Lo
specchio dell'anima
di ...
12
SETTEMBRE 2004 -
LA CONSAPEVOLEZZA
La luce filtra
appena dalle tende nere a pannelli. Il silenzio è quasi
assoluto, disturbato solo dal ronzare dell’iMac in stand
by, la luce bianca e pulsante del monitor ad illuminare appena
la stanza scura e inerte. Il tempo riprende a scorrere con il
fischio della teiera inglese.
Nicholas si srotola dalla coperta gialla di pile, si alza con
una nuova lentezza che non gli si addice e scalzo compie silenziosamente
i dieci passi verso la cucina. Si muove come un automa, fa fatica
a riconoscere i percorsi, ma li segue d’istinto, apre la
porta scorrevole di vetro acidato e rimane a fissare il filo di
vapore che sale verso la cappa di alluminio.
Ogni cosa è al suo posto, Rosa è appena andata via,
dopo aver già riordinato e pulito tutto ed aver messo a
scaldare l’acqua per il te mentre lui dormiva. Ma il senso
di estraneità che sente crescere dentro non gli consente
di riconoscere le sue stesse abitudini, che invece Rosa, dopo
quattro anni di servizio, ha imparato a rispettare perfettamente.
Si prepara una tazza di tè, si siede sulla plastica bianca
di una sedia minimal, appoggia la tazza sul cristallo del tavolo
e guarda il calore appannare la superficie. Prova a riordinare
i pensieri, prova a inventare un modo per dimenticare le ultime
ventiquattro ore, ma capisce che è un tentativo vano, perché
non si tratta di scollare dei ricordi dalla mente. E’ la
sua essenza stessa che sembra essersi trasformata, forse dovrebbe
rinascere, ma questo implicherebbe prima morire, probabilmente
uccidersi e forse il cambiamento non è arrivato a tanto.
La mattina,
appena sveglio, ha provato a credere ad un incubo, come avrebbe
fatto chiunque altro, e si è sentito felice, per un attimo,
di quella felicità che non deriva da un pericolo scampato,
ma dalla leggerezza di un pericolo mai esistito davvero. Poi è
subentrato il dubbio. Si è alzato, si è infilato
velocemente una felpa ed i pantaloni del pigiama è andato
verso lo studio ed ha aperto il cassetto dello scrittoio. Ha preso
la sua pistola, ha estratto il caricatore ed ha visto il vuoto
terribile e illuminante di un alloggiamento.
Ha sentito il cuore balzargli in gola e soffocarlo ed ha creduto
di morire. L’attacco di panico lo ha assalito all’improvviso
ed ha perso i sensi. Si è risvegliato poco dopo, sdraiato
sul pavimento di marmo, ridendo tra se del fatto che in un giorno
come quello, cadendo così di colpo, non sentisse altro
che un forte dolore al fianco sinistro, sul quale era poggiato.
Una contusione, nulla di più. Avrebbe potuto spaccarsi
la testa. Forse il giusto epilogo.
Ma ora quell’essere
ancora vivo, gli sembra, un segno, un invito a sperare.
11 SETTEMBRE 2004 – IL TERZO ANNIVERSARIO
L’11
settembre, come ogni anno da tre anni, ha preso un giorno libero.
Si alza un po’ contro voglia, si infila nei vestiti della
sera prima ed esce in strada senza nemmeno lavarsi la faccia.
Prende la metro fino a Winter Garden. Compra dal solito fioraio
un mazzo di gerbere bianche e lo depone accanto alla recinzione
che circonda la terribile voragine. Rimane qualche minuto lì,
in silenzio, nell’unico momento della sua vita in cui si
concede di dedicarsi a qualcosa di inutile e doloroso, probabilmente
sentimentale. Poi si scrolla di dosso la tristezza, sistema meglio
i fiori e cammina per due isolati, cercando di cacciare indietro
sensazioni che sono sul punto di traboccare dalla sua memoria
inibita, fino al suo bar preferito, rigorosamente italiano, per
un espresso ed una brioche.
Dopo la colazione prende un taxi e si fa lasciare da Franco, sulla
Lexington, dove si rifornisce di tutto il suo hardware casalingo.
Franco è un italiano, dal quale si recano tutti i turisti
italiani indirizzati lì dai loro connazionali che hanno
visitato New York. Ovviamente a loro non riserva alcun trattamento
di favore, ma la spiegazione del suo successo deve essere in quella
strana contraddizione insita negli italiani di ritenersi una popolo
furbo, dimenticando che gli affari sarebbe allora meglio farli
con qualcuno di diversa provenienza. Ai suoi clienti di New York,
invece, quelli più affezionati, è in grado di procurare
qualsiasi cosa nel giro di una settimana ed a prezzi davvero convenienti.
Il taxi lo aspetta fuori. Avrebbe preferito la Metro, ma il pacco
da ritirare è voluminoso.
- Ciao Nico, il tuo iMac G5 è arrivato. Te lo vado a prendere
giù in magazzino. Non ci crederai ma te l’ho rimediato
a 700 dollari. –
- Grazie Franco, oggi sono contento di portarmi a casa un regalo.
Forse è la giornata giusta per giocare un po’ con
un balocco nuovo –
Franco riemerge dopo qualche minuto con una scatola decisamente
grande, sebbene sottile, perfettamente in linea con i 21 pollici
dello schermo piatto con computer integrato della Apple. Ed altre
due scatole più piccole: tastiera e mouse ottico.
- Finalmente, non ne potevo più di rovinarmi gli occhi
sul 17 pollici del note book. Al solito, lo provo. Se qualcosa
non va, il pacco torna al mittente – Gli strizza l’occhio
e gli allunga l’American Express.
Ha fatto un ottimo affare e se ne torna a casa con qualcosa di
diverso cui pensare, qualcosa che abbassi il livello di allerta
dell’anima.
L’iMac
è bellissimo, la struttura di un bianco lattiginoso e lo
schermo nero lucido, la sua linea pulita, i suoi led ad intermittenza
sfumata. Sposta il portatile aziendale dalla postazione abituale
e ci appoggia il 21 pollici, la nuova tastiera ed il mouse, anch’essi
bianchi opalescenti. Il sistema di autoconfigurazione dell’iMac
gli consente di rendere operativo il computer in pochi minuti.
Trasferisce da portatile al suo nuovo gioiello tutti i programmi
ed i file che pensa possano essergli utili. Il minimo indispensabile
per potersi divertire un po’.
Decide di scaricare la sua posta per vedere se ha correttamente
impostato l’account.
Il modem per il collegamento inizia a stridere, in quel suo modo
stonato e fastidioso ed infine il collegamento si attiva. Su ‘Enturage’
Il numero delle e-mail nella cartella di posta in arrivo inizia
a salire. Si ferma a sette.
Apre la cartella e riconosce subito le prime tre mail che si è
inviato da solo dall’ufficio per finire il lavoro interrotto
per stanchezza la sera prima. La quarta è una promozione
della sua agenzia di viaggi di fiducia, per Capo Verde. Già
fatto, pensa, non merita un secondo tour. Poi l’occhio le
cade sull’ultima, la prima in ordine cronologico. Sente
un brivido, come se il tempo si fosse riavvolto improvvisamente
trascinandolo indietro con se di tre anni esatti. L’indirizzo
del mittente non dovrebbe neanche più esistere: camljub@hotmail.com.
Camljub. Camille Ljubicic. Non è possibile.
Esita, pensa ad un virus, poi dà un’occhiata all’oggetto:
‘grazie dei fiori’. Sente improvvisamente salirgli
il sangue alla testa, gli sembra di staccarsi dalla sedia, come
tutte le volte in cui perde il controllo. Clicca due volte ed
apre.
Grazie,
ho sempre amato le gerbere bianche. E’ bello che te ne ricordi
ancora. Sapevo che non era una cosa da poco. Ed un certo genere
di cose non ti abbandona mai.
Tua per sempre (mio per sempre?)
Cam
Rimane impietrito.
Rilegge più volte. Ma è in stato confusionale. Stacca
gli occhi dal monitor, beve un sorso di caffè liofilizzato
si concentra sul sapore amaro, sul calore che sente scendergli
dentro e ritrova la lucidità. Controlla la data della e-mail.
11 settembre 2004. Non è l’inoltro di un vecchio
messaggio, almeno non sembra. Allora deve essere uno scherzo di
pessimo gusto.
Ma chi sapeva di lui e Camille? Non c’era stato tempo di
raccontarlo a nessuno. E soprattutto chi sapeva che ogni anno,
in quella stessa data lui le portava gerbere bianche e chi aveva
accesso al suo account di posta?
Vorrebbe sentirsi
furioso. Ma la verità è che si sente spaventato.
Clicca su Reply:
Pessimo scherzo!
Non ho problemi a rintracciarti, visto che sai tante cose, dovresti
sapere anche questo.
Non ho tempo da perdere, fai finire qui questo gioco imbecille.
In caso contrario troverò io il modo di farti passare la
voglia di fare lo spiritoso.
Invia.
ANNO 2001
Nicholas Terenzi
era stato nominato responsabile dei sistemi informativi della
M&S nel 1998, ed in questo modo era diventato, a soli trentatre
anni, il più giovane dirigente di una delle più
grandi e potenti banche degli Stati Uniti. Nonostante questo,
non era il traguardo più ambizioso che un uomo della sua
intelligenza e intuitività potesse aspirare a raggiungere.
Lui e Camille
si erano incontrati per la prima volta nell’agosto del 2001,
quando lei, appena assunta dalla M&S come Responsabile del
controllo qualità, le era stata presentata perché
lui le spiegasse i sistemi di protezione della rete e delle transazioni
bancarie, che lui stesso aveva riprogettato un anno prima con
la motivazione iniziale di renderli compatibili con l’anno
duemila, ma che in realtà aveva completamente stravolto
creando un sistema di crittografia a chiave pubblica e chiave
privata che aveva fruttato all’azienda un riconoscimento
ufficiale e una crescita rilevante dei capitali gestiti.
Camille Ljubicic era una donna di grande intelligenza, non bellissima,
probabilmente troppo magra, ma incredibilmente intrigante. Riusciva
a tenergli testa, le sue domande richiedevano sempre una riflessione,
le sue osservazioni erano sempre acute e precise.
Gli aveva raccontato di essere originaria dell’Europa dell’Est,
il padre era nato e cresciuto a Zagabria. Era evidente che lei
ne aveva ereditato i tratti tipici degli slavi, gli zigomi alti,
la bocca piccola, i capelli biondo cenere, l’ossatura sottile.
Come gli slavi aveva un carattere schivo, distaccato, ma comunque
cordiale . Non c’era nessun atteggiamento costruito nella
donna, era molto naturale e schietta, mai banale, proprio perché
non cercava di stupire, diceva quello che l’occasione richiedeva
in un modo spontaneo che finiva per caratterizzarla.
E c’era una cosa che lo faceva impazzire, che lo affascinava
e divertiva allo stesso tempo. Lei aveva una specie di avversione
per il linguaggio tecnico, provava un gusto inspiegabile, sebbene
la cosa non sembrasse premeditata, nel veder confondersi i sistemisti,
quando disdegnava, laddove possibile, i termini informatici con
cui avevano familiarità, ricorrendo invece a definizioni
prese dal migliore inglese e ovviamente ugualmente adeguate. Probabilmente
questa capacità le derivava dal fatto di essere bilingue,
di aver pensato sempre in una lingua e simultaneamente tradotto
nell’altra, cercando sempre il termine più corretto
per rendere la cosa allo stesso modo, più per abitudine
che per necessità.
Nicholas era
un uomo difficile da stupire. A causa della sua acuta capacità
di osservazione e di comprensione dei comportamenti umani, aveva
imparato a riconoscere la banalità anche quando questa
tentava di nascondersi dietro un’originalità ostentata
e più si nascondeva più gli risultava intollerabile.
Era una persona cui piaceva poter cambiare il proprio punto di
vista su qualcosa o qualcuno ed era alla continua ricerca di soggetti
che lui definiva ‘liberi’, ossia capaci di essere
persino incoerenti pur di seguire le loro sensazioni, le loro
voglie, le loro intuizioni. Avrebbe preferito non attirare troppo
l’attenzione, o meglio attirare solo quella voluta, ma questo
gli riusciva piuttosto difficile a causa di un quoziente intellettivo
spaventoso ed alla sua incapacità di essere prevedibile,
tanto da riuscire ogni tanto a sorprendere anche se stesso.
Trovava che il bilinguismo fosse una caratteristica davvero affascinante,
perché permetteva ad una persona di avere ‘suoni’
diversi. Era il massimo dell’instabilità, quel doppio
codice di interpretazione delle cose, quel duplice modo di comunicare
con l’esterno e soprattutto con se stessi. E c’era
quel rammarico in lui che, a dispetto del suo cognome italiano,
era americano da tante generazioni e non aveva potuto fare altro
che imparare l’italiano tramite un corso e tentare di recuperare
qualcosa della cultura dei suoi avi. Ma era solo cultura, che
nulla aveva a che fare con qualcosa che ti appartiene, con un
modo di essere.
Era evidente
l’affinità elettiva che li legava ed il fascino che
quella donna esercitava su di lui. Con Camille gli sembrava di
guardarsi allo specchio e vedere se stesso più nitido.
Fu lei ad
avvicinarlo, dopo una settimana di lavoro gomito a gomito, in
quel suo modo asettico: – Mi piacerebbe parlare con te di
qualcosa che non sia lavoro. Ti trovo interessante e mi piacerebbe
cenare con te – Così, senza girarci intorno. Lo aveva
sorpreso una volta ancora.
E così avevano cenato insieme e lei si era rivelata una
donna incredibilmente simpatica. Aveva un’ironia ed uno
spirito critico decisamente più sottili degli standard
americani. Non era una donna dolce. Era attenta, accogliente.
Aveva uno stile sobrio, ma ricercato. Indossava capi anonimi,
di buona fattura, faceva molto caso ai dettagli, ma era come se
ogni volta, nella ricerca della perfezione, qualcosa le sfuggisse:
la lunghezza dei pantaloni, l’acconciatura dei capelli,
lo smalto alle unghie. Questa distrazione, la umanizzava, rendeva
probabile una donna che altrimenti sarebbe sembrata di un altro
mondo. Ed aveva un modo sensuale di muovere le mani, soprattutto
quando le passava sul collo per scostare i capelli.
Parlarono
per ore, prendendo argomenti come foglietti di carta pescati da
un’urna, aperti e gettati sul tavolo, così a caso.
Ne venne fuori una passione comune per la letteratura cyberpunk
e per l’espressionismo di Munch. Risero della comune incapacità
di resistere alle patatine fritte nelle buste e dell’avversione,
anch’essa condivisa, per le bustine di tè, perché
non profumano come le foglie sfuse e lasciano nell’acqua
il sapore della carta. Scoprirono di non aver votato per lo stesso
candidato alle ultime elezioni, ma lei ammise che in fondo Gore
non era tanto più antipatico del Presidente.
E lui scoprì che lei amava i fiori bianchi, soprattutto
le gerbere.
Si accese
una scintilla, qualcosa che li avvolse in una passione totale,
vissuta tra parole perfette e baci interminabili, tra racconti
meravigliosi e amplessi feroci, lasciando che il cuore si facesse
una sua idea che nessuno aveva voglia di ascoltare.
Un relazione che neanche lei riuscì a definire, in nessuna
delle due lingue, che rimase sospesa in un tempo e in uno spazio
indefiniti per il poco tempo che le venne concesso.
Fino a a quel
momento in cui scoppio l’inferno.
Fino a quando due aerei guidati alla pazzia non trafissero il
cuore di tutti i mondi che lui conosceva, materiali o racchiusi
nell’anima di uomini.
Prima si era infranto il vetro. Poi aveva ceduto il cemento. Ed
in sequenza, in un istante dilatato dal ricordo, si era polverizzato
tutto ciò che aveva tentato di frapporsi, fino a che non
venne dilaniata la carne.
E quella che non venne dilaniata, bruciò, soffocò,
venne seppellita.
Lui
era al piano terra, aspettando dei clienti che, con un taxi, stavano
arrivando dall’aeroporto. Quando sentì il boato del
primo impatto, guardò in alto e vide lo squarcio sulla
torre vicina. Non capì, rimase a guardare e vide il brulicare
delle persone fuori dal palazzo, come formiche spaventate di un
formicaio colpito da qualcosa che non doveva e non poteva, a rigor
di logica, essere lì. Il secondo impatto, proprio all’altezza
degli uffici della M&S, avvenne davanti ai suoi occhi. Allora
capì. Senti bruciare dentro la rabbia e la colpa. Mentre
si affannava a prestare soccorsi desiderò di morire, ma
non ne fu capace. Prima del crollo, un istinto tardivo ed indesiderato,
ma inopponibile, lo portò abbastanza lontano. Si salvò.
Camille rimase dispersa per cinque giorni. Poi divenne ufficialmente
una vittima dell’attentato al World Trade Center. Il corpo
non venne mai trovato.
E lui continuava a portarle gerbere lì dove l’aveva
lasciata quella mattina, lo sguardo basso a terra, sperando di
ritrovare nello scempio di Ground Zero quella parte di anima che
non era riuscito a seguirlo nella fuga tre anni prima e che doveva
essersi smarrita lì.
11 SETTEMBRE 2004 – QUALCHE MINUTO DOPO
Nicholas rimane
collegato, ancora scosso da quella mail improbabile, mentre infila
un CD nel lettore per provare la definizione audio.
Mentre configura il programma di lettura musicale, Enturage lo
avverte dell’arrivo di un nuovo messaggio.
Apre il programma. Camljub. Clicca due volte:
Continui
a cercare qualcosa. Non la ritroverai perché non è
dove la cerchi, ma qui con me.
La nostra passione aveva uno scopo, c’è stato un
momento in cui hai saputo quale fosse, un lampo, poi hai rimosso.
Un errore imperdonabile il tuo. Mentre correvi quella mattina,
ed ora, quando guardi fuori dalla finestra o lo schermo di un
televisore, non riaffiora nulla?
Non puoi sottrarti dal cercarmi per il semplice fatto che è
quello che vuoi. Libero arbitrio. La più efficace arma
di distruzione, quando lo si dona all’uomo.
Lowes
Hotel, 47 Lexinton Avenue. C’è una stanza a tuo nome.
Quella che già conosci.
Ti aspetto.
Cam
Nicholas trema di rabbia. Prova ad immaginare, davanti ad una
tastiera, un nemico, uno dei tanti che sa di avere e che nemmeno
conosce, qualcuno che si diverte a pizzicare i suoi nervi con
spietata cattiveria. Si alza, va all’armadietto blindato,
lo apre, desideroso di vendetta. Prende la sua sofisticata attrezzatura,
la collega all’iMac ed alla presa del telefono. E’
pronto a mettere in pratica, ancora una volta, anni di addestramento.
Poi si ferma. Stacca tutto. Infila la giacca e scende in strada.
Piange. Ferma un taxi, sale. – Lowes Hotel – sussurra.
Smette di contrastare quel pensiero che cerca di emergere. Lo
lascia passare e non sa da dove arrivi. Si sente preda di se stesso,
del suo intuito, che supera la sua stessa comprensione. E non
sa da dove arrivi la certezza che ci siano risposte terribili
ad attenderlo, ma sa di non sbagliarsi.
Entra nella
suite, accende la luce del corridoio. Mette a fuoco un luogo che
riconosce, che lo riporta indietro a sensazioni perse e non ancora
ritrovate. Non c’è nessuno, eppure sente di non essere
solo. Istinto, pura intuizione, ancora una volta. Tiene il calcio
della pistola tra le mani e cammina lentamente, è abituato
ad avere paura, ma non a sentirsi debole.
Attraversa il salotto, senza accendere altre luci, per non dover
vedere qualcosa, qualunque cosa sia, cui sente non potrà
opporsi. Sa che sta andando contro ogni logica, che non sta rispettando
alcun protocollo di sicurezza. Abbassa lentamente la maniglia
della porta della camera. C’è una lampada accesa,
si sente atteso. Entra, guarda il letto, cerca dei ricordi, ma
trova solo terrore. Per qualche ragione sa che deve girarsi. Prende
la pistola tra le mani che gli tremano per la paura e per un freddo
improvviso che lo ha colto. Lentamente si volta, mirando allo
specchio.
Il terrore lo coglie come un fulmine, preme il grilletto, spara,
lo specchio rimane intatto, il proiettile si perde nel fondo della
stanza riflessa. – Camille! – Grida ancora, paralizzato.
Il viso della donna lo guarda beffardo al di là dello spazio
reale della stanza, dalle dimensioni replicate dello specchio,
là dove dovrebbe vedere se stesso, distrutto in tanti piccoli
frammenti distorti.
- Cam, che succede? Come puoi essere lì? – Sente
che il cuore sta per scoppiargli, ma sa che lei non gli permetterà
di morire ora.
- Nic, sai già tutto , perché io te l’ho detto.
Odio fare lo sforzo inutile di tirare fuori dagli uomini quello
che già hanno dentro. La maieutica la vorrei lasciare a
chi cerca il sapere, il senso delle cose. Io il senso lo conosco
da sempre, lo vedo cambiare, so che può essere aiutato
a cambiare e che ci sono solo due direzioni alternative. Sono
delusa, ma non troppo stupita, dal fatto che neanche un uomo intelligente
quanto te riesca a leggersi dentro in modo accettabile. –
Il suo tono è spazientito, deluso, il suo corpo esile lo
sovrasta dallo specchio ed il viso ha una luce nuova, sinistra
e sensuale.
- Camille, so di sentirmi addosso una colpa insostenibile. Quello
che affiora alla mente sembra appartenermi da tempo, ma è
confuso. Sento la consapevolezza di una colpa che trovai la prima
volta in questa stanza e che tenta da tempo di farsi riconoscere
facendosi strada tra ricordi meravigliosi, che però mi
ingannano. Mi pervade l’angoscia personale provata in una
mattina d’inferno quando già ero salvo, ma sentivo
di aver commesso un errore che però non riesco ancora a
vedere. Perché mi sento certo di qualcosa che riguarda
solo me e che non ricordo di aver vissuto? Chi mi ha dato questa
coscienza autonoma e prepotente? Cosa sei? Cosa sono?- Nicholas
vorrebbe addolcire quel volto, vorrebbe comprensione, ma lei non
è una che finge.
- Qui, sul letto dietro di te, tempo fa ti diedi molto. Scommetto
che se ti chiedessi in che modo abbiamo fatto l’amore me
lo sapresti descrivere per filo e per segno, nei minimi particolari.
Lussuria! Fin troppo semplice. Ma io ti ho dato altro. Non ti
ho detto cosa fare, il libero arbitrio non posso annullarlo. Ma
posso sfruttarlo. E Poi ti ho lasciato dentro la consapevolezza
di tutto. Ti ho dato la possibilità di comprendere le conseguenze
delle tue autonome decisioni. Ma tu non vuoi usarla, vigliacco
di un uomo! Sono cose solo tue, sai? Sia la scelta che la consapevolezza
di averla fatta. Ma tu credi ancora che non ti appartenga. Sono
i fatti che vuoi sentire? Allora ti darò i semplici fatti
, così che tu possa sovrapporli all’evidenza che
già è in te, ed ottenere un insieme leggibile di
ciò che insieme abbiamo fatto –.
Nicholas non può fare altro che attendere, come un condannato
al patibolo, la proclamazione, che davanti a quello specchio diventa
un’autoproclamazione, della sua colpevolezza.
- Nicholas Terenzi, agente CIA sotto copertura alla M&S per
seguire una pista da lui stesso intuita. Una serie di bonifici
emessi da conti di una banca Saudita tutti riconducibili, a seguito
di indagini, ad un sospetto finanziatore di Al Queda, arrivano
su conti di banche degli Stati Uniti. Apparentemente è
tutto regolare, i fondi vengono utilizzati per investire in azioni
e la maggior parte di quegli importi sono ancora fermi su fondi
di investimento regolari, gestiti da qualcuno che ha un grosso
fiuto per i ribassi e le impennate. Vengono effettuate transazioni
continue, variazioni di investimento, passaggio di denaro da un
conto ad un altro e per una persona normale è praticamente
impossibile cogliere il progressivo, ma minimo, depauperamento
dell’importo iniziale. Ma non per Nicholas Terenzi. Non
per il suo sorprendente Q.I. che riposiziona i pezzi del puzzle,
li riconduce all’origine e trova che ne mancano alcuni.
Dove finiscono gli importi che qualcuno abilmente distrae dal
loro fine legittimo? Qualche tentativo di violazione del sistema
viene registrato alla M&S, ma il legame è ancora debole.
Nicholas si attiva immediatamente, si fa assumere, entra nel vivo
delle transazioni, mentre rivoluziona l’intero sistema informativo
della banca, analizza con le sofisticate apparecchiature fornite
dall’Intelligence i movimenti pregressi e tutti quelli in
corso.
Dopo due anni e mezzo, nel luglio del 2001, la matassa non accenna
a dipanarsi, ma il punto di svolta è vicino. Solo che Nicholas
non lo sa ancora. -
Lui tenta un’ultima, poco convinta difesa delle sue precedenti
certezze. - Non sono mai stato vicino alla soluzione, non riuscivo
neanche più a sostenere la mia ostinazione. Non ho scoperto
nulla! – ma sente la verità affiorare. Rimane in
silenzio per qualche minuto davanti al volto ironico di lei. Poi
sussurra nella disperazione – sono stato qui, con te, il
19 luglio del 2001. Un solo giorno di lavoro perso, ho lavorato
da casa persino quando ero malato. –
- A me bastava un giorno Nicholas. Perché chiederne di
più? Avevo voglia di passare un’intera giornata con
te, no? E tu hai scelto di assentarti dal lavoro e venire qui.
Lussuria! Ancora lei a venirmi in aiuto. Quel giorno, non sei
stato l’unico a commettere un errore. Nonostante si sapesse
quanto fosse difficile eludere il sistema di sicurezza della tua
banca, qualcuno deve averlo dimenticato o sottovalutato ed ha
tentato di effettuare una transazione su un conto cercando poi
di cancellare il log del file dallo storico delle transazioni.
L’idea era quella di fare un bonifico fantasma: il saldo
del conto cresce, ma questo non lo controlla nessuno, la transazione,
invece, viene totalmente eliminata, grazie ad hakers professionisti
capaci di cancellarne ogni traccia. Ma il tuo sistema ha resistito
maledettamente, ha dato molto filo da torcere. Se tu fossi stato
seduto al tuo posto, le tre ore necessarie alla completa cancellazione
della transazione ti sarebbero state sufficienti per intercettarla.
Il titolare del conto di destinazione era uno dei dirottatori.
Un illustre e sconosciuto islamico che avresti in pochi giorni
ricollegato ad una scuola di volo americana e ad alcuni dei personaggi
cui sei abituato a prestare attenzione. In una decina di giorni,
tutti i potenziali dirottatori sarebbero stati fuori dai giochi.
Ma tu eri qui con me. Un errore mortale. Ovviamente non per te.
–
Lei racconta e lui non apprende. Ricorda. Lei è ancora
Camille, ha ancora i suoi tratti slavi, i suoi capelli cenere,
il suo sguardo calmo, ma non è più Camille. E’
qualcosa che lui ha dentro e forse non è più tanto
fuori luogo che sia il suo riflesso. Il riflesso di una parte
che ha sovrastato il tutto.
- Avevi bisogno di tremila anime? – la accusa. Ora sono
sullo stesso piano. – sei poco ambiziosa!-
Lo guarda comprensiva, come una madre guarda un figlio immaturo.
– Non so cosa farmene delle anime, ammesso che l’anima
esista. Io avevo bisogno di un esercito. In carne ed ossa. Le
tremila persone morte quella mattina sono state il sacrificio
necessario perché potesse divampare la paura, la diffidenza.
L’uomo è crudele, e quando è spaventato lo
dimostra. Il mondo ha paura ed il male prolifica. Gli eserciti
che marciano, lo fanno anche per me. Portano la mia parola come
mai potrà fare alcun profeta del bene. Mi prenderò
il mondo, con calma, standomene a guardare la reazione a catena
che la tua distrazione ha innescato.-
E’ atterrito, ma chiede ancora. – Perché io?
Sono peggiore di altri, ti somiglio?-
- Per la tua intelligenza, come anche è stato per altri
più illustri tuoi predecessori. La capacità di capire
ciò che altri non capiscono è un dono casuale, ma
anche una condanna. Una condanna ad essere coscienti dei limiti
umani, a comprendere l’essenza degli uomini e giudicarli
inadatti. Il libero arbitrio non lo posso combattere, ed ho bisogno
di qualcuno che veda il mondo a modo mio, senza che io glielo
possa imporre. Tu non ami l’uomo e puoi aiutarmi a conquistarlo.-
Nicholas non vuole arrendersi. - Io non odio l’uomo, forse
non lo stimo, ma non voglio distruggerlo. E odio te, per quello
che hai fatto e per il tuo disegno. Questo ha un senso?-
- Si, il senso è che tu rimani uomo ed io rimango colei
che lo domina, una delle due sole alternative, quella più
semplice e più congegnale. A te rimane la colpa, a me la
gloria -
Nicholas è sconfitto, ma non ha più paura, qualcosa
lo induce a sfidarla - La gloria non ti riguarda, non è
roba tua. Quello che ho fatto è opera mia, libero arbitrio.
E ciò che accade è solo alternanza. Hai vinto stavolta.
Io vivrò devastato dalla colpa, ma tu dovrai un giorno
tornare a riprendere un lavoro che altrimenti rimarrà incompiuto.
Così andrà avanti per l’eternità. E
tu non potrai mai fermarti a guardare. Ora sparisci, voglio tornare
a vedere me stesso, per vedere se riesco a sostenere il mio sguardo
dopo aver sostenuto il tuo-
La figura nello specchio sorride – Ho conquistato l’uomo
tante volte, dandogli quello che desiderava senza chiedere alcun
sacrificio. Io ho l’eternità davanti. Ci sarà
alternanza finchè ci sarà resistenza, ma la sento
già molto fiaccata. Torna alla tua vita. Ma non credere
di poter far tesoro di quello che hai visto. Rimani un uomo, senza
speranza di essere migliore-
Lo specchio
va in frantumi, partendo dal centro, laddove la pallottola lo
ha trapassato.
Quando il poliziotto dell’albergo entra, richiamato dall’esplosione,
lo trova immobile davanti alla cornice vuota, la pistola a terra
davanti a lui. Nicholas lo tranquillizza - E’ partito un
colpo, ma non si è fatto male nessuno –
Il poliziotto ispeziona la stanza, poi non trovando nulla gli
chiede cosa ci facesse lì con una pistola. – Volevo
uccidere una parte di me, credo. Ma non ci sono riuscito. Ho bisogno
di andare a casa. Posso andare?-