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Piccole Note Biografiche |
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Nasce
a Vedano Olona (Va), verso la metà del secolo scorso, il
27/07/53. È appena finita la guerra di Corea, Stalin è
morto da tre mesi ed è quindi trascorso il tempo necessario
per una possibile reincarnazione. Inizia a scrivere canzoni attorno
ai vent’anni e, visto che non ha ancora smesso, secondo la
famosa massima di Benedetto Croce, traslata da Fabrizio De Andrè:
“tutti scrivono poesie fino a 18 anni, poi continuano solo
i poeti o gli imbecilli”, ne discende che egli appartiene
alla categoria degli imbecilli.
Tra le pausa che la sua imbecillità gli consente scrive circa
500 canzoni, dirige un paio di radio (allora) libere, un paio di
giornali, diventa giornalista e lì consuma ancora peggio
la sua ignominiosa carriera, sulle colonne (Internet) di un prestigioso
quotidiano finanziario. In tarda età, sotto mentite spoglie,
diventa uno dei critici musicali più incazzosi e feroci della
“nuova generazione”. Non ha patente, né orologio,
detesta i cellulari e gira in bicicletta. La stazza, la barba e
la r arrotata lo possono assimilare a un Guccini, ma le passioni
volgono più sul versante De Gregori-Lolli-De Andrè.
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Poesie
di Giorgio
Racconti di
Giorgio
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Giorgio
Maimone |
Lo
sgabuzzino
Lo
sgabuzzino all'inizio non c'era. C'era un grande prato in discesa;
sapete, uno di quei poggi dietro i quali va a morire il sole (mai
che da lì sorga, pero)? E c'erano due giovani che occupavano
il prato coi larghi strati del loro amore. Probabilmente c'era
anche il sole, in questi casi c'è sempre il sole. Poi il
ragazzo iniziò a pensare che tutto quello spazio era tropo
grande, era troppo "mondo", faceva paura; così
inizio a recintarne un pezzetto con una fila di mattoni.
"Oh
adesso sì che è bello! E gli amici, quando vengono,
sapranno dove trovarmi. Un grande spazio aperto con un più
piccolo spazio mio circoscritto da un giro di mattoni. E poi i
mattoni sono belli. Hanno un bel colore. Rosso. Rosso mattone,
si dice, no? E sono caldi. E fanno casetta. Ma ... un giro solo
di mattoni è troppo poco. Posso fare di più!".
E
il ragazzo costruì altri tre giri di mattone attorno e
la collina ora assomigliava alla stessa collina di prima, ma divisa
da un muretto proprio sulla cima, un muretto che girava tutto
attorno al ragazzo. La ragazza, lei entrava e usciva, ma lui dentro
restava a continuare a costruire, perso in quel brivido di malta
e cazzuola, preso da quel sudore che gli nobilitava la fornte
e gli sciacquava via pensieri più cupi.
"Ma se mi fermo qui, non ha molto senso - disse - Un muretto
su una collina? E cosa ce ne facciamo? Certo che se avessimo due
o tre finestre, forse potremmo vedere meglio il panorama. Potrei
vedere il sole nascere da quella finestra, passare a mezzogiorno
dalla porta (oh, dopo essersi pulito ben ben i piedi, spero) e
tramontare da quell'altra. La finestra sul retro non serve. È
per la notte e la notte è buio e il sole non c'è".
E così proseguì e il muretto assunse le dimensioni
del muro e le finestre spalancarono occhi infelici sulla vecchia
collina, occhi vuoti, occhi vacui. Occhi che però videro
benissimo quando la ragazza se ne andò, quando raccolse
la sua roba vicino al fiume, completò i suoi bagagli, raccolse
il suo zaino, lasciando solo indietro la sua coperta indiana,
e partì. E la porta le sorrise nel dirle addio e i mattoni
piansero lacrime di calce e i fiorellini si chiusero per non turbarsi
l'animo delicato, animo fragile che si può spezzare persino
sorridendo troppo forte.
Ma il ragazzo non se ne accorse se non il giorno dopo. Triste
dapprima, poi rincuorato da un pensiero. Aveva la sua casetta
che stava venendo su bene! E non se ne sarebbe andata via. Però
mancava un tetto. E sul tetto un lucernario per guardare le stelle
o per vedere la pioggia dalla parte delle radici e la neve cadere
e sciogliersi al calore di un nuovo sole. Presto il tetto fu pronto.
Lo sgabuzzino completo. E il ragazzo, ormai uomo, non ne uscì
più.
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Anni
di castagna
Il
mio mood è variabile e mutevole
esattamente come il vento e le stagioni.
È un mood autunnale,
simile alla stagione della vita mia.
Alcune giornate radiose, altre grigie,
altre decisamente brutte.
Ogni tanto cadono le foglie
e il vento le porta via in gioiosi mulinelli,
filtra il sole tra la polvere
e le colora di arancione, di rosso, di marrone.
Color mattone, color bosco, castagna-foglia.
Così gli anni miei.
Anni di castagna.
Col gusto dolce della marronita.
Col senso legaccioso della polpa.
Con gli spilli, infingardi, invisibili e bastardi
del riccio.
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