L’ubriaco
(atto unico)
di ...
Voce
fuori campo: Non so né come, né perché mi
ritrovi qui. Credo aver dormito almeno cent’anni ed essermi
or-ora svegliato. Crénom! Più non giaccio nel mio
letto d’ospedale assistito da petulanti monache, bensì
siedo nella platea d’un teatro, frammisto ad eterogenei
spettatori imbracati su bizzarre poltroncine simili a quelle rappresentate
in recenti dagherrotipi giunti dall’America. Identico è
pure l’elmo calato sul loro capo, unitamente a molteplici
fili che vanno e vengono per ogni canto. Constato ritrovarmi imprigionato
alla stessa sorta e mi sovviene che oltr’Atlantico è
considerato umanitario ammazzar reietti in siffatta maniera. Ah,
monsieur Guillotin! V’han sorpassato. Colà il moderno
boia preferisce la novella elettricità al Vostro nobile
acciaio.
Al di fuori della malattia rammento ben poco dei miei trascorsi,
tantomeno il nome mio. Ch’anch’io sia un criminale?
E costoro che m’attorniano, attenderanno anch’essi
un crudele atto di giustizia? Eppure non m’assale timore
alcuno. Un povero vecchio inseguito dalla paralisi potrebbe attendere
peggior pena d’una preda rincorsa da mute di cani azzannanti
i suoi garretti? No davvero, meglio essere raggiunto al più
presto da un morso fatale, sia squarci la gola com’affilata
lama, sia inietti velenosa corrente.
Beh, sia pure la rappresentazione del mio trapasso, godiamoci
lo spettacolo, tanto più che si sta illuminando il palco.
Pare la scena svolgasi nell’ingresso d’un albergo,
infatti, dietro al comptoir ancora in penombra, intravedo un par
di persone abbigliate da ricezionista. Uno parmi un uomo e, adesso
che si rivolge a noi, il cavernoso tuonar della sua voce conferma
la mia intuizione:
Primo
Ricezionista: Buongiorno spregevoli signore e signori. Questa
è una delle innumerevoli reception dell’hotel più
affollato dell’universo dove state per partecipare ad uno
spettacolo che più reale non si può. Altro che le
tivù pubbliche o private di cui eravate succubi!
Secondo
Ricezionista: Beh, scusami capo, ma non disprezziamole troppo
queste televisioni. In fondo da loro abbiamo copiato i reality
fondendoli pure con un concorso a quiz a cui, appunto, ora parteciperà
il nostro adorabile pubblico.
Voce
fuori campo: L’illuminazione sta migliorando, sebbene non
ancora abbastanza da confermare la femminilità del secondo
ricezionista, ipotesi al momento avvalorata soltanto dal leggero
favellare. Ad ogni modo non comprendo l’argomentare infarcito
d’anglicismi e non credo d’aver mai veduto quegli
strani aggeggi simili a riflettori spenti che puntano alternativamente
verso noi del pubblico e verso la scena. Bah! Saranno novità
giunte dall’America.
Primo
Ric. Giovane, parla solo se te lo dico io, o ti faccio sedere
la in mezzo.
Voce
fuori campo: Adesso li vedo bene. Ricordo vagamente d’essere
un assiduo frequentatore di teatro, eppure trovo anomale sia la
bruttezza animalesca dell’arrogante presentatore, sia l’asessuata
bellezza della gentil valletta, uomo o donna che sia.
Primo
Ric. Bene, ecco come funziona la faccenda: tra poco arriveranno
dei clienti e noi ascolteremo le loro storie che serviranno di
spunto per porvi delle domande a cui dovrete rispondere premendo
i pulsanti colorati che trovate in fondo ai braccioli delle vostre
poltrone. Anche se avete i polsi bloccati, i legacci sono abbastanza
laschi perchè possiate farlo. Oh! Ecco il primo cliente
della giornata. Com’è bello sconquassato!
Voce
fuori campo: Chi sarà mai quest’uomo ch’entra
in sala barcollante, malconcio e stracciato e, nonostante ciò,
piuttosto allegro?
Primo
Ric. Caspita! E quel che più importa, ancora completamente
ubriaco! Sentite come canta!
Cliente:
Ma femme est morte, je suis libre!
Secondo
Ric. Attenzione! Parte il primo quiz. Pulsante verde se pensate
che parli in francese, rosso se in inglese. Vi ricordo l’obbligo
assoluto di schiacciare o l’uno o l’altro dei bottoni
e di farlo entro due secondi, altrimenti ...
Voce
fuori campo: Il pubblico pare avvezzo al gioco e non se lo fa
dire due volte. Ho riconosciuto la mia lingua madre e automaticamente
spingo anch’io uno dei bottoni, sebbene ignori a quali conseguenze
ciò potrà condurre. Una buona metà sbaglia
e una persona non fa in tempo a premere.
Primo
Ric. Ahi! Collega, intervista quel tanghero e vediamo se vuol
fare il furbetto o se è semplicemente un lumacone.
Voce
fuori campo: Il malcapitato spettatore farfuglia qualche scusa
puerile. Immediatamente una scarica elettrica lo fa sussultare.
Ma in che bolgia sarò mai capitato?
Secondo
Ric. Per mia intercessione ed essendo questa la prima domanda
di rodaggio, ci siamo tenuti leggeri col voltaggio, inoltre non
terremo conto di chi ha spinto il pulsante rosso dell’opzione
sbagliata, quella inglese, poiché la domanda era soltanto
per darvi un’idea prima di proseguire. Ora coloro che non
capiscono girino il selettore delle lingue su Italiano.
Voce
fuori campo: Il cliente continua la sua canzone e a me sembra
di riconoscerla. Accidenti, mi pare che domani dovrei ricevere
la visita di un editore, ma per cosa e perché me ne ricordo
adesso?
Cliente:
Mia moglie è morta, e son libero!
Posso bere fin che ne ho voglia,
Primo
Ric. Avanti pubblico, con cosa si sbronzerà mai il nostro
cliente? Pulsante verde per l’absinthe, rosso per il pastis.
Per aiutarvi vi dirò che visse molti anni a Parigi.
Voce
fuori campo: Questa volta tutti schiacciano in tempo, ma una buona
metà sceglie il marsigliese pastis. Sebbene cominci a divertirmi,
questo gioco mi sembra completamente idiota.
Primo
Ric. Provincialotti! Avanzi di Tivù spazzatura! Ebbene,
adesso i rossi riceveranno una scossa elettrica. Qui non si danno
premi, soltanto punizioni. Collega, vai con la corrente!
Voce
fuori campo: Chissà grazie a quale trucco, una dorata aureola
cerchia senza contatto la testa della ricezionista seguendola
fedelmente nei suoi movimenti. Questa seconda volta, l’apparentemente
angelica conduttrice, va pesante con la manetta della corrente,
provocando un coro di lamenti e stridor di denti. Intanto, il
cliente continua a cantare.
Cliente:
quando tornavo a casa senza un soldo
con le sue grida mi straziava l’anima.
Secondo
Ric. Davvero un bel tipo. Avanti caro pubblico, se credete che
l’abbia ammazzata premete il pulsante rosso, altrimenti,
se pensate a una morte naturale, spingete quello verde.
Voce
fuori campo: Coloro ch’hanno scelto il verde ricevono una
scossa tremenda.
Primo
Ric. Razza di ipocriti, vi siete ben guardati dallo scegliere
secondo la vostra natura criminale. Voi che avreste volentieri
accoppato vostra moglie per scappare con la collega d’ufficio.
Noi vi leggiamo nel pensiero, anzi, Noi vi inducevamo i pensieri
ben prima che passaste la sponda e arrivaste qui!
Voce
fuori campo: Passaste la sponda? Che si sia già tutti morti?
Eppure, almeno il cliente sembra ben vivo e non arresta il suo
canto.
Cliente:
Or mi sento felice come un re:
l’aria è pura e il cielo splendido...
Era proprio un’estate così
quando mi innamorai di lei.
Primo
Ric. Veramente quella che questo ubriacone vede alle nostre spalle
è una gigantografia delle Bermuda. Ad ogni modo è
romantico l’amico, eh!
Secondo
Ric. Un vero paradiso, vero capo?
Primo
Ric. Taci, i nostri principali potrebbero trovare fuori luogo
la tua ironia e prendersela con me. Ed ora la domanda: rosso se
questo splendido assassino, questo fiore del male, l’ha
ammazzata a mani nude, verde. Se, invece, l’ha sparata,
gasata, elettrificata, ecc. allora rosso.
Voce
fuori campo: Il pubblico è disorientato. I miei vicini
prossimi copiano la mia risposta direttamente, mentre quelli accanto
ad essi gliela carpiscono a loro volta, innescando una catena.
Forse questa fiducia nasce dalla considerazione che non ho ancora
ricevuto scosse o forse perché ostento sicurezza. I più
distanti dal mio entourage probabilmente rispondono a caso.
Primo
Ric. Vedo un professorone tra tutta questa marmaglia! Collega,
chiedigli che cosa ha risposto.
Voce
fuori campo: Noto un paio di protuberanze sulla fronte del ricezionista
uomo, visibili quando muove il capo e riflette le luci della ribalta.
In fondo siamo a teatro e non mi sorprenderei di veder spuntare
una coda qualora voltasse le terga. Il diabolico ricezionista
pare avercela proprio con me. Rispondo che la donna è stata
ammazzata usando le sole mani.
Cliente:
Perché io l’ho buttata in fondo a un pozzo,
Voce
fuori campo: Ho ricordato bene. Tiro un sospiro di sollievo e
ringrazio mia madre d’avermi finora impedito di scialare
il mio patrimonio pubblicando i miei scritti e costringendomi
a studiare e leggere quelli che lei ritiene buoni libri. La figura
della mamma non si dimentica mai ... dunque, sarei io un professore?
E se sì, abbastanza famoso da essere conosciuto da un umile
ragazzo d’albergo?
Primo
Ric. Vi credete furbi Voi intellettualoidi, vero! Sbagliato! La
donna è deceduta dopo essere caduta nel pozzo, causa lapidazione.
Ascolta il seguito.
Cliente:
e ci ho ammucchiato sopra perdippiù
tutte le pietre di quel parapetto.
Voce
fuori campo: Crénom! Anch’io ricevo la mia dose di
elettroni, giuro ch’è tanto dolorosa per le mie ossa,
quanto per il mio orgoglio aver perso cotanta memoria.
Cliente:
La dimenticherò, se posso!
Secondo
Ric. Già, e si è pure dimenticato di pagare il conto
al bistrot! Ma da qui non potrà fuggire.
Cliente:
In nome dei profondi giuramenti
da cui nulla ci può mai slegare,
per tornare ad amarci
come al tempo delle nostre ebbrezze,
Secondo
Ric. Dunque anche lei non disdegnava alzare il gomito! Però
dovrebbe già essere arrivata.
Primo
Ric. Forse è entrata da un’altra parte, qui ci sono
sezioni per ogni specialità di peccatori, recentemente
salite di numero quanto i nuovi mestieri.
Voce
fuori campo: Peccatori! Che si sia finiti tutti all’inferno?
Ma io non credo a queste panzane ... eppure non trovo altre spiegazioni
al momento.
Cliente:
l’ho supplicata di trovarci ancora,
di notte in una strada solitaria.”
Secondo
Ric. Dai che adesso è facile per i più truculenti
tra Voi. Pulsante verde se è venuta, rosso il contrario!
Voce
fuori campo: Ormai ho capito. Questo pubblico, benché privato
quand’ancora era in vita del suo senso critico dall’abuso
di questo nuovo tipo di spettacolo chiamato televisione, credendo
di non essere diventato del tutto stupido, spinge in prevalenza
il rosso, subodorando una trappola.
Cliente:
Lei c’è venuta, pazza creatura!
Siamo tutti un po’ pazzi a questo mondo!
Primo
Ric. Hi, hi! Più le faccio facili e più ne pesco,
poveri sciocchi! La risposta esatta era la più ovvia! Adesso
i rossi riceveranno la loro parte di scossa. Intanto facciamo
un intervallo pubblicitario.
Voce
fuori campo: Mentre passa una reclame, dove un certo Dottor Faust
pubblicizza una particolare banca che promette una mente enciclopedica
in cambio della nostra anima, io dimentico dove mi trovo e continuo
ad ascoltare il cliente ubriaco che continua a cantare: mi sa
che ha a che fare con l’editore che dovrei incontrare domattina.
Cliente:
Era ancora carina,
sebbene un po’ sfiorita,
ed io l’amavo troppo, ed allor le ho detto:
esci da questa vita!
Nessuno mi può capire: forse che
un di questi stupidi beoni
ha mai pensato in qualche notte d’incubo
di trasformare il vino in un sudario?
Tutti questi cialtroni invulnerabili
come fantocci di ferro
mai e poi mai, d’estate né d’inverno,
han conosciuto che cos’è l’amore,
con i suoi neri incantamenti,
l’infernale suo seguito di allarmi
le fiale di veleno, le sue lagrime,
gli stridor di catene e di ossami!
Eccomi libero e solo!
questa sera sarò briaco morto;
Voce
fuori campo: Le rotelline del mio cervello girano: “Paul”?
fuochino. “Arthur”? Acqua: dovrebbe mancarmi una gamba...
Cliente:
e allora, senza tema né rimorso,
mi sdraierò sul suolo,
e dormirò come un cane!
Primo
Ric. L’intervallo è terminato e riprende il gioco!
Tanto per svegliarvi un po’, scossa a tutti, verdi e rossi!
Bene, immagino sia chiaro a tutti dove vi troviate adesso e quale
sia l’unico modo di giungerci. Dunque preparatevi a schiacciare
il rosso per un carro e il verde per un furgone, poiché
la domanda è: cosa ha provocato la morte del nostro ubriacone?
Voce
fuori campo: Le rotelline collimano: “Charles”. Fuoco!
Questa volta non m’imbroglia nessuno. Ricordo bene che è
un carro! Infatti:
Cliente:
Un carro con le sue pesanti ruote,
carico di sassi e di strame,
Primo
Ric. Ti tengo d’occhio professorucolo da strapazzo! E se
invece di un carro fosse ... ascolta tu stesso.
Cliente:
o un furgone furioso, se vuole,
potrà schiacciar la mia testa colpevole
o anche tagliarmi a metà:
Voce
fuori campo: Nuovamente sono stato precipitoso nella risposta.
Quest’ultimi versi lasciano luogo ad ogni dubbio. Aspetto
la scossa, ma questa non viene. Intanto la ricezionista si avvicina
al capo e gli mostra una missiva appena ricevuta. Questi scuote
la testa abbagliando la platea, poi schiocca le dita con fragor
di tuono ed io mi trovo libero dalla sedia elettrica.
Primo
Ric. C’è stata una svista. La nostra compagnia sta
riformando l’antica configurazione dantesca e tu non sei
destinato a questo nuovo girone dei guardoni di reality show,
bensì a rimanere in quello ormai più che centenario
dei poeti maledetti. Aspetta lì e non rompere, che tra
un po’ verrà qualcuno a prelevarti.
Voce
fuori campo: Dunque sono un poeta. Non so se rallegrarmene, chissà
che mi aspetta ancora. Intanto la canzone sta giungendo alla fine.
Cliente:
Io me ne rido, come del Signore ...
Voce
fuori campo: Questo fatidico verso fa trasalire la valletta, mentre
al contrario solletica l’orecchio al ricezionista, ma il
cliente si interrompe. Io so bene perché: il tapino ha
riconosciuto nei due il gatto e la volpe, il finto bene e il finto
male, l’angelo e il demonio. Il ricezionista lo incita a
proseguire, ma il cliente, ormai sobrio, tace terrorizzato. Or
bene, giunto è il momento ch’io, il Poeta, entri
in scena!
Coraggio, sono io, Charles, l’autore della tua canzone!
Cantagliela che ce ne ridiamo anche di Lui! Del diavolo!
Cliente
e Poeta: del Diavolo, e di tutti i Sacramenti!
Primo
Ric. Ma come, tu non mi temi? Non credi all’inferno? Sono
allibito!
Secondo
Ric. Tu non credi nemmeno al paradiso? Sono sconcertato!
Il
Poeta: Voi non esistete più dei fumi dell’oppio che
fumavano i miei colleghi poeti - io preferisco il vino -. Tu arrogante
satanasso d’infima categoria, non sei che un poveraccio,
costretto da quest’essere ambiguo e falsamente remissivo
a recitare in eterno la parte del mostro immondo perch’egli
possa ricattarci terrorizzandoci. Voi siete l’obsoleta invenzione
di piccoli uomini assetati di potere, ormai lontani nel tempo
e non sarà certo una stupida invenzione come la televisione
a ridonarvi consistenza. Ora datemi quel piccolo marchingegno
pieno di bottoni. Come si chiama codesto aggeggo?
Primo
Ric. telecomando, ma che vuoi fare?
Il
Poeta: Lo vedrai. Monsieur Passerau, vi chiamate così se
ricordo bene ...
Cliente:
Si maestro, ero un povero studente allora. Poi...
Il
Poeta: Poi Champavert vi trasformò vostro malgrado in un
avvinazzato e un assassino, ma ora Passerau, premete il bottone
rosso del telecomando e spengete questa farsa di programma. Anche
Voi vi trovate qui per fallo.
Cliente:
Allora premo! Oh! ma son tutti spariti, il diavolo, l’angelo
e tutto il pubblico. Non rimane nulla, il vuoto assoluto. Maestro,
neppur Voi io veggo.
Il
Poeta: Ma possiamo udirci. Venite amico mio, seguite la mia voce,
seguite i miei versi ed io vi porterò nel paradiso della
poesia a conoscere i miei fratelli Verlaine e Rimbaud. Là
incontreremo pure il nostro padre spirituale e vostro creatore
Petrus Borel, o Conte di Champavert che lo si voglia chiamare,
al quale dovete l’unica immortalità possibile: quella
della letteratura.
FINE
**
Da “les Fleures du mal” di Charles Baudelaire, eccovi
l’originale della poesia che mi è servita come guida
nella stesura di questo atto unico: “Le vin de l’assassin”.
La traduzione da me usata è di Mario Bonfantini.
Ma femme est morte, je suis libre!
Je puis donc boire tout mon soûl.
Lorsque je rentrais sans un sou,
Ses cris me déchiraient la fibre.
Autant qu'un roi je suis heureux;
L'air est pur, le ciel admirable...
Nous avions un été semblable
Lorsque j'en devins amoureux!
L'horrible soif qui me déchire
Aurait besoin pour s'assouvir
D'autant de vin qu'en peut tenir
Son tombeau; - ce n'est pas peu dire:
Je l'ai jetée au fond d'un puits,
Et j'ai même poussé sur elle
Tous les pavés de la margelle.
- Je l'oublierai si je puis!
Au nom des serments de tendresse,
Dont rien ne peut nous délier,
Et pour nous réconcilier
Comme au beau temps de notre ivresse,
J'implorai d'elle un rendez-vous,
Le soir, sur une route obscure.
Elle y vint! - folle créature!
Nous sommes tous plus ou moins fous!
Elle était encore jolie,
Quoique bien fatiguée! et moi,
Je l'aimais trop! voilà pourquoi
Je lui dis: Sors de cette vie!
Nul ne peut me comprendre. Un seul
Parmi ces ivrognes stupides
Songea-t-il dans ses nuits morbides
A faire du vin un linceul?
Cette crapule invulnérable
Comme les machines de fer
Jamais, ni l'été ni l'hiver,
N'a connu l'amour véritable,
Avec ses noirs enchantements,
Son cortège infernal d'alarmes,
Ses fioles de poison, ses larmes,
Ses bruits de chaîne et d'ossements!
- Me voilà libre et solitaire!
Je serai ce soir ivre mort;
Alors, sans peur et sans remord,
Je me coucherai sur la terre,
Et je dormirai comme un chien!
Le chariot aux lourdes roues
Chargé de pierres et de boues,
Le wagon enragé peut bien
Écraser ma tête coupable
Ou me couper par le milieu,
Je m'en moque comme de Dieu,
Du Diable et de la Sainte Table!
Questo poema venne effettivamente musicato da Villiers de L’Isle-Adam
che soleva cantarla per significare lo spirito di rivolta dei
“decadenti”.
La poesia-canzone divenne così popolare che nel 1854 Baudelaire
pensò di farne un dramma: L’Ivrogne, - ossia l’ubriaco
-. Per quanto ne so questo non avvenne e allora io ho avuto l’ardire
di sopperire: perdonatemi Voi, poiché dubito che il buon
Charles lo farà mai.
P.s.
Crénom: imprecazione – di cui non consco il significato
- che Baudelaire indirizzava alle suore che lo accudivano quando
si trovava ricoverato in una clinica di Bruxelles. Era l’unica
parola che l’afasia gli permetteva d’esprimere.