1) "Rue d'Enfer"
2) "Affaccia bedda"
3 ) "Grande strada di Philadelphia"

4) "Lettera dall'inferno"
4 ) "Era una bellissima giornata"

6) "Inferno nelle viscere"
7) "L'inferno dentro"
8) "Lo specchio dell'anima"
9) "L'ubriaco"
10) "Selena"
 
 

 

 

 

"Inferno"

Lettera dall’inferno
di ...

Oggi 23 dicembre compio cinquant’anni. Ma questo mia cara tu lo sai già.
E sì, non è più come averne venti o quaranta, a cinquant’anni un’idea più chiara della mia vita dovrei essermela fatta. Ti ho mai detto che spesso ultimamente mi è capitato di chiedermi a cosa devo aver pensato quando sono nato? Sono sicuro che avere quegli occhi puntati addosso che mi fissavano pieni di stupore deve essere stato un gran bell’impatto. Va bene, mi sarò detto, vediamo cosa mi riserverà il resto, ormai sono qui, non è che posso tornare indietro. E poi cazzo sono un uomo, e questo non mi sembra mica un inferno.
Per un po’ è andato tutto liscio, anzi direi una vera pacchia, ma anche questo lo puoi immaginare, qualche volta se ancora te ne ricordi ti ho parlato della mia infanzia.
Sono stato curato, ben nutrito e coccolato e il peggio che mi è potuto capitare è stato farmi scappare la pipì a letto. - Non importa tesoro- mi diceva la mamma - non lo diremo a nessuno.- Ma poi mia sorella sghignazzava e mi stuzzicava con battutine sarcastiche che avevano sempre a che fare con l’acqua, con le fontane o con qualche sperduto laghetto di montagna. Allora io capivo che la mamma gliene aveva parlato, ma quel che non capivo allora era il perché, intuivo solo che era qualcosa che aveva a che fare col fatto che loro fossero entrambe donne ed io invece un maschio. Che ci fosse una specie di battaglia, o forse direi meglio un perfido e sottile gioco fra i sessi lo compresi dopo, quando ne iniziai a sentire l’odore, delle donne dico.
Mia cara tu non puoi capire cosa succede ad un ragazzo di quattordici anni quando una ragazza gli siede accanto nel banco. Anche se mi ripetevo continuamente di non farlo, il mio sguardo era come calamitato da una forza oscura, demoniaca, verso quelle tenere protuberanze e usavo tutte le strategie per riuscire almeno a sfiorarle e godere di quell’inafferrabile piacere che mi prendeva, anche se poi mi tormentavo nell’ansia di saperne di più, di averne di più.
Però al tempo stesso, per quanto mi arrovellassi non riuscivo a spiegarmi come quella stessa frenesia non fosse reciproca. Quello che vedevo negli occhi delle ragazze era sempre una controllata indifferenza come se quella carne e gli effetti che essa poteva provocare non gli appartenesse. Ma c’erano altre cose che avrei dovuto sapere per avere la risposta e presto imparai a conoscerle.
I giochi degli sguardi, la morbidezza di un gesto erano i primi segnali, allora era il momento giusto, ma prima soprattutto bisognava creare la mossa diversiva, ma anche la più fondamentale per giungere al successo. Era necessario innamorarsi o almeno comportarsi come se lo fossi davvero.
Ecco che scoprii che le ragazze non te la danno se non hanno almeno l’alibi dell’amore, il primo e unico anche quando diventava l’ultimo, o quello più tenero, o quello più spensierato, ma doveva essere amore.
Mia cara tu non puoi neanche immaginare quanto sia snervante camminare ore ed ore mano nella mano, e fare mille telefonate idiote interminabili, comprare ridicoli peluche con il terrore che qualcuno ti possa vedere e inventarsi i nomignoli più sciocchi invece di usare il nome di lei, solo per arrivare a fare un’ora di sesso. Ma io ero pronto a tutto e per lungo tempo disponibile ad accettare le regole di questo gioco perverso, seppure complicate, spesso misteriose e il più delle volte basate sull’interpretazione di semplici sensazioni.
Una volta però ci fu una, mi sembra si chiamasse Rosa. Ecco con lei fu diverso. Facemmo l’amore una volta sola. Quando finimmo, io che ormai avevo una certa esperienza, iniziai ad accarezzarla, almeno per quel tanto che bastava per mitigare quel senso di colpa che sembrava avessero tutte le ragazze a quell’età dopo averlo fatto. Ma lei aprì gli occhi e guardandomi fisso in faccia mi disse - ehi senti non metterti strane idee in testa bella scopata ma ora per favore lasciami dormire solo un po’ ché ai miei ho detto che non rientravo troppo tardi.- Lo disse così, tutto d’un fiato, senza pause o esitazioni prima di rigirarsi volgendomi la schiena.
Benché quella frase insolita m’avesse lasciato disorientato, né ci furono altri incontri, Rosa, sì credo che il suo nome fosse proprio questo, rimase nelle mie fantasie giovanili molto a lungo.
Ho saputo che è morta qualche tempo fa, un cancro sembra. In città si diceva che facesse la puttana, ma anche se così fosse che Dio l’abbia in gloria almeno per tutta la felicità che il suo ricordo e quella frase mi hanno donato in questi lunghi anni.
E poi sei arrivata tu. Cazzo se eri bella! Bella da far sparire di colpo tutto quanto il resto. Le ubriacate il venerdì sera con gli amici, il garage dove eravamo convinti che con la nostra musica avremmo fatto impazzire milioni di persone, l’appuntamento sacrosanto al campo di calcio per la partita del sabato sera, tutte le altre donne dell’universo, tutto quanto sparito, spazzato via dal tuo profumo, dal tuo sguardo intrigante. E niente reggeva il confronto con quella tua arietta un po’ snob che avevi quando mi sorridevi.
E quando ti muovevi, se solo ci penso ancora adesso mi manca il fiato, quando tu ti muovevi mi ronzavano in testa solo queste due parole “la voglio”.
Ma se ti muovevi così, era perché anche tu lo sapevi, perché le donne, ormai lo so ho cinquant’anni ricordi, quando camminano così vogliono spingerci solo a fare il primo passo dentro il loro territorio, è lì che si sentono veramente a loro agio. E varcato il confine si entra nella terra del demonio.
E poi è andata che anche tu mi volevi. A me quasi non sembrava possibile, ma dopo ho dovuto crederci perché quando quella sera mi giocai il tutto per tutto e azzardai un timido bacio, tu mi ficcasti la tua lingua calda in bocca. Se il cibo degli dei era l’ambrosia il suo sapore doveva essere quello delle tue labbra! E se veramente esistevano gli angeli, quando cantavano in cielo intonavano le note della tua risata!
Mia cara te lo ricordi quanto ridevamo insieme? A starti accanto la vita scivolava dolce e lenta come miele.
Quanto c’hai messo a rovinare tutto? Due, tre anni? No, non ti ci è voluto molto a trasformarti in quella che sei adesso, e a fare della mia vita un vero inferno. Hai cambiato quasi impercettibilmente prima le piccole cose di poco conto, facendole morire lentamente senza che me ne accorgessi. Sono morte le risate, i tuoi capelli scuri, il bacio del mattino, le cenette improvvisate con le poche cose che ci ritrovavamo in frigo.
- Caro, per oggi dovrai accontentarti per la cena, ho incontrato Luisa che mi ha fatto perdere un sacco di tempo, mi dispiace –
- Ma che vuoi che sia, per una volta un panino fa lo stesso amore mio- rispondevo io. E senza che me ne rendessi conto a andata a finire che a cucinare per entrambi fossi quasi sempre io.
- Potresti anche cambiare menù, di tanto in tanto- mi hai detto ultimamente – ma in fondo perché te lo chiedo, l’ho sempre saputo che sei un uomo senza fantasia - hai poi aggiunto.
Ecco vorrei dirtelo ora dove è finita la mia fantasia, perché io ne avevo, mia cara. È sepolta sotto le migliaia di sì che ti ho risposto in questi anni passati insieme, quando mi chiedevi se avessi abbassato la tavoletta in bagno, o se non avessi ragione tu a dire che Carla non era altro che una stupida con quattro soldi in tasca, e se non fosse fantastico poter passare tutte le vacanze estive sempre con tua sorella ( e i suoi orribili marmocchi e quel cretino del marito aggiungo), se non fosse il caso di pensare ad una casa più grande, magari con terrazza perché ormai ce l’hanno tutti, se invece di quel week-end a Londra non sarebbe stato meglio rimandare e accettare l’invito della zia ( noiosissima aggiungo) che ci teneva così tanto a riunire la famiglia nell’anniversario della morte del suo povero Vittorio, e per non parlare dei -mi dispiace caro, sono veramente troppo stanca, mi perdoni vero?-
A proposito, ti ringrazio per il regalo di compleanno che mi fai ogni 23 dicembre quando ti concedi grattando via appena un po’ del tuo grigiore, e anche se dubito che tu ti stia chiedendo se mi è piaciuto, voglio rassicurarti e dirti ancora una volta sì.
L’ultimo dei milioni di sì in cui sono sprofondato sempre più giorno dopo giorno annaspando nella cenere in cui hai ridotto tutti questi lunghissimi anni.
Ma forse a questo punto è inutile che io continui ad andare avanti.
La lettera mia cara te la lascio bene in vista. Vorrei che stavolta quando rientri sia la prima cosa ad attirare la tua attenzione, e non se come sempre entrando, ho spostato leggermente di traverso il tappeto dell’ingresso. Anzi già che ci sono ora te lo posso dire, negli ultimi anni spesso lo facevo apposta per darti lo spunto per una delle tue scenate, perché dopo esserti incazzata non mi rivolgevi la parola per tutta la serata ed io non ero costretto ad ascoltarti mentre raccontavi quelle inutili cose stupide che sapevi dire.
Ogni volta erano sempre le stesse cose banali, che ti era sembrato di aver visto la moglie di Tonino con un tizio, che il parrucchiere invece di farti la tinta mogano l’aveva fatta color castagna, che il macellaio aveva cercato d’imbrogliarti sul peso della carne. E ci perdevi le ore a dirmi tutto questo, e tu sempre a lamentarti o a sentenziare dall’alto della tua perfezione e guai se mi azzardavo a contraddirti.
La tua voce petulante mi rimbombava nelle orecchie perfino quando sognavo. E ogni notte sognavo sempre la stessa cosa. Sognavo di essere finito all’inferno e la pena che dovevo scontare in eterno era quella. Sì, ascoltare la tua voce piatta e senza più emozione che echeggiava ininterrottamente.
Ecco a questo punto, se ancora non ti fosse chiaro, voglio che tu sappia che oggi 23 dicembre, giorno del mio cinquantesimo compleanno per la prima volta nella vita mi sento di nuovo vivo. Ho raccolto tutto il mio coraggio e ho strappato me stesso dalle fiamme.
Sono fuggito. Ora mia cara sono solo, e finalmente fuori dall’inferno.