Come
fare imbestialire una donna
Manuale
ad uso specifico degli studenti di ingegneria civile
Capitolo
primo: le parole “ti amo”
Anche
se siete studenti perfettamente in corso e avete superato con successo
“Analisi 1”, “Analisi 2”, “Tecniche
di Costruzione” e “Acquedotti e Fognature” con
il massimo dei voti, a meno che non siate uno di quei rari casi
di studente di ingegneria proveniente dal liceo classico, probabilmente
non avete mai incontrato, nel corso dei vostri studi, le parole
“ti amo”. E’ possibile che non ne conosciate neppure
l’esatto significato. Non scoraggiatevi, siete, in realtà
avvantaggiati, perché nessuno sa cosa significhino ma gli
studenti di facoltà umanistiche sono invece convinti di saperlo.
Dunque partiamo dal presupposto che, se di una parola non si conosce
il significato, questa parola in realtà non significa nulla.
Fate conto che si tratti di una di quelle formule che utilizzate
quotidianamente nei vostri calcoli: una volta dato l’esame
non è più importante ricordare da cosa la formula
derivi ma è importantissimo sapere come e quando essa va
applicata.
Dato che il presente manuale si propone di insegnarvi come far imbestialire
una donna, ora verranno elencati tutti gli usi di queste due semplici
parole idonei allo scopo suddetto.
Lei vi bisbiglia: “ti amo”. Segue l’elenco delle
risposte più idonee:
* Fai bene
* Mi sembra scontato
* A sì?
* Grazie.
* Me lo hai già detto ieri.
* Direi che lo stesso vale per me.
* Certo.
* Pronunciate una frase qualunque per cambiare argomento, ad esempio:
“Ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa
il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito
a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?” Oppure:
“I cibi nella dispensa sono ancora disposti in ordine di data
di scadenza come li ho lasciati?”
Lei
vi bisbiglia: “Mi ami ancora?”. Segue l’elenco
delle risposte più idonee
* Mi sembra scontato (a volte gli ingegneri sono monotoni)
* Cosa intendi?
* Perché me lo chiedi?
* Dovresti saperlo!
* Te l’ho detto un mese fa!
* Ma ancora me lo chiedi?
* Rimanete in silenzio e fatevelo chiedere per tre volte prima di
emettere uno stitichissimo “Sì”.
* Rimanete in silenzio e basta.
* Pronunciate una frase qualunque per cambiare argomento, ad esempio:
“Ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa
il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito
a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?” Oppure:
“I cibi nella dispensa sono ancora disposti in ordine di data
di scadenza come li ho lasciati?”
Voi le state raccontando i dettagli dell’ultima lezione di
“Acquedotti e Fognature” e lei improvvisamente vi interrompe
con un bacio bisbigliando “Ti amo”. Segue l’elenco
delle azioni più idonee
* Spostatela delicatamente e, come se nulla fosse, continuate a
raccontare.
* Spostatela bruscamente e, come se nulla fosse, continuate a raccontare.
* Rispondete frettolosamente al bacio, come se nulla fosse, continuate
a raccontare.
* Ditele: “non mi interrompere”
* Chiedetele di ripetere l’ultimo argomento di cui le avete
parlato.
* Pronunciate, con le sue labbra ancora posate sulle vostre, i criteri
di scelta tra un collettore artificiale e un rio tombinato per drenare
una zona residenziale ad alta densità di Calcutta.
Lei vi sta raccontando con passione qualcosa per voi assolutamente
inutile, ad esempio: “Il balletto classico nasce dalla danze
di corte ai tempi del Re Sole …” con storia dettagliata
della danza barocca e dei costumi dell’epoca e della nascita
della figura del danzatore professionista. Si accorge che voi non
l’ascoltate e, invece, osservate attentamente un muro che
costeggia la strada che state percorrendo. Si interrompe e vi domanda
“ma tu mi ami?”. Segue l’elenco delle azioni idonee:
* Approfittate dell’interruzione del suo fastidioso flusso
di parole per iniziare a spiegarle se il muro in questione è
di controripa, di sostegno o di sottoscarpa.
* Dirle “sì, sì certo” senza nemmeno guardarla
e continuare ad eseguire calcoli mentali a riguardo di quel muro
* Dirle: “E’ pieno di fessure e drena male: si vede
proprio che questa roba l’ha progettata un architetto!”
* Ricordarle che non ha controllato se il muro che separa il bagno
dalla cucina di casa sua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti
incipienti dovuti al fluage della trave
* Approfittare dell’interruzione per proseguire con la narrazione
dell’ultima lezione di Acquedotti e Fognature.
Lei vi prende di petto e domanda: “Perché non mi dici
mai che mi ami?”. Segue l’elenco delle risposte più
idonee.
* Ma mi sembra scontato! (a volte gli ingegneri sono monotoni)
* Cosa intendi?
* Te l’ho detto un mese fa!
* Perché, se te lo dico più spesso vuole dire che
ti amo di più?
* Pronunciate una frase qualunque per cambiare argomento del tipo:
“Ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa
il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito
a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?” Oppure:
“I cibi nella dispensa sono ancora disposti in ordine di data
di scadenza come li ho lasciati?”
Ora, quello che a voi studenti di ingegneria appare chiaro, è
che le parole “ti amo” sono come il legante che tiene
uniti due mattoni, là dove i mattoni rappresentano i due
elementi della coppia. Quello che la vostra formazione professionale
vi porta a credere, però, è che tra due mattoni basti
mettere il legante una sola volta. Restauri strutturali saranno
eventualmente necessari solo a distanza di decine di anni. Ma se
uno dei due elementi della coppia è una donna la cosa non
funziona così. Questi strani esseri, contrariamente ai mattoni
e agli ingegneri, si nutrono di parole. Se voi le dite “Ti
amo” alle 10 di mattina, è probabile che a mezzogiorno
lei vi chieda di dirlo ancora. Semplicemente ha divorato la malta
e se non ne mettete di nuova costruzione rischia di crollare.
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Capitolo
secondo: l’uso del telefono e del telefono cellulare
L’uso
del telefono assume una rilevanza particolare nei rapporti a distanza.
Per rapporti a distanza si intendono quelle situazioni in cui i
due elementi della coppia vivono in luoghi talmente lontani da rendere
la frequentazione quotidiana impossibile. (esempio: Milano - Ronco
Scrivia)
In tali situazioni il telefono si trasforma, da semplice strumento
occasionale di comunicazione, a luogo privilegiato dello svolgersi
del rapporto.
In questo capitolo ci concentreremo quindi su questa situazione
particolare, che ci pare la più complessa e che offre maggiori
spunti di riflessione e soprattutto maggiori occasioni per far imbestialire
una donna. Naturalmente i consigli che verranno dati qui di seguito
possono essere facilmente applicati anche in rapporti non “a
distanza” con risultati eccellenti.
E’
necessario, per prima cosa, dare una definizione chiara e precisa
di cos’è un telefono.
* Il telefono per gli studenti di ingegneria civile: strumento tecnologico
studiato per trasmettere i suoni a distanza, idoneo per le comunicazioni
verbali tra due esseri umani.
* Il telefono per una donna: strumento indispensabile per comunicare
ogni pensiero ed emozione possibilmente nell’instante esatto
in cui essi sorgono.
* Il telefono per gli studenti di ingegneria civile genovesi: strumento
tecnologico studiato per trasmettere i suoni a distanza idoneo per
brevi comunicazioni verbali tra due esseri umani.
Parte
prima: il telefono cellulare.
Se siete studenti di ingegneria civile, molto probabilmente passate
la maggior parte del vostro tempo in facoltà. L’unico
strumento che la vostra compagna ha per mettersi in contatto con
voi dall’alba al tramonto è il telefono cellulare.
Già le caratteristiche de vostro telefono cellulare possono
farvi ottenere ottimi risultato. Abbiate cura che il vostro telefono
cellulare:
* Sia dotato di una batteria vecchia e che non riesca a rimanere
carica dall’alba al tramonto.
* Non sia dotato di un carica batteria portatile
* Utilizzi possibilmente il protocollo etacs in modo da non consentire
l’uso dei brevi messaggi di testo.
* Non sia dotato di vibracall
* Sia in grado di spegnersi autonomamente, anche quando la batteria
è carica, possibilmente nel momento più tenero della
conversazione.
* Abbia una capacità di ricezione così scarsa che,
in qualunque locale chiuso, dia la segnalazione “nessuna copertura
di rete”
* Abbia un microfono così rovinato che qualunque parola voi
pronunciate vada ripetuta tre volte e che, comunque, la vostra voce
suoni metallica, distante e fredda.
Se il vostro telefono non corrisponde a queste caratteristiche potete
facilmente procurarvene uno più confacente con una modica
somma di denaro, anzi è possibile che qualche studente di
economia o di architettura sia addirittura disposto a pagarvi purchè
lo liberiate del suo vecchio telefono.
Andiamo
ora a descrivere il comportamento da tenere durante le conversazioni
telefoniche.
Caso
1: Ricevete una telefonata da lei.
Segue l’elenco delle risposte più idonee
* Dimmi, dimmi, veloce.
* Parla
* Cosa vuoi*
* Richiama tra 7 minuti (e interrompete immediatamente la comunicazione)
* Ora non posso (e interrompete immediatamente la comunicazione)
Attenzione: il tono di voce che utilizzerete per queste risposte
è importantissimo. Deve essere sempre assolutamente impersonale
e non fare mai trapelare tenerezza. Abbiate cura di dare sempre
l’impressione di essere stati interrotti durante un’attività
importante e delicata. Se non siete buoni attori, non importa. Le
caratteristiche tecniche del microfono descritte più sopra
dovrebbero aiutarvi.
Se riuscirete a rispondere in questo modo per un periodo di tempo
sufficientemente lungo, probabilmente la prima parola che lei vi
dirà non sarò più “pronto” o peggio,
quel fastidioso “ciao amore” ma sarà un timido
“disturbo?”. Quando questo avverrà ad ogni chiamata,
saprete di essere diventati veri maestri nella prima parte di questa
delicata pratica.
Lei
vi ha chiamato e quindi presumibilmente tenterà di dirvi
qualcosa, oppure cercherà di coinvolgervi in uno scambio
di coccole telefonico. Abbiate cura che non riesca assolutamente
in nessuno dei due intenti.
Segue l’elenco dei comportamenti più idonei da tenere
durante lo svolgersi della conversazione:
* Interrompetela più e più volte durante la conversazione
per informarla del contenuto dell’ultima lezione di “acquedotti
e fognature” che avete seguito”.
* Smettete di parlare con lei per rivolgervi ai compagni di facoltà
che passano per il corridoio, salutarli, e chiedere loro informazioni.
Più le conversazioni che avrete con i vostri compagni di
facoltà saranno banali ed inutili, più l’interruzione
risulterà efficace.
* Se lei cerca di portare la conversazione su argomenti del tipo:
mi ami ancora? Potete utilizzare ciò che avete appreso nel
capitolo 1 di questo manuale.
* In alternativa iniziate una dettagliata descrizione di un rio
tombinato. Anche se non siete biologi, vi consiglio di portare la
sua attenzione sulla fauna che lo popola.
* Appena cerca di affrontare l’argomento che le sta a cuore,
quello per cui ha osato disturbarvi in facoltà, iniziate
un resoconto dettagliato delle possibili composizioni della malta
bastarda o dei sistemi di drenaggio del terreno.
* Raccontatele ciò che fanno i vostri compagni di facoltà
durante la vostra conversazione e soprattutto fatele notare quanto
per vuoi sia imbarazzante intrattenervi con una donna e quanto questo
vi renda oggetto di scherno da parte degli altri.
Ora
viene il punto più importante: la chiusura della telefonata:
Fate in modo di essere sempre voi a decidere il momento in cui la
conversazione deve avere termine e abbiate cura che questo avvenga
senza che lei sia riuscita nei suoi intenti.
Ecco alcuni esempi efficaci:
* Ditele: “Ora devo andare, ciao”. e interrompete immediatamente
la conversazione. Quindi spegnete il telefono cellulare perché
non possa richiamarvi.
* Ditele che un vostro compagno vi chiama per una partita a carte
e interrompete immediatamente la conversazione. Quindi spegnete
il telefono cellulare perché non possa richiamarvi.
* Ditele che dovete recarvi in aula, anche se manca più di
mezz’ora alla ripresa delle lezioni, per accertarvi che gli
oggetti con cui avete occupato il posto siano ancora là.
In questo caso vi verranno in aiuto le caratteristiche tecniche
del telefono che, all’interno dell’aula, non riesce
a connettersi alla rete.
* Iniziate una frase tenera e, sul più bello, interrompete
la conversazione simulando lo spegnimento autonomo del telefono.
Tengo a rammentarvi l’accurata applicazione delle istruzioni
relative alle caratteristiche tecniche del vostro apparecchio vi
agevolerà moltissimo in ogni circostanza.
Caso
2: La chiamate voi.
Questo
deve avvenire il più raramente possibile quindi non occorre
dilungarsi a lungo sull’argomento. Chiamate solamente in caso
di estrema necessità cioè se:
* dovete informarla che non vi recherete all’appuntamento
che avete fissato da settimane
* dovete avvertirla che farete molto tardi, ma in questo caso abbiate
cura di chiamare solamente dopo mezz’ora di ritardo effettivo.
* avete bisogno che esegua per voi una ricerca su internet
Se chiamate perché avete un reale desiderio di parlare con
lei (non siete ancora veri ingegneri, solo studenti, avete forse
ancora un cuore) cercate prima un pretesto credibile e non fatele
assolutamente capire la vostra motivazione.
Segue
in breve elenco di frasi con cui è consigliato aprire la
conversazione
* Richiamami tra sette minuti (e interrompete immediatamente la
comunicazione)
* Connettiti al sito www.ingegneria.unige.it e verifica la data
del prossimo appello di idrologia
* Ho solo due minuti.
* Sto arrivando, ciao. (e interrompete immediatamente la comunicazione)
* Ti sei ricordata di verificare se il muro che separa il bagno
dalla cucina di casa tua è un muro portante?
Parte
seconda: uso del telefono di rete fissa.
Le conversazioni con un telefono di rete fissa sono molto più
difficili e pericolose.
Se siete studenti di ingegneria civile, molto probabilmente vivete
ancora con i vostri genitori perché i vostri impegni di studio
non vi permettono di intraprendere un’attività lavorativa.
Non avete quindi alcun potere sulle caratteristiche tecniche dell’apparecchio
che utilizzerete. Limitate quindi il più possibile questo
tipo di chiamate oppure concentrarvi attentamente sul tono della
vostra voce che, come nel caso delle chiamate con telefono cellulare,
deve risultare fredda, distaccata ed impersonale.
Escogitate ogni volta una nuova scusa per interrompere bruscamente
la chiamata: il telefono di casa non si scaricherà.
Seguono
alcuni consigli:
* Sostenere che il cordless di casa è guasto e che siete
costretti a parlare in piedi, in anticamera, e che la vostra conversazione
è attentamente ascoltata da vostra madre e da una vecchia
zia bigotta che non concepisce scambi affettivi al di fuori del
matrimonio.
* Dite che la linea telefonica è occupata da vostro padre,
sorella, fratello, criceto o da un collegamento a iternet fondamentale
tramite il quale state scaricando l’intera bibliografia mondiale
sulla struttura delle cloache. Chiamate o fatevi chiamare, quindi,
col telefono cellulare. Questo riporta immediatamente alla prima
parte di questo capitolo.
* Utilizzate almeno metà del tempo che trascorrerete al telefono
per litigare con vostra sorella/fratello/criceto, per lamentarvi
del disegno del vostro copriletto, per definire con vostra madre
il menù per la cena e l’altra metà per lamentarvi
con lei del comportamento di vostra sorella/fratello/criceto o,
in casi estremi, del comportamento del suo gatto.
* Ricordatevi di non chiederle assolutamente come sta e di non lasciarle
lo spazio perché vi dica ciò che a lei farebbe piacere
dire.
* Se lei riesce comunque a infrangere la vostra accurata cortina
e si lancia in versetti affettuosi o in racconti che la riguardano
personalmente, interrompetela immediatamente per leggerle ad alta
voce la parte più complessa degli appunti di scienze delle
costruzioni. In caso di protesta fingetevi costretti a simulare
una telefonata con un compagno di studi dalla presenza minacciosa
di vostro padre che reclama l’uso del telefono.
* Se vi comunica di essere malata, triste o di avere qualche problema,
chiedetele immediatamente se ha pulito la cucina o se ha svolto
la ricerca su internet che le avete chiesto.
Pretesti
per interrompere bruscamente la chiamata:
* Vostra madre vi informa che è pronto in tavola
* Vostro padre ha urgente bisogno del telefono
* Vostra sorella si connette ad internet e fa cadere la linea
* Il vostro criceto ha un attacco apoplettico e dovete portarlo
urgentemente dal veterinario
* Dovete studiare immediatamente
* Dovete andare in bagno
* Avete sonno
* Inizia il vostro programma preferito in tv
* Dovete uscire con gli amici
* Avete stabilito un diagramma per il miglior sfruttamento della
rete fognaria del vostro quartiere e da questo studio delicato risulta
che dovete fare la doccia in questo momento preciso.
Conclusione
L’accurata applicazione delle istruzioni di questo capitolo
avrà certamente risultati sorprendenti. In brevissimo tempo
lei smetterà di tormentarvi con le sue abituali e fastidiose
smancerie e sdolcinatezze. Sarete riusciti a toccarla nella parte
più vulnerabile della sua personalità e cioè
nella sua assurda necessità di comunicare e manifestare in
continuazione i suoi sentimenti e di avere continua conferma dei
vostri.
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Capitolo
Terzo: le coccole
Non
si è mai capito per quale motivo, ma pare che le donne abbiano
bisogno di una quantità di contatto fisico pari a quella
di cui necessita un uomo elevata alla trecentesima potenza e pari
a quella di cui necessita un ingegnere elevata alla trecentomillesima
potenza.
Ad un recente congresso di antropologia, svoltosi nel tinello di
casa mia ogni mercoledì sera durante gli ultimi dieci anni,
si è dibattuto abbondantemente l’argomento, giungendo
alla conclusione che questa assurda e inspiegabile necessità
femminile deriva certamente dal nostro discendere dalle scimmie.
Se osservate attentamente un gruppo di scimpanzé, noterete
che le femmine sono sempre indaffarate e spulciarsi e toccarsi e,
soprattutto, ad accudire i piccoli. Anche i giovani maschi partecipano
ai giochi di contatto. Il maschio dominante, invece, rimane solo
e in disparte. Si avvicina alle femmine esclusivamente per la quotidiana
(breve, per favore) operazione di pulizia del mantello dai parassiti
e per espletare funzioni fisiologiche atte alla riproduzione.
Le femmine della specie umana hanno conservato la naturale propensione
a cercare frequenti occasioni di contatto fisico. Più che
una propensione direi trattarsi di una vera e propria necessità.
Recenti esperimenti, svoltisi anch’essi nel tinello di casa
mia, hanno dimostrato che una femmina della specie umana, privata
per lungo tempo di contatto fisico, giunge in breve tempo a dare
segni di squilibrio mentale. (non ero io la cavia, lo giuro! Non
ero io!)
I maschi della specie umana, invece, a causa della fine della famiglia
allargata e della sempre maggiori difficoltà di inserirsi
in un contesto sociale, sono tutti convinti di essere maschi dominanti.
Questo li porta a difendere ossessivamente il loro splendido isolamento.
Gli
ingegneri civili di sesso maschile sono una categoria a parte: l’iter
formativo cui sono sottoposti mira ad instillare in loro la convinzione
di essere dei maschi super dominanti. Voi siete studenti di ingegneria
civile e quindi rientrate, biologicamente, nella categoria dei maschi
giovani e sareste naturalmente portati a partecipare ai giochi di
contatto tanto graditi alle femmine, ma non dovete scordarvi la
vostra meta finale, lo scopo della vostra vita e lo scopo di questo
testo. Studiate dunque attentamente le istruzioni che seguiranno
che, oltre ad essere molto efficaci nel far imbestialire una donna,
vi saranno estremamente utili per il fortunato svolgersi della vostra
carriera.
Seguono
alcuni semplici esempi che potranno facilmente essere applicati
anche in occasioni diverse da quelle descritte.
State
camminando per strada insieme alla vostra ragazza quando lei tenta
di prendervi la mano. Ecco le azioni migliori da compiere:
* Lasciate che il vostro braccio penzoli come morto e che lei vi
tenga la mano senza ricambiare la stretta. (Se riuscita a mantenere
questo comportamento abbastanza a lungo otterrete risultati eccezionali,
a volte perfino definitivi!)
* Prendetele la mano per qualche secondo poi ricordatevi improvvisamente
che avete assolutamente bisogno di un oggetto qualunque che si trova
nelle vostre tasche, nello zaino, nella cavità orofaringea
o in quella auricolare e, per effettuare la ricerca, liberate immediatamente
la mano
* Tenetele la mano fino al primo semaforo, quindi, anche se siete
a piedi, lasciatela dicendo che non riuscite ad ingranare la prima.
* Ditele che ha la mano sudata.
* Ditele che ha la mano troppo fredda.
* Ditele: “ma dai, c’è gente!”
* Ditele: “è una cosa che non ho mai sopportato!”
* Se è inverno, liberate immediatamente la mano e indossate
i guanti.
* Liberate la mano per indicarle una “caditoia a bocca di
lupo” e approfittate dell’occasione per tenerle una
breve conferenza sulla struttura e il funzionamento della stessa,
sulla rete fognaria sottostante, sui criteri di scelta tra un collettore
artificiale e un rio tombinato per drenare una zona residenziale
ad alta densità di Calcutta. Ogni volta che lei tenta il
riavvicinamento, allontanatevi col pretesto di guardare il capolavoro
da un’altra angolazione.
* Liberate la mano per indicarle una fessurazione nel muro che costeggia
la strada che state percorrendo ed esclamate: “ E’ pieno
di fessure e drena male: si vede proprio che questa roba l’ha
progettata un architetto!”. Ogni volta che lei tenta il riavvicinamento,
allontanatevi col pretesto di guardare la crepa da un’altra
angolazione.
* Se siete molto pazienti, aspettate di incrociare la sua vetrina
preferita di fronte alla quale lei immancabilmente si fermerà.
A questo punto voi proseguite decisi senza lasciarle la mano. Se
siete fortunati ve la lascerà lei stessa. Se non lo farà,
il risultato sarà addirittura migliore.
* Lasciatele la mano per percuotervi la fronte e chiederle: “Ma
ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa il bagno
dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti
incipienti dovuti al fluage della trave?”
Avete
deciso di passare una serata in casa e state guardando insieme la
televisione.
Lei si rannicchia sul divano accanto a voi e si avvicina pericolosamente
tentando di farsi un nido tra le vostre braccia.
* Sopportate pazientemente per circa 20 millesimi di secondo poi
sbuffate: “che caldo questa sera!” (nevica? Ci sono
ghiaccioli che pendono dal soffitto? Non importa: il maschio dominante
e l’ingegnere hanno sempre caldo!)
* Informatela immediatamente che alla prima pubblicità vi
recherete in bagno
* Recatevi in bagno senza aspettare la pubblicità
* Chiedetele di prendere una birra dal frigorifero. Quando avrete
il bicchiere in mano potrete anche dire: “me la fai rovesciare
tutta”
* Iniziate a contorcervi e a stiracchiarvi simulando un improvviso
e lancinante torcicollo.
* Se sul teleschermo appare un semaforo, potete sempre liberarvi
dall’abbraccio dicendo che non riuscite ad ingranare la prima
* Se sul teleschermo appare una strada, sciogliete l’abbraccio
per spiegarle meglio se il muro che la costeggia è di controripa,
di sostegno o di sottoscarpa.
* Alzatevi tempestivamente dal divano e recatevi a controllare se
il muro di separazione tra il bagno e la cucina ha subito fessurazioni
in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave.
Descriveremo
ora una situazione altamente imbarazzante. Siete tristi e desiderate
farvi coccolare da lei. Questo agli ingegneri non accade mai, ma
voi siete ancora studenti e potreste cadere vittime di questo tratto,
non ancora perfettamente strutturato, del vostro carattere.
Segue un elenco di suggerimenti per gratificare il vostro bisogno
senza lasciar trapelare questa inconfessabile debolezza, ma ricordate
che tanto più raramente vi troverete in questa incresciosa
situazione, tanto più alte saranno le possibilità
di portare a compimento lo scopo che questo manuale si prefigge.
* Iniziate a raccontarle, nei minimi dettagli, l’ultima lezione
di “acquedotti e fognature” che avete seguito, utilizzando
termini tecnici per lei incomprensibili. Continuate a parlare, guardandola
negli occhi. Ad un certo punto lei vi bacerà spontaneamente
bisbigliando: “tesoro, non ho capito nulla.”
* Spigatele che la mattina successiva dovete dare alle h 08.30.00
lo scritto di “scienze delle costruzioni”, alle h 14.00.00
l’orale di “Idrologia” e alle h 16.30.00 il compitino
di “acquedotti e fognature”. Ditele che temete di non
riuscire a riposare per la tensione e chiedetele un massaggio. Questo
gratificherà il vostro bisogno di attenzioni senza concedere
a lei la soddisfazione di sentirsi coccolata. Dopo il massaggio,
naturalmente, addormentatevi immediatamente.
* Parlatele a lungo dei criteri di scelta tra un collettore artificiale
e un rio tombinato per drenare una zona residenziale ad alta densità
di Calcutta, esprimendo il desiderio di visitare con lei un rio
tombinato, possibilmente in loco. Attardatevi a descriverle dettagliatamente
la fauna che lo abita. Certamente lei, terrorizzata, vi abbraccerà.
Conclusione
Se riuscirete ad applicare con cura le sopraelencate istruzioni
molto probabilmente non avrete alcun bisogno di proseguire nella
lettura e nello studio di questo testo. La vostra ragazza, privata
della conferma costante del vostro amore per lei, della possibilità
di esprimere i suoi sentimenti, della sicurezza datale del contatto
fisico e della tenerezza, sarà talmente irritata da lasciarvi
senza nemmeno prendersi cura di informarvi dell’accaduto o
talmente annichilita da non osare più avvicinarsi a voi senza
chiedere chetamente il permesso.
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Come far
imbestiliare una donna (bigino)
Prefazione
Dopo
il grande successo di pubblico della prima edizione di questo manuale,
la nostra casa editrice è stata sommersa da ordini di acquisto
da parte di tutte le più grandi librerie italiane. Il manuale
è stato tradotto in dodici lingue e gli studenti di ingegneria
civile di tutto il mondo ci hanno inviato innumerevoli lettere di
ringraziamento.
Noi, ben sapendo quanto la vita di uno studente di ingegneria civile
sia colma di impegni e scadenze, abbiamo deciso di agevolare la
loro formazione sentimentale e anche, diciamolo, di arricchirci
ulteriormente, pubblicando un breve sunto dei concetti fondamentali
espressi nella notevole trattazione della Fantaguzzi.
Tenendo conto del fatto che l’autrice, alla sua prima pubblicazione,
ha rinunciato ai diritti d’autore, calcoliamo che questo possa
portare velocemente la nostra piccola casa editrice a quotarsi in
borsa.
Nella speranza che ci siate grati del gravoso lavoro si sintesi
di cui ci siamo fatti carico, diamo alle stampe questo testo indispensabile.
La
redazione della casa editrice “Manuali inutili & dannosi”
Come far imbestialire una donna
Manuale ad uso specifico degli studenti di ingegneria civile
Bigino
Desiderate
realmente far imbestialire una donna? Comportatevi nel modo più
naturale possibile. Funziona sempre.
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Galline
“Hai
visto? E’ uscito un film che si intitola “Galline in
fuga”!!! EVVIVA!!! Libertà per le galline!!! Mi porti
a vederlo?”
“Stai scherzando vero? E’ una cosa per bambini.”
“No, non sto scherzando. Devo andare a parteggiare per le
galline. DEVO! Capisci?”
“Sei impazzita!”
Non
sono impazzita.
Quando avevo quattro anni mio fratello, per offendermi, mi chiamava
“Abominevole Gallina Strozzata” (AGS per gli amici).
Io me la prendevo da morire e non tanto per la gallina strozzata,
che pure mi pareva una condizione abbastanza dolorosa, ma per la
parola abominevole di cui non conoscevo il significato e nessuno
voleva spiegarmelo e quindi pensavo fosse una cosa orribile. (Non
ero poi così scema!)
Mio
padre, per consolarmi, mi chiamava Gallinella strozzata (GLS per
gli amici). Non era una gran consolazione. La domenica mattina,
prima che mi svegliassi nascondeva delle uova nel mio letto e poi
mi diceva che le avevo fatte io. Naturalmente io ci credevo. Poi
le uova venivano messe nel frigorifero e cucinate. La mia famiglia
si mangiava i miei bambini!
Un giorno ho deciso di non accettarlo più. Ho preso tutte
le mie uova dal frigorifero, le ho deposte teneramente sullo zerbino
di casa, la cosa per me più simile ad un nido, e mi ci si
sono seduta sopra per covarle.
Nessuno
ha più messo uova nel mio letto, la mattina.
Ancora
oggi io non mangio volentieri le uova, ci vedo una sorta di cannibalismo
e di infanticidio insopportabili.
Voglio assistere alla fuga di quelle galline! Voglio sapere se riusciranno
a liberarsi dal loro terribile destino di creature prima sfruttate
e poi uccise.
“In
che cinema lo danno?”
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“Cassonetto
differenziato”
“Lo
spazzino è più sereno e poi s’impressiona meno…”
Elio
e le Storie Tese
Ho già
deciso come farò, perché bisogna avere rispetto del
destino. Già una volta gli sono sfuggito per colpa di un
intervento imprevisto. Occorre rimettere a posto le cose. Correggere
ciò che è stato deviato da un inutile e dannoso fervore.
Aspetterò il terzo giorno del mio quarantunesimo anno di
vita.
Il terzo giorno, perché voglio concedere al fato, alla natura,
la possibilità di sistemare le cose spontaneamente. Sarebbe
tutto più facile, per me, se il destino compisse il suo corso
senza il mio intervento.
Aspetterò il terzo giorno del mio quarantunesimo anno di
vita, ma in realtà tutto è già pronto. Mancano
esattamente 77 giorni.
Ho già rubato un sacco nero per la raccolta dei rifiuti dalla
cassetta che giace nel locale spazzatura del mio condominio.
Non sarà una cosa difficile da fare.
Lavoro in una ditta di spedizioni e la settimana scorsa mi sono
fatto regalare, al reparto imballaggi, una confezione di quei fiocchetti
di polistirolo che sembrano cipster. E anche un bel pezzo di cellofan
con le bollicine. Mi divertivo un sacco a farle scoppiare, quando
ero bambino, e anche con le patatine mi sarei divertito. Ma non
sarà un gioco tra 77 giorni, anche se sarà facile.
Aspetterò il terzo giorno del mio quarantunesimo anno anche
per un motivo molto più banale: perché sarà
lunedì. Il lunedì è il giorno in cui il grande
camion dei rifiuti ritira la spazzatura.
Ho studiato attentamente il processo: alle otto di sera un uomo
apre il locale condominiale e, con l’aiuto di un carrello,
porta tutti i sacchi neri sul marciapiede di fronte al cancello
d’entrata.
Io dovrò entrare in azione nel lasso di tempo che passa dal
compimento del suo lavoro all’arrivo del camion. Avrei preferito
predisporre il tutto nella buia intimità del locale spazzatura,
ma non posso correre il rischio che l’addetto del condominio
si faccia domande sul peso anormale del mio sacco.
Certo, anche l’operatore ecologico dell’azienda municipale
di smaltimento rifiuti potrebbe notarlo, ma mi sembra meno probabile.
Soprattutto se l’imballo sarà fatto come si deve. E
comunque, per ridurre il rischio al minimo, ho iniziato una dieta
ferrea.
Ho preparato le pasticche di sonnifero e la bottiglietta di acqua
minerale che mi accompagneranno. Preferisco essere profondamente
addormentato quando il sacco verrà gettato fra i denti metallici
del camion. Non voglio che un’inutile ripensamento o un improvviso
rigurgito di terrore mi facciano urlare.
Il polistirolo ed il cellofan dovrebbero mascherare la natura anomala
del contenuto. Non farà freddo e se dovesse piovere, succede
spesso in quel periodo dell’anno, ciò tornerà
a mio vantaggio perché il peso eccessivo potrà essere
attribuito all’acqua assorbita. Poi, sotto la pioggia, gli
operai presteranno certo meno attenzione a quel che accade.
Sono una persona corretta, non voglio creare problemi. Ho fatto
anche un test per verificare. Sono sieronegativo e non soffro di
epatiti. Non contagerò nessuno.
(Torna
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Chicchi di granturco
vagano sul fondo
Detesto
questo suono insistente che mi strappa alla tiepida inconsapevolezza
del sonno. Mi arrotolo più strettamente nelle coperte e cerco
resistere ancora un po’. Poi, per trovare conforto a questo
dolore quotidiano, allungo una mano per sentire il tuo tepore.
Le mie dita si perdono sulla superficie fredda del lenzuolo.
Stropiccio gli occhi e accendo la luce. La tua metà del letto
è disabitata. Stropiccio gli occhi più forte. Ti chiamo.
Farai capolino dalla porta sorridendo? Cerco nell’aria un
odore di caffè che giustifichi quel vuoto al mio fianco e
intanto rimango seduta, un po’ intontita, a guardare la porta.
Da cui non ti affacci.
Appoggio i piedi ancora tiepidi di sonno sul pavimento freddo.
Cammino verso un tuo abbraccio.
La cucina mi da uno schiaffo.
Ricordo perfettamente che ieri sera abbiamo cenato insieme, poi
rassettato un poco. Dovrebbero esserci stoviglie ad asciugare sul
lavello e le tracce della tua colazione. Dovrebbe esserci un tuo
biglietto affettuoso fissato con una calamita a forma di imbuto
sulla lavagnetta magnetica, proprio accanto a quello che mi sono
lasciata da sola e che dice “non dimenticarti il sale anche
oggi, cazzo!”
Sul lavello, invece, ci sono solo alcune scatole vuote di mangime
per gatti. Nessuna lavagnetta, nessun biglietto.
Apro uno dei pensili, dopo un caffè tutto assumerà
un senso, vero?
Nada caffè. Solo cibo per gatti. Altro stipetto. Altre scatolette
baffute. Mi viene da ridere. O questo è un incubo o mi sono
svegliata nella vita di Philip Dick.
Il bagno mi da un altro schiaffo.
Lo abbiamo fatto ristrutturare un anno fa, ti ricordi? Dovrebbe
essere un sogno di piastrelle celesti. Invece è di un indefinito
color cacca di piccione. Quasi tutte le mattonelle sono crepate.
Sotto al lavandino un secchio raccoglie le gocce che sfuggono dal
sifone. Una gatta bianca e nera che non ho mai visto si arrotola
intorno alle mi caviglie miagolando. Torno un cucina e metto una
scatoletta vuota accanto alle altre, sul lavello. Di cibo per esseri
umani in questa casa non c’è traccia, così come
non trovo il mio shampoo profumato, la crema e i vestiti puliti.
Ma la casa è proprio la stessa in cui mi sono addormentata
ieri sera. I locali hanno le stesse identiche misure, dalle finestre
la vista di sempre.
Solo …
Senti, io non credo proprio di poter andare in ufficio stamattina.
Prima devo capire cosa sta succedendo. Non sono poi veramente preoccupata.
Una parte di me è convinta che sia solamente un sogno che
presto potrò raccontarti. Il tuo sorriso scaccerà
l’angoscia. Ma qualcosa mi fa agire come se questa fosse la
realtà. Cerco il cordless per avvertire la mia ditta. Influenza?
Vada per l’influenza. Cosa potrei dire? “Scusate, non
vengo al lavoro perché mi sono svegliata in un’altra
vita. Vorrei il tempo per abituarmici, grazie.” Non c’è
il cordless. Dopo una lunga ricerca trovo un telefono fisso in un
posto dove non è mai stato. Numero …
“Sono la dottoressa Marcotti …”
“Come sarebbe a dire che non sono dottoressa …”
Clik
Urlo fortissimo il tuo nome! Devo dirtelo, capisci? La centralinista
della ditta dove sono da anni responsabile dei sistemi informativi
dice che io, Maria Grazia Marcotti, ero solo una segretaria prima
di… dio, non riesco a dirtelo.
E poi, poi … in questo armadio malridotto non ci sono i tuoi
vestiti.
Dove sei?
Dove sei?
Perché non ci ho pensato prima? Ti chiamo sul cellulare!
Una voce mi dice che il numero è inesistente. Inesistente?
Dove sei?
Nella mia borsa, il mio cellulare. Mi avrai certo mandato un messaggio…
La mia borsa…
Dove sarà finita…
Trovo un affare di finta pelle marrone. Dio, non comprerei mai una
schifezza del genere. Non importa, cerco il telefono. Trovo solo
un vecchio portamonete con pochi euro, un fazzoletto di carta usato
e … dei chicchi di mais.
Dove sei?
Mi lascio cadere sul pavimento che dovrebbe essere coperto da una
soffice moquette blu e non da queste vecchie mattonelle.
Dove sei?
Telefono. Numero.
“Claudia, Claudia, autami…”
“Grazia, dio, Claudia, mi conosci da sempre”
“non puoi aver dimenticato…”
Clik.
Ha detto che ricorda vagamente che eravamo compagne di scuola ma
non mi ha più vista da quando ho interrotto gli studi. Dove
sei, dove sei tu che c’eri quando ho discusso la tesi, tu
che hai fotografato il bacio che ha accompagnato la lode.
Dove sei?
Dove sei?
Rimango a lungo seduta per terra, con la testa fra le mani. La gatta
si accoccola accanto a me senza toccarmi. Solo ora, tormentandomi
le dita, mi accorgo che non indosso l’anello che mi hai regalato.
Basta! Questo è un incubo. Adesso basta!
Mi vesto con quello che trovo. Lo specchio mi rimanda un’immagine
che mi somiglia un po’.
Nell’androne la custode di sempre.
La saluto sorridendo, come ogni mattina. Lei rimane in piedi come
inebetita guardandomi passare.
“Alice! Cosa le prende, ho qualcosa che non va?”
“…”
“Via, che succede?”
“Ma tu …” (perché mi da del tu?) “tu
… non avevo mai sentito la tua voce”
Scappo fuori. Ma non so dove andare. Non so cosa fare.
Cammino.
Cammino.
Le panchine dei giardinetti mi sembrano invitanti.
Mi lascio cadere su quella più isolata e sento la mia voce
che ripete piano, ritmicamente, in continuazione il tuo nome.
Dove sei?
Non riesco più a pensare.
Le mie mani, le mie mani si muovono da sole.
Aprono la borsa e prendono i pochi chicchi di granturco che vagano
sul fondo. Li lasciano cadere a terra ad uno ad uno.
Guardo i piccioni che si avvicinano, io che ho sempre odiato i piccioni.
Sento la mia voce. La mia voce che parla con loro.
(Torna
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Ho
perso una storia
E’
una cosa successa tanti anni fa. Tanti. Le storie sono strane. Crediamo
di inventarle ma non è così.
Io avevo scritto una storia. Un racconto. Ero e sono tuttora convinta
che fosse la cosa più bella che avessi mai scritto.
Ma non aveva una fine.
Raccontava una partenza e una corsa. Una via di mezzo tra una ricerca
e una fuga. Perché questo è la mia vita. A tratti
mi fermo per controllare se ho trovato quello che sto cercando e
poi, poi ricomincio a scappare.
Ero ancora così giovane da credere che la storia di un viaggio
dovesse concludersi con un arrivo. E non potevo scrivere dell’arrivo
perché avrebbe voluto dire narrare la mia morte. E questo
va al di là delle capacità di una ragazza di sedici
anni.
Eppure, ancora adesso io so che quella è la cosa più
bella che io abbia mai scritto.
Era scritta a mano, quella storia. Fogli di carta azzurrina e stilografica
blu. Usavo solo fogli di carta azzurrina, a sedici anni. E solo
stilografiche blu. Di quelle da pochi soldi, che lasciano le macchie
sulle dita, che perdono inchiostro nella borsa. Che ti piantano
in asso proprio nel momento del bisogno con un pennino contorto
o una cartuccia vuota.
Era scritta a mano e ne avevo una copia soltanto e nessuno, nessuno,
l’aveva letta mai.
Copiavo in un libretto tutte le mie storie e le mie poesie. E’
ancora là, nel ripiano più alto della mia libreria.
Tutte le mie storie ma non quella, perché aspettavo la fine.
Poi, il tempo, la polvere, la pioggia, il dolore mi hanno fatto
dimenticare che esistono le storie. E scrissi solo parole. Frammenti
di suoni. Dimentichi del sapore della frutta matura. Su quaderni
a quadretti con la spirale. Traducevo in parole le lacrime.
Avevo un amore, allora. E’ passato tanto tempo. Avevo un amore
strano.
Abitava nella mia casa ma non abitava con me. Mangiava alla mia
tavola ma non mangiava con me. Dormiva nel mio letto ma non faceva
l’amore con me. Mi scopava, a volte, e non è la stessa
cosa. Avevo un amore straniero che mi parlava senza guardarmi negli
occhi e non sapeva il mio nome.
E fu alla fine di quell’amore che persi la mia storia.
Lui era tornato nella mia casa. Io no. Io ero altrove. Lui era tornato
nella mia casa per riprendersi le sue cose e invece ha violato i
miei quaderni con la spirale.
L’ho trovato, la sera, con un quaderno in mano e gli occhi
pieni di lacrime.
“Non credevo che tu sapessi scrivere”.
Non ho risposto. Non ho richiuso la porta. Ho portato fuori le sue
cose. Ho atteso che andasse via. Poi ho cercato la mia storia, la
cosa più bella. Che lui non aveva trovato.
Ho preso una stilografica blu e foglietti di carta azzurrina. L’ho
copiata in bella scrittura. L’ho messa in una busta. Ci ho
scritto il suo indirizzo. Ho attaccato un francobollo. Ho spedito
la busta. Sono tornata a casa e ho rovesciato un bicchiere d’acqua
sui foglietti antichi, quelli dei sedici anni. E le parole sono
diventate per sempre lacrime.
Non ho fatto apposta a rovesciare il bicchiere.
Non ho fatto apposta a sbagliare l’indirizzo.
La mia storia è svanita per sempre, per sempre mutata in
lacrime.
Ne rimangono solo poche frasi intrappolate nella mia memoria.
Non ho mai avuto il coraggio di incastonarle in altre storie.
(Torna
su)
Ma
io non ho sentito la sua voce!
Cronaca
di un raduno naufragato nei gorghi di acqua scura del Naviglio
Ogni
riferimento a fatti realmente avvenuti o a persone realmente esistite
è assolutamente volontario.
Appuntamento
alle ore 20. Davanti all’osteria del Pallone, che sia un simbolo?
Io no, non sono nel pallone, mai! Ho una memoria inossidabile, (di
pastafrolla, avete mai visto ossidarsi la pastafrolla?) e solo poche
ore prima ho fatto la mia bella figura da ciccolataia dicendo a
Luca per telefono:
“Sono felice di conoscere finalmente tua moglie”. L’avevo
già conosciuta... già. Inossidabile! Avevo avvertito
tutti i partecipanti che sarei arrivata in ritardo, infatti alle
19.25 sono in loco. Me la prendo comoda, battendo i denti e tremando
come una foglia, mentre lascio che il mio sguardo si perda nei gorghi
dell’acqua scura del naviglio. Faticherò a ritrovarlo,
lo sguardo, perché, come mi farà notare Giorgio
qualche ora dopo, i navigli sono stati svuotati da mesi.
Fortunatamente alle 19.50 scorgo Luca&Signora. Non so perché,
ma ho l’impressione di averla già vista da qualche
parte... ah, già, l’avevo già conosciuta.
Aspettiamo, pazienti e tremanti, mentre Luca mi sottopone a un fuoco
e fila di domande che non ricordo assolutamente. Vertono su Lisa,
mi pare. La naufraga sconosciuta. Non lo confesserò mai a
nessuno, ma abbiamo fatto il TotoLisa, Ida
ed io.
“Tu come la immagini?”
“Piccola e scura”
“Ma, dalla voce secondo me non è piccola”
“Ma io non ho sentito la sua voce”
“Vedremo, ma secondo me non è piccola, proprio non
ha la voce da piccola”
“Ma io non ho sentito la sua voce”
“Ha davvero una voce molto bella”
“Ma io non ho sentito la sua voce!!!!”
Cellulare.
“Arancia!”
“Giorgio!”
“Dove sei?”
“Nel pallone.”
“Siamo in macchina (seguono indicazioni). Una Renault con
quattro ruote motrici.”
Mi faccio seguire da Luca&Signora fino al luogo indicato, dove
tento disperatamente di sollevare le auto per vedere quali hanno
4 ruote motrici. Dovrebbero girare in un modo diverso, no?
Finalmente mi salva la visione delle chiome lussureggianti di Ida.
Lei e Giorgio scendono sorridenti dalla macchina. Radiosi come solleoni.
E Giorgio, nonostante quello che ci ha raccontato, ha tutti e due
gli occhi e nessun pappagallo sulla spalla. Sbaciucchiamenti. Saliamo
insieme in macchina per raggiungere il locale dove ci attende Lisa.
Luca ci guida verso un “posteggio sicuro fino alle 21”.
Con voce tremante Giorgio domanda cosa accadrà all’auto
dopo le 21. Incuranti di ciò, anche se siamo dalla parte
opposta di Milano, lasciamo l’auto in solitaria meditazione
accanto ai gorghi dell’acqua scura del naviglio. Che non c’è,
ma io non me ne sono ancora accorta.
Giorgio cammina sulle ginocchia per conversare col dotto Gandolfi,
Ida ed io ci confidiamo i sintomi del nostro essere costantemente
nel pallone. &Signora (e togliamola dall’anonimato, si
chiama Grazia ed avrà poi un ruolo di rilievo!), un po’
si affianca a noi e un po’ a loro. Lisa sì che è
puntuale. Un taxi accosta nell’istante preciso in cui raggiungiamo
il ristorante. Ma non aveva una figlia di vent’anni? Ah, ho
capito, ha mandato la figlia! Lei
dorme sul divano sentendosi in colpa!
Vedo le labbra della supposta Lisa (non è lei, è la
figlia!) muoversi, ma non avverto alcun suono. Fa niente, la bacio,
intanto mi chiedo perché, se è il mio sguardo ad essersi
perso, io non sento niente.
Lisa è più alta di me, ma è così minuta
che potrebbe sembrare piccola. E’ più chiara di me,
ma così abbronzata da sembrare scura. Mi illudo di aver vinto
il TotoLisa, anche se non ho sentito la sua voce.
Ci accomodiamo. Giorgio si fa portare subito impacchi di ghiaccio
per le ginocchia, Luca chiede le guide del telefono per non sentirsi
in stato di inferiorità. Io mi domando se è possibile
chiedere un apparecchio acustico.
Una tavolata per sei persone non è tanto lunga, tra me e
Lisa siede solo Ida. La vedo (Lisa) intenta in una conversazione
fitta fitta con Giorgio e mi protendo, trascurando un po’
&Signora, per cogliere qualche frase. Niente! Non sento la sua
voce. Intanto Luca rovista in tutte le tasche che ha, nella borsa
della moglie, sotto al tavolo, perfino sotto i piatti, fino a che,
finalmente, trova un immenso sacchetto (ma come faceva a non trovarlo?)
da cui estrae tre copie dell’ultimo libro del Vicchio
di cui ci fa dono. La sfoglio distratta, le orecchie protese. Niente!
Non sento la sua voce! (non del Vicchio, di Lisa.)
La serata si snoda tranquilla, rievocando ricordi Naufragati. Luca
fa da mattatore. Catalizza l’attenzione con i suoi racconti
brillanti fino a che... (ma io continua ad essere distratta, oramai
ho le orecchie più lunghe di una lepre, ma non sento la sua
voce!!!) il discorso cade, non si sa come, sui parquet! Grazia si
illumina d’immenso! Scopriamo che è una collezionista
di parquet antichi, che ha già raccolto ben milleseicentotretadue
sale paquettate con milleseicentotretadue tecniche differenti. Credo,
almeno, abbia detto questo, perché io sono sempre protesa
verso le labbra di Lisa che si muovono senza produrre alcun suono.
Almeno per me. Perché, inspiegabilmente, Ida e Giorgio le
rispondono. Ma quando Grazia inizia, con grazia, a raccontarci delle
diverse tecniche di trattamento per parquet antico, tutti tacciono
estasiati. Lo deduco da fatto che le labbra di Lisa stanno ferme.
Non mi dilungherò ulteriormente. Cibo ottimo, vino meraviglioso,
compagnia deliziosa. Il tutto rovinato appena da un vago senso di
inquietudine: che io soffra di una rara forma di sordità
selettiva?
La serata si conclude accanto alla macchina, quella con quattro
ruote motrici, che, benché siano passate le 21, è
ancora incolume e non ha smarrito i fari nei gorghi di acqua scura
del naviglio. Se ne è accorta, lei, che l’acqua non
c’è!
Il mattino dopo prendo appuntamento per un esame dell’udito,
poi telefono a Ida per carpirle qualche informazione su Lisa.
“E’ simpatica, vero? E ha una voce così bella!”
Cosa posso dire? Io non ho sentito la sua voce!!!!!!
(Lisa
risponde...)
(Torna
su)
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