Racconti iscritti al Concorso "Inferno" (Inverno 2006)

1) "Rue d'Enfer"
2) "Affaccia bedda"
3 ) "Grande strada di Philadelphia"

4) "Lettera dall'inferno"
4 ) "Era una bellissima giornata"

6) "Inferno nelle viscere"
7) "L'inferno dentro"
8) "Lo specchio dell'anima"
9) "L'ubriaco"
10) "Selena"


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 


 

 

 

Concorso "Inferno" (Inverno 2006

1

Occhi di diavolo

Occhi di diavolo si sono dischiusi
nella mia solitudine più antica
e lento stilla goccia goccia
il tuo veleno.
Come una canzone.
Si addormenta l’anima nel gelo
della dolcezza delle tue parole.
E sul tappeto d’oro del tuo viso

danzano donne senza dita



di ...


2

Inconsapevolezza

Mordi i sospiri
e graffi l’anima che si strugge
Col tuo alito sfami il desiderio
di labbra private
Inferno è l’amor rasente
per chi da amor non è svelato.

 

di ...



3

Inferno

La mia vita
Facce, mani
Tiamonontiamo,
volti, sguardi
trasporti, ritorni
sogni, sveglie
Musica, suoni.
Ci sei? Mi senti?
Risa, pelle,
Mi vuoi? Mi tenti?
Sangue, febbri
Ossa, organi
Pietre
Sul cuore, nei reni
Stanchi.
Ah … i tuoi fianchi!
Ed i capelli bianchi …
Madri
E figli e figlie
Come biglie
Come biglie si sta
Sul crinale di un sogno
… e poi si cade.

di ...



4

Braci

ti aspetterò
sul sentiero della luna spenta
fra le braci della notte
per ricondurti solo d’anima
dentro il mio corpo caldo
e ti lascerò
nella terra del risveglio
fra le braci del mattino
e sarò battito d’ala che si avvolge
alla nebbia fredda del tuo cuore
e ti aspetterò ancora
nel mare dell’oblio
fra le braci dell’eternità
e in equilibrio fra vita e morte
sul vuoto della mia bocca
dolce brucerà per te
l’attesa del peccato




di ...


5

Silenzio e pazienza


Silenzio e pazienza
Per le braccia che bruciano
Per le ossa che si piegano
E tutto è tumefatto,
E' male male male.
Pazienza e silenzio
Passerà questo veleno
Che ci attraversa
Spalle gambe e mani.
Uscirà con le lacrime
Col sangue col sudore
Lo tireremo fuori
Come una placenta
Sarà fuori da noi il dolore
Lo potremo vedere
Lo potremo imbalsamare.



di ...


6

Senza cuore ... il figlio del diavolo

fulcri di cotone imbalsamati
come corona
circondano il sacrato
bagliori incontrollati
riflettono l'avorio
orbite
vuote parlano il passato
in un crescente incubo trovato
destini
spodestati
uniscono il rotondo
e mani aperte...
sul tavolo segnato
uniscono le menti
dell'ultimo delirio.
di suono del passato
rimbombo
nella voce
del capo apostrofato
a fare da riporto...
sorrisi dentro i
cuori
sentirsi ancora amati
e di quesiti ancora
e poi di nuovo ancora
restare sbalorditi
riempir il cuore e tutto...
un urlo tocca il cielo
di grazia ricevuta
prostrarsi piu' che schiavo
al dono della morte
di
voce piu normale
l'entrata nel teatro
e voci concitate...
divise
conosciute...
veder portare via
la tua speranza scura
sentirsi
sottomessi
a l'ultimo sberleffo
tornare a casa mesto...
aprire quella
porta...


di ...


7

Carnevale infernale

Oggi è giorno fortunato
o tu che giungi qui dannato:
abolito il contrappasso
tutto il dì di Marte grasso.

Qual che fosse la tua colpa:
troppo ardore per la polpa,
o dalla gola concupito,
dall’avarizia pervertito,
dal delitto affascinato,
dalle droghe assatanato.

Quanto grave il tuo peccato:
occasional o reiterato,
scegli dunque dove andare
per la pena tua scontare.

Or ti aggiorno sui gironi
di tormenti e situazioni:
ad esempio in questo posto,
infilzato come arrosto
qui cuoce a foco eterno,
a ricetta dello inferno,
un politico affermato
reo d’aver poco rubato.

Là tu a lato puoi mirare,
come pur senza fiatare,
quanto soffra quel magnaccio
immerso nudo dentro ghiaccio.

Qui, invece, posti ammollo
con la cacca fino al collo,
vi si trovan dei mariuoli
irrispettosi rimaioli.
Nonostante il gran fetore
non si prova imman dolore.

Eleggo tosto questo loco
senza ghiaccio e senza foco!

Bravo! Immergi le tue membra
ch’è più fondo di che sembra!
Ed ora, prima ch’io mi scoccia,
immergi tosto la capoccia:
l’intervallo è terminato
oh peccatore fortunato!


di ...


8

La Divina Assunzione

(work in progress, perche’ saranno 34 canti)

DRAMATIS PERSONAE DEI PRIMI 2 CANTI E ¼:

IL POETA: capitato, per error di percorso esistenziale, in loco funesto per se stesso e per l’arte.

MATTEO: ingegnere, poeta, eroe del lavoro e del sesso, promesso sposo d’una sorella elettiva del Poeta.

MNEMOSINE: la memoria, fonte prima dell’opera d’arte e madre delle muse.

CALLIOPE: musa della poesia epica.

ISABELLA TEOTOCHI ALBRIZZI: anche nota come Saggia e Celeste Temira, regina del Parnaso e di Citera, Beata dell’Empireo d’Apollo, Amante in Elicona del Poeta.

 


9


LA DIVINA ASSUNZIONE


Canto I


Al fine del cammin di gioventute
mi ritrovai in un'azienda oscura,
che' le vie dei sogni eran perdute;

e dir che sarebbe cosa si pura
esta receptionist se piu' selvaggia, aspra e forte,
che al pensier rinnovellami la verga dura.

Azienda amara che poco è più morte;
ma per trattar il salario ch'io vi trovai,
dirò dell'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'entrai:
tant'era pien di tornelli a quel punto
che il parcheggio dipendenti abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d'un palazzone giunto,
là dove terminava quella reception,
che m'avea d'attrattive il pen compunto,

guardai in alto, e vidi l'Human Resources Direction
vestita già di quell’organigramma umano
che mena dritto a ciascun la sua job description.

Allor quel dubbio si fece vano,
che nel lago del cor m'era durato
i minuti ch'i' passai col badge in mano.

E come quei che ancora eccitato,
uscito fuor dai vent'anni pien d'emozione,
si volge al lauro fin ieri agognato,

così l'animo mio, con disperazione,
si volse a rimirar i cancelli d’ingresso
che non lascera' mai prima della pensione.

Desideroso di posar il culo lasso,
ripresi via per l'ascensore,
sperando di non esser troppo grasso.

Ed ecco con me intraprender l'erta
una segretaria leggera e maialina d'aspetto,
che di pelle maculata era coverta;

e non mi si partia dinanzi al petto,
anzi mi sfiorava tanto il bacino,
ch'a palpeggi immondi fui piu' volte costretto.

Temp'eran le otto del mattino,
e 'l CEO montava con quei consulenti
che gli giran attorno quando l'amor divino

distribuisce al mondo incassi e proventi;
a me di sperar restavan cagione
di quella segretaria i seni prominenti

l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
d'una security guard l'incazzata apparizione.

Questi mi venia contra con non buone promesse
come fosse il capo di tutte le polizie,
sì che temetti ch'a sodomia mi ponesse.

Ed una dama delle pulizie
che pulia la liberatoria stanza,
e molti fé già attender con ventrali supplizie,

questa mi guardo' con si grave baldanza,
con paura ch'entrassi nel bagnato cesso,
ch'io perdei d'orinar ogni speranza.

E qual è quei che un caffe' espresso
giugne 'l tempo che macchinetta glielo face,
onde ordinar il pensiero complesso;

a cio' la signora resemi capace,
che venendo all'indietro con lo spazzolone
mi colpiva là dove 'l sol tace.

Mentre ch'i' saliva in alto loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per indefesso lavoro parea fioco.

Quando vidi costui nell'open space diserto,
“Miserere di me”, gli dissi celere,
“che tu sei gran direttore di certo!”.

Rispuosemi: “Non direttore, ma solo ingegnere,
e li parenti miei son cisalpini,
in Bollate centro e' il loro podere.

Nacqui degl'anni settanta nei primi,
e studiai al politecnico in loco angusto
sui libri il meriggio, la notte e i mattini.

Ma son innamorato e mi bombardo con gusto
La figlia di Francesco che venne da Manfredonia
Alle nostre prode cercando un viver giusto.

Ma tu perche’ giungi in esto loco ch’e’ gogna?
Perche’ non sali al dilettoso empireo
Che piu’ t’e’ indicato d’Eliconia?”

“Or se’ tu quel grande Matteo
che giunse la’ ove verun’om mai giunse prima?”
Rispos’io vergognoso qual vile plebeo.

“O di tutti gli uomini degno di stima,
macchina da lavor e d’alcova d’amore,
che mai tutte le gesta potro’ mettere in rima;

tu se’ lo mio maestro, indefesso martellatore;
tu sei solo per cui applauso tolsi
a quel tuo abbiocco seral che tanto ti fa onore.

Vedi il contratto per cui qui mi volsi:
aiutami, di speranza mio raggio,
ch’esso mi fa tremar le vene e i polsi.”

“Ti conveniva cercar lavoro piu' saggio”,
rispuose, poi che mi vide in preda a' patemi,
“se volevi scampar d’esto fabbricone selvaggio;

ché questo contratto, per lo qual tu temi,
non lascia d'interpretazion alcuna via,
ma obbedirai a color che son di cultura scemi;

e ha natura sì malvagia e ria,
che non t'empie di viver necessitate e voglia,
e dopo lo stipendio hai più fame che pria.

Pochi son ormai color a cui s’ammoglia,
e sempre meno saranno ancora, infin che il precariato
verrà, che lo farà morir con doglia.

Ma qui v'ha chi parla di global mercato,
anzicche' usar sapïenza, amore e virtute,
e preferisce che ciascun gli stia appecorinato.

Per la nostra generazion sarebbe salute
non il TQM di chi il sangue spilla,
ma un'avvenir di piu' gloriose vedute.

Prelevati da le universitati d’ogne villa,
ci si propone disoccupazion o lo aziendal ’nferno,
che la tomba d'ogni arte e saper sigilla.

Ond’ io per lo tuo ben discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti attraverso 'sto piattume superno;

ove in linea di produzion che'l mercato guida,
vedrai uomini assai antichi dolenti,
ch’a la pension ciascun grida;

e vederai color che son contenti
nella melma, perché speran di venire
alla carica di dirigenti.

Quando, d'esto loco uscito, vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

ché quella Temira che là sù regna,
perch’ i’ preferii di razionalista fanciulla la legge,
non credo ch'alle sue grazie voglia ch'i vegna.

Su tutt'Elicona lei impera e regge;
la' son la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui ch'a poetico amplesso elegge!".

E io a lui: "Sommo, io ti richeggio
per quell'Isabella che tu non conoscesti,
e per quella pulzella cui fai cunnilingi e di peggio,

che tu mi meni attraverso 'sti lochi funesti,
sì ch’io veggia chi ce l'ha nel foro sul retro
e color cui tu dici cotanto mesti".

Allor si mosse, e per sicurezza gli stetti di dietro.


10

CANTO II

Lo shift se n’andava, e il cambio turno
toglieva li operai che lavoraron di notte
da le fatiche loro e li sostituia col diurno;

io m’apparecchiava quasi avessi a far a botte
a star in tal loco che facea pietate,
che ritrarro', e di come ne ebbi le palle rotte.

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scriver non detesti,
ricordami del businness e della mobilitate.

Io cominciai: "Sommo che a guidarmi t'appresti,
guarda il mio job grade s'è potente,
ond'io additato qual'infame non resti.

Tu dici che chi d'Ulisse fu scrivente,
bancario seppure, ad immortale
fama andò, e fu ancor vivente.

Perciò, se l’avversario d’ogne aziendale
vita i fu, pensando l’alto romanzo
ch’uscir dovea di lui, e ’l quale

non pare indegno ad omo d’intelletto ganzo;
ch’ei fu de l'Irlanda intera
ne l’empireo ciel lo scrittor piu' manzo:

la quale della Guinness vera
fu stabilita per lo loco santo,
amara al punto giusto, schiumosa e nera.

Per questo lavor di ripiego cui dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua grandezza e dell'eliconio ammanto.

Andovvi poi Pessoa lo portoghese,
ch'indi compose quei versi tristi e gai
che furon mia lettura nel giovanil mese.

Ma io, perché venirvi? Ma si e' visto mai?
Io non scemo, ne' Giocondo sono;
me degno a ciò né io né altri ritenne giammai.

Se a questo contratto io m’abbandono,
temo infine d'uscirne folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono".

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e nel voltare il cul cangia direzione,
sì che a gambe levate dai coglioni si tolle,

tal mi fec’ ïo ’n quell'oscuro fabbricone,
perché, ripensandoci, consumai la voglia
di venir li' ogni giorno all'ora di colazione.

"Va' che tremi quanto una foglia",
rispuosemi quell'ingegno soave,
"e sentesi che di cagotto tu provi gran doglia;

il qual molte fïate il ventre fa grave
sì che d’onorata impresa l'om dissuade
come, cercando la gnocca, il trovar due fave.

Acciocche' tutta 'sta tema ti cade,
dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi
mentre tu giungevi in este contrade.

Io avea da poco i ludi amatorii sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che d'essermi dominatrice io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir in lingua veneziana,
con angelico cinguettio di soave augella:

“O anima bollatese e padana,
di cui la fame ancor di donna dura,
e durerà quanto ’l pampino lontana,

l’amico mio, con gran sventura,
s'e' fatto assumere da impedito
ed or ha un volto che fa paura;

e temo che non siasi già smarrito,
tra una mail forwardata e una pagina updatata,
che' mai parole si' orrende in Elicona ho udito.

Or movi, e mostragli la giornata
di chi questo mestiere fa per campare,
l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.

I’ son Isabella che ti faccio andare;
vegno da Empireo di poesia satollo;
amor mi mosse, che mi fa parlare.

Quando sarò dinanzi ad Apollo,
di te mi loderò sovente a lui”.
Tacette allora, ed io con sudato collo:

“O donna di prosperose virtu' per cui
l’umana spezie eccede ogne contento,
c'ogni altra donna ha minor li seni sui,

tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
aprimi, oltre alle gambe, il tuo talento.

Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender in questo plant di produzione
ch'ognun vuol uscirne piu' presto che tardi”.

“Da che tu non vuo’ farti d'acci tuoi un minestrone,
dirotti brievemente”, mi rispuose,
“perch’ i’ non temo esto loco di carcerazione.

Temer si dee di sole quelle cose
c’hanno potenza di fare altrui male;
de l’altre no, ché son solo mal olezzose.

I’ son fatta spettro e tale,
che supplizio e smaronamento non mi tange,
anche se tutt'esta voglia di star qui non m’assale.

Mnemosine gentil in Elicona si compiange
di quest'assunzione ov'io ti mando,
sì che le piu' dure palle là sù frange.

Questa chiese Calliope in suo dimando
e disse:—Or ha bisogno il tuo fedel mortale
di te, e io a te lo raccomando—.

Calliope, nimica di ciascun om banale,
si mosse, e venne nel mio tempio di Citera,
Ov'io facea cosa ch'a te non cale.

Disse:—Isabella, loda della musa vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
che studio' per la penna e non per la ciminiera?

Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che ’l combatte
alla scrivania, con un product manager accanto?—.

Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com’ io, dopo cotai parole fatte,

venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo pacco onesto,
ch’onora te e quelle che subito l’hanno”.

Poscia che m’ebbe ragionato questo,
le grandi poppe lagrimando volse,
che mi fecer venir ancor più presto.

E venni a te così com’ella volse,
pensando che tu te la farai,
mentr'a me con un ceffon ogni voglia tolse.

Dunque: che è? perché li' impalato te ne stai,
perché non timbri che son le otto e diciassette,
perché il badge in bella vista non hai,

poscia che tai tre muse formosette
curan di te ne la corte del cielo,
ed io sono om che aiuta e non te lo mette?".

Quali pistolini dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che manual strofinata li ’mbianca,
si drizzan tutti duri in loro stelo,

tal mi fec’ io aggiustandomi la cravatta stanca,
e tanta voglia di lavorar al cor mi corse,
che parevo un impiegato in banca:

"Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese, che ti si rizzo’ tosto
a le vere tette che ti porse!

Tu m’hai con disiderio il cor disposto
sì al portar il giogo come un bue,
ch'apro subito la mail ed un messaggio ti posto.

Or va, ch’un sol responsible è d’ambedue:
lui duca, lui segnore, ma tu maestro".
Così li dissi; e poi che mosso fue,
strinsi ancor la cravatta qual fosse capestro.


11


Canto III

"Per me si va all'impiego dipendente,
per me si va all'opportunita' di carriera,
per me si va tra la salariata gente.

Mi mosse o il produrre, o la fame nera;
obbligommi la borghese podestate,
che non conta sapienza vera.

Dinanzi a me non fuor altre scelte date
se non il travaglio eterno, o interinale.
Lasciate ogni sogno, voi che iniziate."

Queste parole su uno schermo di terminale
vid’ ïo scritte varcando una soglia;
per ch’io: "Maestro, e' uno scherzo di carnevale?".

Ed elli a me, con alquanta doglia:
"Qui si convien lasciare ogne intelletto;
d'ogne volonta' convien che qui ti spoglia.

Noi siam venuti al manufacturing di cui t’ho detto
ove le genti per esser piu' operose
hanno perduto la voglia di scherzo e di diletto".

E poi che una tuta in mano mi puose
con lieto volto, ond’ io la indossai,
mi spinse tra macchine assai costose.

Quivi ove luce solar non entra mai
e l'environment e' controllato contro le particelle,
con la mascherina sul naso a fatica respirai.

Dialetti di provincia, apprezzamenti sulle mammelle,
discorsi di calcio, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e sirene d'allarme con elle

facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quella clean room dalla pressione spinta,
con qualche cappa che l'aria aspira.

E io ch’avea di cuffietta la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’ è che par nell'ignoranza sì vinta?".

 

 

 

 

 

 

 

 

BANDO DI CONCORSO DI POESIA
INFERNO (Inverno 2006)

Il tema del concorso è: l'inferno

INFERNO

Possono partecipare tutti i naufraghini e naufraghine che hanno avuto o hanno qualcosa da dire in versi su questo tema. Lo possono fare inviando ad Elisa Pannini (elisa@naufragi.org) entro e non oltre il 31dicembre 2005 uno o massimo due componimenti poetici sul tema.Le poesie pervenute e giudicate dalla notara attinenti al tema, saranno inviate in lista e saranno votate da tutti i naufraghi autori e da tutti gli altri che vorranno esprimere un giudizio (previa iscrizione all'albo dei votanti).Verranno giudicate le singole poesie con un punteggio che va dall'1 in su, in ordine di preferenza. Entro l'ultima domenica di gennaio 2006 sarà proclamata la poesia vincitrice.Naturalmente gli autori dovranno rimanere nel più assoluto anonimato.


Lo s-banditore bandito

Francesco Principato