcuno ed era alla continua ricerca di soggetti che lui definiva ‘liberi’, ossia capaci di essere persino incoerenti pur di seguire le loro sensazioni, le loro voglie, le loro intuizioni. Avrebbe preferito non attirare troppo l’attenzione, o meglio attirare solo quella voluta, ma questo gli riusciva piuttosto difficile a causa di un quoziente intellettivo spaventoso ed alla sua incapacità di essere prevedibile, tanto da riuscire ogni tanto a sorprendere anche se stesso.
Trovava che il bilinguismo fosse una caratteristica davvero affascinante, perché permetteva ad una persona di avere ‘suoni’ diversi. Era il massimo dell’instabilità, quel doppio codice di interpretazione delle cose, quel duplice modo di comunicare con l’esterno e soprattutto con se stessi. E c’era quel rammarico in lui che, a dispetto del suo cognome italiano, era americano da tante generazioni e non aveva potuto fare altro che imparare l’italiano tramite un corso e tentare di recuperare qualcosa della cultura dei suoi avi. Ma era solo cultura, che nulla aveva a che fare con qualcosa che ti appartiene, con un modo di essere.

Era evidente l’affinità elettiva che li legava ed il fascino che quella donna esercitava su di lui. Con Camille gli sembrava di guardarsi allo specchio e vedere se stesso più nitido.

Fu lei ad avvicinarlo, dopo una settimana di lavoro gomito a gomito, in quel suo modo asettico: – Mi piacerebbe parlare con te di qualcosa che non sia lavoro. Ti trovo interessante e mi piacerebbe cenare con te – Così, senza girarci intorno. Lo aveva sorpreso una volta ancora.
E così avevano cenato insieme e lei si era rivelata una donna incredibilmente simpatica. Aveva un’ironia ed uno spirito critico decisamente più sottili degli standard americani. Non era una donna dolce. Era attenta, accogliente.
Aveva uno stile sobrio, ma ricercato. Indossava capi anonimi, di buona fattura, faceva molto caso ai dettagli, ma era come se ogni volta, nella ricerca della perfezione, qualcosa le sfuggisse: la lunghezza dei pantaloni, l’acconciatura dei capelli, lo smalto alle unghie. Questa distrazione, la umanizzava, rendeva probabile una donna che altrimenti sarebbe sembrata di un altro mondo. Ed aveva un modo sensuale di muovere le mani, soprattutto quando le passava sul collo per scostare i capelli.

Parlarono per ore, prendendo argomenti come foglietti di carta pescati da un’urna, aperti e gettati sul tavolo, così a caso. Ne venne fuori una passione comune per la letteratura cyberpunk e per l’espressionismo di Munch. Risero della comune incapacità di resistere alle patatine fritte nelle buste e dell’avversione, anch’essa condivisa, per le bustine di tè, perché non profumano come le foglie sfuse e lasciano nell’acqua il sapore della carta. Scoprirono di non aver votato per lo stesso candidato alle ultime elezioni, ma lei ammise che in fondo Gore non era tanto più antipatico del Presidente.
E lui scoprì che lei amava i fiori bianchi, soprattutto le gerbere.

Si accese una scintilla, qualcosa che li avvolse in una passione totale, vissuta tra parole perfette e baci interminabili, tra racconti meravigliosi e amplessi feroci, lasciando che il cuore si facesse una sua idea che nessuno aveva voglia di ascoltare.
Un relazione che neanche lei riuscì a definire, in nessuna delle due lingue, che rimase sospesa in un tempo e in uno spazio indefiniti per il poco tempo che le venne concesso.

Fino a a quel momento in cui scoppio l’inferno.
Fino a quando due aerei guidati alla pazzia non trafissero il cuore di tutti i mondi che lui conosceva, materiali o racchiusi nell’anima di uomini.
Prima si era infranto il vetro. Poi aveva ceduto il cemento. Ed in sequenza, in un istante dilatato dal ricordo, si era polverizzato tutto ciò che aveva tentato di frapporsi, fino a che non venne dilaniata la carne.
E quella che non venne dilaniata, bruciò, soffocò, venne seppellita.

Lui era al piano terra, aspettando dei clienti che, con un taxi, stavano arrivando dall’aeroporto. Quando sentì il boato del primo impatto, guardò in alto e vide lo squarcio sulla torre vicina. Non capì, rimase a guardare e vide il brulicare delle persone fuori dal palazzo, come formiche spaventate di un formicaio colpito da qualcosa che non doveva e non poteva, a rigor di logica, essere lì. Il secondo impatto, proprio all’altezza degli uffici della M&S, avvenne davanti ai suoi occhi. Allora capì. Senti bruciare dentro la rabbia e la colpa. Mentre si affannava a prestare soccorsi desiderò di morire, ma non ne fu capace. Prima del crollo, un istinto tardivo ed indesiderato, ma inopponibile, lo portò abbastanza lontano. Si salvò.
Camille rimase dispersa per cinque giorni. Poi divenne ufficialmente una vittima dell’attentato al World Trade Center. Il corpo non venne mai trovato.
E lui continuava a portarle gerbere lì dove l’aveva lasciata quella mattina, lo sguardo basso a terra, sperando di ritrovare nello scempio di Ground Zero quella parte di anima che non era riuscito a seguirlo nella fuga tre anni prima e che doveva essersi smarrita lì.



11 SETTEMBRE 2004 – QUALCHE MINUTO DOPO

Nicholas rimane collegato, ancora scosso da quella mail improbabile, mentre infila un CD nel lettore per provare la definizione audio.
Mentre configura il programma di lettura musicale, Enturage lo avverte dell’arrivo di un nuovo messaggio.
Apre il programma. Camljub. Clicca due volte:

Continui a cercare qualcosa. Non la ritroverai perché non è dove la cerchi, ma qui con me.
La nostra passione aveva uno scopo, c’è stato un momento in cui hai saputo quale fosse, un lampo, poi hai rimosso.
Un errore imperdonabile il tuo. Mentre correvi quella mattina, ed ora, quando guardi fuori dalla finestra o lo schermo di un televisore, non riaffiora nulla?
Non puoi sottrarti dal cercarmi per il semplice fatto che è quello che vuoi. Libero arbitrio. La più efficace arma di distruzione, quando lo si dona all’uomo.

Lowes Hotel, 47 Lexinton Avenue. C’è una stanza a tuo nome. Quella che già conosci.
Ti aspetto.

Cam


Nicholas trema di rabbia. Prova ad immaginare, davanti ad una tastiera, un nemico, uno dei tanti che sa di avere e che nemmeno conosce, qualcuno che si diverte a pizzicare i suoi nervi con spietata cattiveria. Si alza, va all’armadietto blindato, lo apre, desideroso di vendetta. Prende la sua sofisticata attrezzatura, la collega all’iMac ed alla presa del telefono. E’ pronto a mettere in pratica, ancora una volta, anni di addestramento.
Poi si ferma. Stacca tutto. Infila la giacca e scende in strada. Piange. Ferma un taxi, sale. – Lowes Hotel – sussurra. Smette di contrastare quel pensiero che cerca di emergere. Lo lascia passare e non sa da dove arrivi. Si sente preda di se stesso, del suo intuito, che supera la sua stessa comprensione. E non sa da dove arrivi la certezza che ci siano risposte terribili ad attenderlo, ma sa di non sbagliarsi.


Entra nella suite, accende la luce del corridoio. Mette a fuoco un luogo che riconosce, che lo riporta indietro a sensazioni perse e non ancora ritrovate. Non c’è nessuno, eppure sente di non essere solo. Istinto, pura intuizione, ancora una volta. Tiene il calcio della pistola tra le mani e cammina lentamente, è abituato ad avere paura, ma non a sentirsi debole.
Attraversa il salotto, senza accendere altre luci, per non dover vedere qualcosa, qualunque cosa sia, cui sente non potrà opporsi. Sa che sta andando contro ogni logica, che non sta rispettando alcun protocollo di sicurezza. Abbassa lentamente la maniglia della porta della camera. C’è una lampada accesa, si sente atteso. Entra, guarda il letto, cerca dei ricordi, ma trova solo terrore. Per qualche ragione sa che deve girarsi. Prende la pistola tra le mani che gli tremano per la paura e per un freddo improvviso che lo ha colto. Lentamente si volta, mirando allo specchio.
Il terrore lo coglie come un fulmine, preme il grilletto, spara, lo specchio rimane intatto, il proiettile si perde nel fondo della stanza riflessa. – Camille! – Grida ancora, paralizzato.
Il viso della donna lo guarda beffardo al di là dello spazio reale della stanza, dalle dimensioni replicate dello specchio, là dove dovrebbe vedere se stesso, distrutto in tanti piccoli frammenti distorti.
- Cam, che succede? Come puoi essere lì? – Sente che il cuore sta per scoppiargli, ma sa che lei non gli permetterà di morire ora.
- Nic, sai già tutto , perché io te l’ho detto. Odio fare lo sforzo inutile di tirare fuori dagli uomini quello che già hanno dentro. La maieutica la vorrei lasciare a chi cerca il sapere, il senso delle cose. Io il senso lo conosco da sempre, lo vedo cambiare, so che può essere aiutato a cambiare e che ci sono solo due direzioni alternative. Sono delusa, ma non troppo stupita, dal fatto che neanche un uomo intelligente quanto te riesca a leggersi dentro in modo accettabile. – Il suo tono è spazientito, deluso, il suo corpo esile lo sovrasta dallo specchio ed il viso ha una luce nuova, sinistra e sensuale.
- Camille, so di sentirmi addosso una colpa insostenibile. Quello che affiora alla mente sembra appartenermi da tempo, ma è confuso. Sento la consapevolezza di una colpa che trovai la prima volta in questa stanza e che tenta da tempo di farsi riconoscere facendosi strada tra ricordi meravigliosi, che però mi ingannano. Mi pervade l’angoscia personale provata in una mattina d’inferno quando già ero salvo, ma sentivo di aver commesso un errore che però non riesco ancora a vedere. Perché mi sento certo di qualcosa che riguarda solo me e che non ricordo di aver vissuto? Chi mi ha dato questa coscienza autonoma e prepotente? Cosa sei? Cosa sono?- Nicholas vorrebbe addolcire quel volto, vorrebbe comprensione, ma lei non è una che finge.
- Qui, sul letto dietro di te, tempo fa ti diedi molto. Scommetto che se ti chiedessi in che modo abbiamo fatto l’amore me lo sapresti descrivere per filo e per segno, nei minimi particolari. Lussuria! Fin troppo semplice. Ma io ti ho dato altro. Non ti ho detto cosa fare, il libero arbitrio non posso annullarlo. Ma posso sfruttarlo. E Poi ti ho lasciato dentro la consapevolezza di tutto. Ti ho dato la possibilità di comprendere le conseguenze delle tue autonome decisioni. Ma tu non vuoi usarla, vigliacco di un uomo! Sono cose solo tue, sai? Sia la scelta che la consapevolezza di averla fatta. Ma tu credi ancora che non ti appartenga. Sono i fatti che vuoi sentire? Allora ti darò i semplici fatti , così che tu possa sovrapporli all’evidenza che già è in te, ed ottenere un insieme leggibile di ciò che insieme abbiamo fatto –.
Nicholas non può fare altro che attendere, come un condannato al patibolo, la proclamazione, che davanti a quello specchio diventa un’autoproclamazione, della sua colpevolezza.
- Nicholas Terenzi, agente CIA sotto copertura alla M&S per seguire una pista da lui stesso intuita. Una serie di bonifici emessi da conti di una banca Saudita tutti riconducibili, a seguito di indagini, ad un sospetto finanziatore di Al Queda, arrivano su conti di banche degli Stati Uniti. Apparentemente è tutto regolare, i fondi vengono utilizzati per investire in azioni e la maggior parte di quegli importi sono ancora fermi su fondi di investimento regolari, gestiti da qualcuno che ha un grosso fiuto per i ribassi e le impennate. Vengono effettuate transazioni continue, variazioni di investimento, passaggio di denaro da un conto ad un altro e per una persona normale è praticamente impossibile cogliere il progressivo, ma minimo, depauperamento dell’importo iniziale. Ma non per Nicholas Terenzi. Non per il suo sorprendente Q.I. che riposiziona i pezzi del puzzle, li riconduce all’origine e trova che ne mancano alcuni.
Dove finiscono gli importi che qualcuno abilmente distrae dal loro fine legittimo? Qualche tentativo di violazione del sistema viene registrato alla M&S, ma il legame è ancora debole. Nicholas si attiva immediatamente, si fa assumere, entra nel vivo delle transazioni, mentre rivoluziona l’intero sistema informativo della banca, analizza con le sofisticate apparecchiature fornite dall’Intelligence i movimenti pregressi e tutti quelli in corso.
Dopo due anni e mezzo, nel luglio del 2001, la matassa non accenna a dipanarsi, ma il punto di svolta è vicino. Solo che Nicholas non lo sa ancora. -
Lui tenta un’ultima, poco convinta difesa delle sue precedenti certezze. - Non sono mai stato vicino alla soluzione, non riuscivo neanche più a sostenere la mia ostinazione. Non ho scoperto nulla! – ma sente la verità affiorare. Rimane in silenzio per qualche minuto davanti al volto ironico di lei. Poi sussurra nella disperazione – sono stato qui, con te, il 19 luglio del 2001. Un solo giorno di lavoro perso, ho lavorato da casa persino quando ero malato. –
- A me bastava un giorno Nicholas. Perché chiederne di più? Avevo voglia di passare un’intera giornata con te, no? E tu hai scelto di assentarti dal lavoro e venire qui. Lussuria! Ancora lei a venirmi in aiuto. Quel giorno, non sei stato l’unico a commettere un errore. Nonostante si sapesse quanto fosse difficile eludere il sistema di sicurezza della tua banca, qualcuno deve averlo dimenticato o sottovalutato ed ha tentato di effettuare una transazione su un conto cercando poi di cancellare il log del file dallo storico delle transazioni. L’idea era quella di fare un bonifico fantasma: il saldo del conto cresce, ma questo non lo controlla nessuno, la transazione, invece, viene totalmente eliminata, grazie ad hakers professionisti capaci di cancellarne ogni traccia. Ma il tuo sistema ha resistito maledettamente, ha dato molto filo da torcere. Se tu fossi stato seduto al tuo posto, le tre ore necessarie alla completa cancellazione della transazione ti sarebbero state sufficienti per intercettarla. Il titolare del conto di destinazione era uno dei dirottatori. Un illustre e sconosciuto islamico che avresti in pochi giorni ricollegato ad una scuola di volo americana e ad alcuni dei personaggi cui sei abituato a prestare attenzione. In una decina di giorni, tutti i potenziali dirottatori sarebbero stati fuori dai giochi.
Ma tu eri qui con me. Un errore mortale. Ovviamente non per te. –
Lei racconta e lui non apprende. Ricorda. Lei è ancora Camille, ha ancora i suoi tratti slavi, i suoi capelli cenere, il suo sguardo calmo, ma non è più Camille. E’ qualcosa che lui ha dentro e forse non è più tanto fuori luogo che sia il suo riflesso. Il riflesso di una parte che ha sovrastato il tutto.
- Avevi bisogno di tremila anime? – la accusa. Ora sono sullo stesso piano. – sei poco ambiziosa!-
Lo guarda comprensiva, come una madre guarda un figlio immaturo. – Non so cosa farmene delle anime, ammesso che l’anima esista. Io avevo bisogno di un esercito. In carne ed ossa. Le tremila persone morte quella mattina sono state il sacrificio necessario perché potesse divampare la paura, la diffidenza. L’uomo è crudele, e quando è spaventato lo dimostra. Il mondo ha paura ed il male prolifica. Gli eserciti che marciano, lo fanno anche per me. Portano la mia parola come mai potrà fare alcun profeta del bene. Mi prenderò il mondo, con calma, standomene a guardare la reazione a catena che la tua distrazione ha innescato.-
E’ atterrito, ma chiede ancora. – Perché io? Sono peggiore di altri, ti somiglio?-
- Per la tua intelligenza, come anche è stato per altri più illustri tuoi predecessori. La capacità di capire ciò che altri non capiscono è un dono casuale, ma anche una condanna. Una condanna ad essere coscienti dei limiti umani, a comprendere l’essenza degli uomini e giudicarli inadatti. Il libero arbitrio non lo posso combattere, ed ho bisogno di qualcuno che veda il mondo a modo mio, senza che io glielo possa imporre. Tu non ami l’uomo e puoi aiutarmi a conquistarlo.-
Nicholas non vuole arrendersi. - Io non odio l’uomo, forse non lo stimo, ma non voglio distruggerlo. E odio te, per quello che hai fatto e per il tuo disegno. Questo ha un senso?-
- Si, il senso è che tu rimani uomo ed io rimango colei che lo domina, una delle due sole alternative, quella più semplice e più congegnale. A te rimane la colpa, a me la gloria -
Nicholas è sconfitto, ma non ha più paura, qualcosa lo induce a sfidarla - La gloria non ti riguarda, non è roba tua. Quello che ho fatto è opera mia, libero arbitrio. E ciò che accade è solo alternanza. Hai vinto stavolta. Io vivrò devastato dalla colpa, ma tu dovrai un giorno tornare a riprendere un lavoro che altrimenti rimarrà incompiuto. Così andrà avanti per l’eternità. E tu non potrai mai fermarti a guardare. Ora sparisci, voglio tornare a vedere me stesso, per vedere se riesco a sostenere il mio sguardo dopo aver sostenuto il tuo-
La figura nello specchio sorride – Ho conquistato l’uomo tante volte, dandogli quello che desiderava senza chiedere alcun sacrificio. Io ho l’eternità davanti. Ci sarà alternanza finchè ci sarà resistenza, ma la sento già molto fiaccata. Torna alla tua vita. Ma non credere di poter far tesoro di quello che hai visto. Rimani un uomo, senza speranza di essere migliore-

Lo specchio va in frantumi, partendo dal centro, laddove la pallottola lo ha trapassato.
Quando il poliziotto dell’albergo entra, richiamato dall’esplosione, lo trova immobile davanti alla cornice vuota, la pistola a terra davanti a lui. Nicholas lo tranquillizza - E’ partito un colpo, ma non si è fatto male nessuno –
Il poliziotto ispeziona la stanza, poi non trovando nulla gli chiede cosa ci facesse lì con una pistola. – Volevo uccidere una parte di me, credo. Ma non ci sono riuscito. Ho bisogno di andare a casa. Posso andare?-