Selena
(L’inferno è un luogo comune)
di ...
All’epoca
non capivo perché tutti nel villaggio dicessero che era
una grande fortuna per Luisa essere grassa, quello che ora so,
è che se fosse stata magra la nostra vita sarebbe stata
diversa.
La storia forse incominciò molto prima, quando mio padre
morì, lasciando a mia madre una casetta, due galline, quattro
monete d’argento e l’invidiabile posizione di donna
libera. Ma io attribuisco la colpa di tutto ad Anna, e Anna non
sarebbe mai entrata nella nostra casa se Luisa fosse stata magra.
Quel giorno Luisa andò a cercare legna lungo il sentiero
del lago. Tornò alcune ore dopo, un po’ meno grassa
e con le braccia vuote.
Fu allora che arrivò Anna. Rossa, urlante. Adagiata tra
le erbe officinali che mia madre, come sempre, avrebbe appeso
a mazzetti alle travi del soffitto.
Per molti giorni, nel villaggio, la gente parlò della passeggiata
di Luisa e di quella di mia madre. Perché la luna era calante,
e non era il tempo giusto per raccogliere salvia e maggiorana.
Eppure quella sera mia madre prese il canestro e si avviò
lungo il sentiero.
Dormivo
profondamente quando Giovanni, il maniscalco, venne a chiamare
mia madre.
“Corri, Elena, corri, Luisa ha le febbri e sta morendo”
Ricordo che, mentre mia madre sceglieva scatoline dallo scaffale,
lui non riusciva a staccare gli occhi dalla cesta e dalla bambina.
“Non avresti dovuto farlo, Elena, il destino deve seguire
il suo corso”
“Se così fosse, il destino di Luisa sarebbe quello
di morire in un lago di sangue!”
Ma Luisa non morì. Mia madre la curò con infusi
di corteccia di salice e con compresse di una muffa che solo lei
sapeva riconoscere.
“Guardala bene”, mi diceva sempre. “Questa muffa,
solo questa, guarisce le infezioni. Quella comune peggiora le
febbri. La devi raccogliere quando la luna è esattamente
al primo quarto e devi lasciarla per quattro notti ad assorbire
la luce delle stelle. Ricordatelo, Michele”. Ma mia madre
sapeva che io non avrei imparato la sua arte da femmina. Forse
fu per questo che raccolse Anna.
Luisa non morì.
Mia madre sacrificò una moneta d’argento per comprare
una capra e Anna fu presto meno rossa e meno urlante.
Luisa non morì, ma non ci guardò mai con affetto.
Ricordo il suo viso premuto contro la finestra ogni volta che
qualcuno chiamava: “Elena, Elena corri!”
Il parto difficile di donna Marzia (semi di papavero, Michele,
ricordatelo, aiutano a sopportare il dolore)
Il dito tranciato del falegname. (Compresse di tela di ragno.
Fermano l’emorragia, cicatrizzano)
La gola piena di pustole gialle della piccola Chiara. (Questa
volta, Michele,. la muffa la deve mangiare. La impasto col miele,
vedi?)
“Elena, Elena, corri”
E Anna balbettava dalla soglia di casa “Elèna, mama
Elèna”
Così, per un gioco da bambina e forse anche per l’abitudine
di mia madre di regolare ogni gesto sui cicli della luna, tutti
presero a chiamarla Selena.
Questo non cambiò le cose di molto. Forse perché
i cambiamenti avvengono raramente di colpo. Maturano in lente
sfumature.
Mentre Anna cresceva ed accompagnava mia madre nei boschi, la
gente del borgo continuava a chiamare Selena per ogni impiccio
quotidiano.
Il primo segno evidente del cambiamento venne proprio da Luisa,
che in cambio di un’erba da mischiare al pastone delle galline
malate, donò a mia madre venti noci nuove. Allora non capii
perché mia madre piangesse.
“Ci sono cose che non si pagano, Michele.” Mi disse.
E regalò le noci.
Fu una cosa lenta, ma a poco a poco la gente smise di gridare
“Selena, Selena corri!” Arrivavano portando pane,
frutta, uova, lana e raccontavano, come per caso, che il figlio
era malato o che la capra non dava più latte.
Mia madre correva! E piangeva. “Questi doni porteranno cattiveria,
Michele”.
Mi proibiva di mangiare i dolci ricevuti per il morbillo di Luca
(corteccia di salice per abbassare le febbri. Impacchi di menta
sulla pelle), poi andava a trovare Angela e i suoi bambini che
non avevano capre né galline. “Ci sono cose che non
si devono pagare, Michele, perché sono di tutti. Perché
chi non ha di che pagare possa chiedere lo stesso.”
Una
volta ero io ad accompagnare mia madre nel bosco nelle notti del
passaggio. Quando le stagioni sfumavano lentamente una nell’altra.
Io dormivo avvolto in una coperta. Lei sedeva sotto la quercia
bevendo un brodo di miele, vino e segale cornuta. (*)
“Non posso farti bere questa zuppa, Michele. E’ una
ricetta segreta che mi ha insegnato la nonna. Se tuo padre non
fosse morto, un giorno anche io avrei avuto una figlia a cui insegnarla.
Se la primavera vedesse un ragazzo con me, avrebbe paura a seguirmi.
Ho paura del futuro, Michele, di quando al villaggio non ci sarà
più nessuno che possa andare incontro alla primavera per
ricondurla qui. Potrebbe perdersi e non tornare mai più
e il mondo diventerebbe un inverno perpetuo di freddo e carestia.”
Anche io avevo paura. Paura che lei non tornasse da quell’altro
mondo di cui mi raccontava. Aspettavo il giorno in cui sarebbe
stata Anna ad andare incontro alla primavera ed io non avrei più
dovuto temere un mondo privo della voce di mia madre.
Ma c’erano rituali più allegri e molto più
utili ai miei occhi! Come la raccolta del miele. Bisognava che
la luna fosse nuova. “Le api sono molto più tranquille
quando la luna si nasconde, Michele.” Aiutavo mia madre
a trasportare fasci di legna fine e secca. Avremmo raccolto sul
posto foglie umide e muschio. “Il fumo deve essere denso
e freddo, Michele. Dobbiamo solo calmare le api, non ucciderle.
Vuoi trovare ancora miele la prossima volta, vero?” Poi,
solo mia madre si avvicinava al favo e rubava miele e cera. E
non sempre ne usciva del tutto illesa! Ma a me il miele piaceva
molto ed ero sollecito nell’imparare e nell’aiutarla.
Il guaio lo fece proprio Anna, che un giorno buttò sul
fuoco una bracciata di foglie molto secche. Ci fu una gran fiammata.
La veste di mia madre prese fuoco. La vidi agitarsi. Poi rotolarsi
nell’erba per spegnere le fiamme. Fui rapido a gettarle
addosso del muschio bagnato e tutti ridemmo. Tranne le api, forse.
Ma io vidi il volto di Luisa tra i cespugli.
Quella sera, al villaggio, la gente parlava.
“Selena va nei boschi a danzare danze selvagge intorno al
fuoco”.
“Selena? La nostra Selena sempre pronta a dare una mano?”
“Luisa l’ha vista. E porta con sé anche i bambini.
Sarebbe meglio portarli via, si sa cosa fanno le streghe ai bambini!”
“Zitta, non sai cosa dici! Selena una strega? Ma no! Luisa
ha il dente avvelenato da quando Elena ha salvato la piccola Anna.
Non sopporta di vedesi davanti la sua vergogna. E crede che sia
per questo che nessuno l’ha chiesta in sposa”
“Ma se Selena le ha salvato la vita!”
“E chissà con che arti! Erbe magiche, riti alla luna,
la primavera da riaccompagnare nel mondo! Non sono cose da buoni
cristiani.”
Da
quel giorno i doni iniziarono a materializzarsi davanti alla porta
di casa durante la notte, anonimi, e la gente, quando incontrava
per strada mia madre e la piccola Anna, abbassava lo sguardo.
Anche Angela e i suoi bambini smisero da accoglierla a braccia
aperte.
Giovanni,
una sera, ci venne a trovare.
“Elena, lo sai che ti voglio bene, che ti ho sempre voluto
bene, ma tu la devi smettere con le tue erbe. Si stanno diffondendo
voci cattive e io non ti posso più difendere. Forse non
potrei nemmeno se tu accettassi finalmente di sposarmi”
“Lo so. - mia madre era seria, non avevo mai visto i suoi
occhi così scuri –
Non faccio altro che quello che mia madre e mia nonna hanno fatto
prima di me. Volevo che anche Anna un giorno potesse proteggere
il villaggio. Ma c’è un ombra cattiva e non so come
mandarla via! Prendi Michele, lui è solo un ragazzo! Proteggi
lui.”
Giovanni mi condusse con sé. Mia madre, prima di lasciarmi
andare, mi strinse forte.
Fu
allora che scoprii che l’inferno è un luogo comune.
Comune come può essere un borgo di buoni cristiani.
Le gente si fermava spesso a parlare con Giovanni e l’unico
argomento di conversazione era mia madre, la strega.
“La mucca non dà più latte, stasera lascerò
un galletto morto a Selena. Magari si placa e mi toglie il malocchio.”
“Zitto, che il ragazzo ti sente”
“E che importa? Meglio che sappia chi è sua madre!”
“Avete sentito cosa è successo a Pietro? Il temporale
di stanotte ha fatto crollare un ramo grosso dal castagno. Il
tetto della sua casa è sfondato!”
“E’ perché ha stava pensando di sposare Luisa.
Lo sanno tutti che Selena odia Luisa”
“Certo, è stata lei a provocare la sua gravidanza
illegittima, per rubarle la figlia e avere qualcuno a cui tramandare
la sua arte. Luisa mi ha raccontato di come Selena la fece possedere
dal demonio. Se non ha parlato prima è stato solo perché
aveva paura”
“E allora perché mai le ha poi salvato la vita?”
“Come possiamo conoscere cosa gira per la testa di una strega?”
Andavo
da mia madre di notte, di nascosto. Mi intrufolavo nel suo letto
e piangevamo insieme. Ma l’inferno ci mette poco a insinuarsi
nel cuore. Così una notte le chiesi perché facesse
così tanto male alla gente. Mi guardò a lungo e
non mi rispose.
Urlai. Buttai per terra le sue erbe. La colpii. Niente. Lei nemmeno
piangeva più. Mi guardava e basta.
Quella fu l’ultima notte che andai a trovarla. Passai molte
altre notti, lunghissime, a tentare di scacciare dal mio cuore
la nostalgia per la donna che era stata mia madre.
Giovanni
si ammalò. La strega venne. Cercava i miei occhi con gli
occhi. Siccome non le sorrisi, mise nelle mie mani un cestino.
Presi dalla dispensa due uova e glie le diedi. Appena se ne fu
andata, bruciai il cestino.
Giovanni morì.
Vidi la strega spiare la sua sepoltura.
Quella notte provai a dare fuoco alla sua casa. Ma il demonio
mandò la pioggia.
Il
mattino dopo Luisa entrò nella casa di Giovanni. Prese
il mio materasso e lo portò nella sua camera.
Quando mi prendeva tra le braccia, di notte, a volte mi sembrava
che il nodo di ghiaccio che mi abitava il petto si sciogliesse
un po’. Poi, lei iniziava a raccontarmi l’orrore.
Il terribile incubo che mia madre le mandava ogni notte e da cui
aveva concepito il piccolo mostro.
“Michele, ringrazio il cielo di essere così grassa.
Se fossi stata magra non avrei potuto nascondere la gravidanza.
Ho provato, sai, a distruggere il male. Ho seppellito la bambina
nel bosco. Ma la strega è andata a riprendersela.”
E il nodo si faceva più freddo. E mentre Luisa russava,
cercavo di scacciare il ricordo della voce di chi credevo fosse
stata mia madre.
Poi, poi, ecco il suono di quelle risate, di quando ancora il
petto era caldo e il miele dolce. Il fuoco! Il fuoco avrebbe sciolto
il ghiaccio per sempre. Scacciato il male.
Non
ci volle molto a convincere gli altri ad aiutarmi. Certo, qualcuno
ancora credeva che “no, la nostra Elena non può essere
una strega”.
Ma quasi tutti mi aiutarono. E gli altri si chiusero in casa.
Ero davanti a tutti quando andammo a prenderla. All’inizio
non oppose resistenza. Probabilmente pensava che il demonio avrebbe
mandato ancora la pioggia. Si ribellò solo quando le dissi
che doveva portare anche il mostro.
Ma noi eravamo in molti e la trascinammo via. Lei e l’orrenda
figlia di Satana.
Luisa
era accanto a me mentre il fuoco le divorava. E rideva. Tutti
ridevano, felici di aver stanato chi portava la sfortuna ai raccolti
e la febbre ai bambini.
Io ascoltavo il mio petto, aspettando che il ghiaccio si sciogliesse.
(*) Nda: Esistono studi che considerano il fenomeno della stregoneria
europea come un residuo di antichi rituali dedicati alla Grande
Madre. Prendendo spunto da questo, ho attribuito alla mia protagonista
un’interpretazione popolare dei Misteri Eleusini. Per chi
fosse interessato, allego un breve articolo sull’argomento,
la cui lettura è assolutamente facoltativa.
L’uso
della Claviceps Purpurea nel culto agrario-eleusino di Demetra
Il culto dedicato alla Dea Demetra è famoso soprattutto
nei riti agrari dei Misteri di Eleusi. In quest’antica città
dell’Attica, a poche decine di chilometri da Atene, presso
il tempio dedicato a Demetra, da DaMeter, dove Da sta per gea,
ossia la Grande Madre Terra, divinità riconosciuta come
simbolo di fecondità agraria, conosciuta come Cerere presso
gli antichi romani, si svolgevano e si seguiva la ritualità
in onore di Persefone, figlia di Demetra e dea degli inferi.
Intorno ai Misteri eleusini, la tradizione non ci ha tramandato
il contenuto che i sacerdoti svelavano solamente a pochi intimi,
ma si può ben dire che la misteriosità di questi
riti era la base della visione dualista del mondo (materia e spirito)
che gli antichi greci avevano nella propria filosofia, che poi
costituiva il loro stile di vita esistenziale.
Il ciclo rituale del culto era abbastanza lungo ed era suddiviso,
fondamentalmente, in due grossi momenti: in Autunno e in Primavera,
momenti questi che nel mondo agricolo segnavano, come ancora oggi,
le attività di semina e di raccolta dei cereali.
La ritualità consisteva nello svelare i Misteri, racchiusi
fra la vita e la morte dell’individuo. Per questo motivo
l’allegoria classica consisteva nella metafora del seme
che interrato, giaceva per lunghi mesi prima di giungere ad una
nuova rinascita per poi morire, nuovamente, attraverso la raccolta
delle piante fruttificate che poi ridiventava nuovamente seme.
Questo inevitabile ciclo vegetativo, accrebbe la religiosità
agreste, che nei Misteri eleusini, raccolse la migliore rappresentazione
del mistero umano. Gli antichi greci, già famosi per le
rappresentazioni drammatiche (Pathos) offrivano, tramite il ciclo
naturale della germinazione, un vissuto religioso a sfondo esoterico,
con processioni, cerimonie e catalessi di sacerdoti.
Uno degli elementi famosi delle attività rituali era l’assunzione
di una bevanda il Ciceone (KIKEON). Tale liquido, sembrerebbe
essere composto di numerosi elementi naturali come: orzo, miele,
vino, acqua e formaggio e la segale cornuta. Ognuno di questi
elementi possedeva una propria simbologia rituale e faceva riferimento
alle numerose divinità panteistiche. Circa la segale cornuta,
sembra oggi accertata la sua presenza, fra gli ingredienti del
Ciceone, poiché è un infestante molto presente nei
campi di grano e orzo e comunque sicuramente nasceva spontanea
nei pressi del tempio dedicato a Demetra.
L’odierna ricerca ha appurato che la presenza di un fungo,
la Claviceps Purpurea, nella segale cornuta sarebbe stata la causa
principale delle allucinazioni e dei bizzarri comportamenti a
cui gli adepti dei riti eleusini erano sottoposti.
La presenza di questo fungo parassita, presente in numerose specie
di graminacee selvatiche e coltivate (almeno 200), produce derivati
dell’acido lisergico, per lo più tossici, dalle proprietà
psicoattive e somiglianti a quelle dell’LSD (che è
un composto ricavato da questi alcaloidi).
Si ritiene, pertanto, che gli antichi greci fossero tecnicamente
in grado di produrre una pozione allucinogena, probabilmente non
tossica e mortale dalla segale cornuta. E’ a questa conclusione
che nel 1978 i ricercatori Wasson, Hofmann e Ruck proposero la
segale cornuta (ergot) come chiave psicofarmacologica del ciceone.
Gli autori dell'ipotesi ergotica, dunque, ritengono probabile
che i nuovi adepti eleusini siano stati tenuti all'oscuro di questo
"Segreto dei Segreti" e che questa conoscenza fosse
stata riservata e tramandata ai soli addetti sacri. La rigida
selezione dei sacerdoti, scelti fra i membri delle due sole famiglie
elitarie degli Eumolpidi e dei Keryci, avrebbe facilitato il controllo
della conoscenza del "Segreto dei Segreti" e la continuazione
nelle generazioni successive dei famosi Misteri fino a quando
essi non furono condannati e soppressi dal Cristianesimo, nei
primi secoli dell’era cristiana.
prof.
Pier Giovanni Mastrangelo