Le
condizioni per il microracconto:
Tema: Datemi un martello
Consegna: entro Domenica 01/02/2004 ore 21.00
Votazione: entro Martedì 03/02/2004 ore21,00
Lunghezza: max 4000 battute (spazi inclusi)
Buone martellate a tutti
Fargaccio
Siccome un vincitore ha da esserci
il criterio per votare i microracconti potrebbe essere il seguente:
1) Possono votare tutti (Autori e non);
2) Ognuno potrà esprimere 3 preferenze, assegnando 5 punti
al primo, 2 al secondo, 1 al terzo;
Chi vince potrà fregiarsi del titolo di 'Campione d'inverno'
(miezzeca!).
Orbene, ecco l'infornata dei
mini racconti a tema 'Datemi un martello'. Per creare un momento
di divertimento non dirò chi sono gli autori partecipanti.
Provate a indovinare. Per la votazione (aperta a tutti i listaioli)
suggerisco MERCOLEDI' 28 GENNAIO ORE 21.00
Ogni votante dovrà esprimere 3 preferenze e assegnare:
5 punti al primo
2 punti al secondo
1 punto al terzo
É gradito anche un breve commento.
Grazie dell'attenzione, buona votazione e a risentirci presto
"Un
martello, un martello per sfasciarti la testa ci vuole! Non se
ne può più di questa solfa: e la danza e la palestra
e il trucco e il tatuaggio...hai ventinove anni, lo capisci o
no? Basta con queste stupidate di veline, letterine, numerini
e il diavolo sa che cosa. Cercati un lavoro piuttosto,vai a fare
la commessa, la badante, la donna delle pulizie... e smettila
di guardarti allo specchio, non sei più bella di centinaia
di altre ragazze. E non sei più neppure tanto giovane,
vogliono le minorenni adesso, sedici, diciassette anni. Avresti
potuto essere già sposata e madre di figli, ma tu no. Paolo
era geloso! Un così bravo ragazzo e te lo sei lasciato
scappare. D'accordo, era un po' rozzo, succhiava la minestra dal
piatto...sì, lo so, ti ha quasi spaccato la mascella quella
sera che non eri a casa ed è venuto a cercarti lì...in
quel posto, dove eri andata per fare il coso,come si chiama...il
casting. Ma santa pazienza, ti ha trovata mezzo nuda che ti dimenavi
davanti a tutti. Hai voglia di dire che siamo trogloditi, buzzurri
e meridionali del cazzo , ma un uomo la sua donna la vuole spogliare
lui e poi...non si può avere tutto dalla vita e quando
si arriva alla tua età bisogna capire che la giovinezza,
puff, è volata via e i sogni, bella mia, è meglio
nasconderli sotto il cuscino. E dopo Paolo, Luca. Neanche lui
andava bene. Puzzava di pesce! E ci credo, con quel po' po' di
negozio che si ritrovava...una gioielleria mica una pescheria
era quella! E tu invece di andare a dargli una mano facevi il
giro delle tv private nella speranza che qualcuno ti notasse e,
miracolo!, finissi in televisione a scosciarti per milioni di
telespettatori. Certo che Luca si è incazzato e ti ha infilato
la testa dentro la vasca delle vongole! Ahò, un uomo alla
sua donna le gambe gliele vuole aprire lui. Ma quando te lo ficcherai
in testa che la realtà è ben altro da quello che
sogni? Avessi quindici anni, lo potrei pure capire, a quell'età
la vita è uno specchio nel quale vediamo ciò che
vogliamo vedere, ma a ventinove lo specchio non è più
quello della regina di Biancaneve. E Mauro? Un ingegnere con la
sua bella professione, un attico nel cuore della città
e una villa ai Colli. Sì ,va bene, aveva cinquant'anni
e tre figli senza madre, e allora? Mica saresti stata la prima
a sposare un vedovo. Un uomo con la sua esperienza è meglio
di un giovanotto e poi a cinquant'anni s'è passato già
tutti i capricci e voglia di mettere le corna non ne ha più.
Ma tu invece di portarti a spasso i bambini, invece di fare in
modo che si affezionassero a te e stare accanto al loro letto
a raccontare le fiabe che facevi? Stavi sopra un cubo con le tette
di fuori, abbrancata ad un tubo di acciaio come fosse l'uomo che
ti stava scopando. Che Mauro ti abbia preso per i capelli e ti
abbia trascinato per tutta la discoteca col culo per terra, guarda,
non lo posso biasimare. Per un uomo la madre dei suoi figli deve
essere come una madonna...Un martello ci vuole, un martello per
spaccarti la testa e farne uscire tutte le cazzate che pensi..."
FINE
(Torna
su)
Datemi
un martello, uno di quelli da campeggio, sapete? Uno di quelli
bene equilibrati, un unico pezzo di ferro che parte dal manico,
coperto di gomma per l'impugnatura, e arriva alla penna (la parte
per battere) e al granchio (la parte per estrarre i picchetti
o i chiodi). Datemi un martello e vi solleverò ... una
macchina.
L'uomo
si sfilò il martello, come fosse un tomahawk, dalla cintura.
Prese automaticamente la mira e fece scattare con tonica energia
i muscoli della cinta omero-brachiale. L'arma, sotto la frustata
impressale dall'avanzamento della spalla destra e dalla torsione
del bacino, traversò fischiando l'aria e si infisse nella
fronte della donna. Dalla ferita caddero piccoli fiori neri e
volarono via animalini insulsi: i cattivi pensieri.
L'uomo
non si dette la pena di raccattare l'arma e si diede di nuovo
al suo lavoro; sprofondò le mani nella mota e riprese a
lavorare per liberare dal fango le ruote della macchina, miseramente
impantanata. La donna, libera dai cattivi pensieri, si tolse il
martello da in mezzo alla fronte e si diede d'attorno all'altra
ruota. Piedi che slittavano nella fanghiglia, che si rapprendeva
sulle mani e sulle gambe. Sole che scottava via i pensieri, li
bagnava di sudore, mentre il dorso della mano che tergeva alta
la fronte, mischiava fango e polvere ai capelli. L'uomo smoccolava
un poco al fango, un po' alla pioggia del dì innanzi e
ai cattivi pensieri della donna che, calmatasi, prendeva fotografie.
Gli indiani rispettano i personaggi il cui senno vola libero per
le praterie! Tre volte la macchina si era impantanata seguendo
tracce di cammelli su viottoli per cammelli; l'argilla impenetrabile
del sottosuolo aveva trattenuto la pioggia a livello suolo, coprendola
con uno strato fluttuante di viscida fanghiglia. L'imperizia del
pilota (la donna) e l'errata scelta del cammino (sempre lei) avevano
fatto il resto. Ormai il sole era allo zenit, la campagna di Toscana
mandava caldi aromi e l'uomo lavorava ancora/lavorava e cantava/
una canzone mentale/ una canzone solare. I lupi volavano alti
nel Far West mentale di un maggio toscano. ("Barbinaia? Che
si sto a fare io in Barbinaia? È una figura barbina?").
Quando il rosso del suo sangue si mischiò con il rosso-mattone
della terra raggrumata sulla mano, l'uomo capì che era
giunto il "tempo degli eroi". Legò la catena
alla macchina, l'impugnò con le due mani, tese i muscoli
al diapason e tirò. La macchina si mosse e uscì
dal pantano. Cautamente raccattò il martello e si appuntò
una medaglia.
FINE
(Torna
su)
L'INGEGNERE
-
Ricordati Enzino, vale più la pratica che la grammatica!
Ehi Carlin, passami l'ingegnere!
Sghignazzando,
l'aiutante passò il martello al capo che tosto si accanì
battendo direttamente sull'anello interno di un incolpevole cuscinetto
a sfere.
Un'eresia
per lo zelante neolaureato in meccanica. Chiunque dei suoi passati
insegnanti, anche tra i più raccomandati e ignoranti, sarebbe
inorridito a tale vista, inoltre anche il manuale della RIV sconsigliava
l'uso del martello per compiere simili operazioni. Una pressetta,
un tubo del diametro dell'anello esterno, et voila! elegante e
preciso!
Tutti
i giorni l'ingegnere doveva subire la pesante ironia di quella
coppia di disinvolti praticoni, tesi a screditarlo perfino agli
occhi dell'ultimo apprendista. Davvero lui non se lo meritava
e meditava di fare le scarpe al capo.
Il
momento buono giunse quando Giuvanun Lamiera, il capoofficina,
venne spedito da un cliente lontano per delle manutenzioni straordinarie.
Sotto l'occhio vigile quanto discreto del titolare, Enzino prese
provvisoriamente il comando del reparto. La sua prima disposizione
fu il censimento della spropositata quantità di martelli,
martelloni, martelletti, mazze, mazzuoli e mazzette in circolazione.
D'ora
in avanti l'uso di quegli attrezzi medievali sarebbe stata autorizzata
soltanto da lui stesso, ovvero mai. Gli operai ricevettero in
cambio nuovissimi martelli di piombo e plastica dura, roba per
lavori di fino, roba da Fiat, anzi, da Ferrari.
Quando
il cinquantenne capo ritornò, non ritrovando veri martelli
dalla testa di ferro, ebbe un tracollo e venne ricoverato per
la prima volta. Uscito dalla casa di cura, davanti alla prospettiva
del licenziamento, accettò a denti stretti di essere pre-pensionato
e lasciò l'azienda, portando però con sé
la sua mitica mazza personale da cinque chili.
**
- Gira, gira, é qui a destra.
Squittendo
la fidanzata del promettente Dottor Ingegner Enzino, indicò
l'ingresso del cortile della villetta dei genitori, ansiosi di
conoscere il prestigioso futuro genero.
Quando
Giuvanun lo riconobbe non esitò: corse nella rimessa e
ritornò con la famigerata mazza da cinque chili. Neppure
Enzino esitò: rimontò sull'Alfa e sgommò
proiettando ghiaia fin nel giardino del vicino. Purtroppo le ruote
non fecero presa immediata e il vecchio capo dette pratica dimostrazione
della sua bravura come battilastra: in pochi secondi la berlina
divenne un coupé.
L'indomani
avvenne il secondo ricovero, forzato e assai più lungo
del precedente.
**
- Mamma, il nonno si é nuovamente cagato addosso!
Gracchiando
la moglie dell'industriale Dottor Ingegner Enzino Ferroli, cercò
di disarmare le due piccole pesti. I due marmocchi, un maschietto
e una femminuccia, armati di martelli di gomma, quelli con la
testa a fisarmonica che quando si picchia fischiano espellendo
l'aria, tamburellavano l'ormai vuota crapa del sessantenne Giuvanun
facendola risuonare come una sorda campana di cattivo bronzo.
L'Ingegnere vide la scena scendendo dalla sua nuova ferrari e
scosse la testa. Da tempo compassione e affetto lo legavano a
colui che era stato un acerrimo rivale in gioventù. Le
lacrime che il vecchio non aveva saputo frenare lo scolvolsero.
**
- Si tratta evidentemente di un incidente.
Dentro
di se, il comprensivo maresciallo, aveva un ben altro quadro della
situazione: il vecchio, esasperato dai continui ricoveri e vergognoso
della sua incontinenza, s'era buttato dal balcone ed era caduto
di testa sullo spigolo di un gradino della scalinata dell'ingresso.
Nel
pomeriggio, il determinato quanto prudente ingegnere, osservò
i cerchi allargarsi nell'acqua placida del fiume.
Che
strana la vita ... eppure proprio lui aveva giurato in gioventù
di mai usare un martello.
FINE
(Torna
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L'UOMO E IL FAZZOLETTO
-
Odio quell'energumeno!
-
Perché non lo uccidiamo?
-
Ssssst... parlate piano! Se ci sentisse, ci ridurrebbe in polvere.
A
parlare così fu, incredibile a dirsi, una manciata di chiodi.
Erano stanchi di essere trattati con ferocia dal martello del
fabbro, ma più che borbottare non potevano. In verità
non erano soltanto essi a nutrire sentimenti ostili verso quello
strumento. Un po' tutti gli strumenti della bottega lo odiavano,
soprattutto lo scalpello e l'incudine. Ma, come avrebbero potuto
sbarazzarsi di lui? - Cosa mai riuscireste a fare voi? - domandarono
le tronchesi in tono sarcastico dall'alto della mensola su cui
troneggiavano. - Vedremo noi il da farsi.
I
chiodi, confortati da quella promessa, chinarono la testa e ammutolirono.
Il destino fornì un giorno un'opportunità favorevole.
Era mattina quando un paese vicino ebbe necessità del fabbro.
L'uomo accorse prontamente. Come spesso gli capitava, lasciò
il martello sull'incudine. Appena lui fu fuori, le tronchesi si
lanciarono dalla mensola, colpirono il manico del martello che
si protendeva nel vuoto, e lo catapultarono proprio là
dove volevano che finisse: nella forgia! A contatto con la brace
il manico prese fuoco. Anche la pesante testa di ferro, dopo qualche
ora, si ridusse a un ammasso informe. I chiodi e tutti gli attrezzi
della bottega intonarono canti di gioia: il tiranno era stato
abbattuto! Soltanto la falce, appesa al suo chiodo, si disperò
per l'agonia e la morte del martello, uno strumento che trovava
virile come pochi. Quando realizzò che non avrebbe mai
più correre dietro al suo sogno d'amore, si lasciò
cadere sui carboni ardenti e morì.
Al
ritorno del fabbro, dei due strumenti era rimasto ben poco. L'artigiano
non seppe rassegnarsi con facilità alla loro scomparsa.
Gli erano entrambi cari e soprattutto indispensabili. Uno gli
serviva per il lavoro e l'altro per tagliare l'erba da dare ai
conigli. Addirittura non toccò cibo per qualche giorno.
Colpita da tanta sofferenza, la moglie pensò di fargli
un regalo. Con un filo d'oro, ricamò una falce e un martello
sul fazzoletto rosso che lui portava al collo durante il lavoro.
Quando lo restituì al marito, questi si commosse: era il
riconoscimento più giusto per due strumenti come quelli!
Pieno
d'orgoglio, l'uomo cominciò a mostrare a parenti ed amici
il bellissimo ricamo. Tutti ne apprezzarono la bellezza. Lui si
affezionò a tal punto a quel fazzoletto da non riuscire
a separarsene nemmeno quando andava a letto.
Nel
giorno di fiera lui e il suo fazzoletto divennero le attrattive
principali. Alcuni visitatori dei paesi vicini fecero addirittura
a pugni pur di vedere da vicino quell'uomo di cui avevano tanto
sentito parlare. Gli echi della giornata arrivarono alle orecchie
del sindaco che manifestò il desiderio di incontrare l'artigiano.
Riunì in seduta straordinaria il consiglio comunale e accolse
nel municipio il fabbro con il rispetto che si deve ad un'illustre
personalità. Nel discorso che fece, il primo cittadino
disse, fra l'altro, che 'la falce e il martello sono i due strumenti
che meglio di ogni altro rappresentano la dignità e la
forza della classe proletaria'. Quando uscì dalla sala
comunale il fabbro aveva il viso rosso e il cuore in tumulto.
Dopo
qualche tempo, una forza politica, cavalcando il successo popolare
dell'uomo, mise in cima ad un'asta il suo fazzoletto rosso e ne
fece una bandiera. A quel punto, come sempre accade in casi come
questi, l'orgoglio del fabbro montò in presunzione. I panni
dell'artigiano cominciarono ad andargli stretti e lui prese ad
odiare contadini ed artigiani 'gente gretta ed incapace - a suo
dire - di guardare oltre le proprie scarpe'. Si convinse di essere
diventato importante quando gli fu fatto credere che anche grazie
al suo ricamo la rivoluzione del proletariato si sarebbe realizzata.
Con il diffondersi delle bandiere rosse però, l'interesse
per il suo fazzoletto scemò e, dopo un po', la gente si
dimenticò di lui. Qualcuno cominciò anche a criticarlo
perché 'portare una bandiera al collo - diceva - è
una cosa ridicola, qualcun altro lo tacciò di arroganza.
Le accuse avvilirono il fabbro, al punto che egli ne fece una
malattia. Prima si chiuse in un mutismo assoluto, poi, quando
realizzò che era stato espropriato di una cosa che avrebbe
dovuto rimanere sua per sempre, morì.
FINE
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ODINO
ODÌNO
In
principio era una gran rottura di cazzo. La voglia di essere qualcuno
che primeggia nella testa da quando ti svegli finche' a meta'
giornata non trovi qualcuno che immancabilmente per qualche strana
congiunzione astrale e' meglio di te. Sa parlare, sa scrivere
e sa farti pesare il fatto che tu , al suo cospetto, sei soltanto
la schiuma piu' grigia dell'ultima mareggiata della stagione.
Punti
di Vista. Gran rotture di cazzo appunto. Ho sempre sospettato
che nelle teste da topolino del grano della maggior parte degli
uomini in qualche involuzione cerebrale si celasse il segreto
della felicita'. La verita' mi e' giunta come una lettera sottomarina.
L'inchiostro non va mai d'accordo con l'acqua salmastra. La brutta
sensazione che mi sono trovato ad analizzare e' che la gioia di
essere non e' altro che il trascinare la propria esistenza fino
alle ultime ore del giorno. Vita da Palotini. Forse aveva ragione
il re Ubu a giocare con la sua macchinina per tentare di far saltare
l'ipocrisia triste dell'uomo. Mangiamo il loro cervello e non
diamo mai un'altra possibilita'. Pero' e' una gran bella emozione
credere di essere meglio di uno di loro. Ti senti gonfio (poco
tronfio a dire la verita') di vanita' Attica...tutta la sapienza
di migliaia di anni di storia cammina al tuo fianco come l'ombra
di un successo. Puoi cagare in testa a quel mondo bacchettone
che ha sempre cercato di chiuderti nella fila dei depravati lavoratori
monocordi. Forse ci puoi riuscire. Hai sempre la sensazione, che
il fegato di essere il piu' bell'esemplare di Vir Bonus Dicendi
peritus, ce l'hai solo tu. La forza delle parole che invenzione
eccezionale, anche i meno fortunati possono credere di avere una
possibilita' nelle leggi naturali. Anche io posso essere normale.
Nella follia della mia normalita' si cela l'incessante bisogno
di essere qualcuno. "Qualcuno"...che bella cosa...fanculo
a tutti gli emigrati...e fanculo all'inglese...datemi un martello....
A
tutto questo miscuglio alchemico di piccola sofferenza e voglia
di vittoria latina si puo' pero' pensare meno, a mio avviso, solo
in una maniera: ascoltare una bella canzone, e nel dire bella
non intendo un simpatico motivetto allegro che ti cura la testa
per la sola durata del brano.Una bella canzone e' come assistere
all'ultimo atto della vita delle tue malinconie piu' acetose,
una bella canzone e' l'apoteosi di te stesso. Che bello far visita
agli dei ogni tanto. Avete mai provato ad assaggiare il gusto
di una tromba cosi' squillante da farvi annusare il sapore caldo
di una notte americana?In quelle note ottone si cela il gusto
della felicita'. L'amarezza ormai non e' piu' cosa per me. Un
Duca col suo esercito di tromboni mi ha fatto trovare la strada
della vita, ho appena assaggiato l'inizio della canzone che gia'
sono ubriaco di allegria Dixieland. Io ora come ora sono io. Sono
superiore a me stesso, perche' pensare agli altri? Un fiume di
musica mi scorre sotto la corteccia e mi pianto nella necessita'
di piangere dalla commozione per tutti quei rumorini che mi solleticano
l'anima. Fuori ora nevica e nevica e un manto bianco si stende
sulla mia citta'. Ti penso e credo che anche tu in fondo alla
tua superbia sei come me. Due cani gemelli in corsa costante.
Mit
Liebe
FINE
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RIDATECI
ANCHE LA FALCE PER FAVORE
Giuseppe
Tribondera, detto Peppin ma chiamato da tutti Lenìn, a
quella cosa lì proprio non ci vuol credere. "Ma l'è
daver cusì?", torna a domandare ossessivamente al
Tunin.
Tunin,
il Mazzocchi. Con il Peppin centocinquant'anni in due, da sempre
amici: dalla scuola (pochissima) al mestiere, alla fabbrica, al
partito, alla lotta (tantissima). Anche adesso che sono in pensione,
più tempo per guardare il telegiornale e più tempo
per incazzarsi; incazzati ed impotenti.Comunque compagni da sempre,di
quelli col vizio del pugno chiuso per fede, e con lo sfizio della
dignità d'un anima sempre rossa e conficcata fino nel profondo
del corpo.
-"Ma
davvero niente più falce, Tunin?!"
-"E
gnancha più el martel', Peppin."- precisa il Tunin
- gnanca più el martel!"
-"Gnanca
più el martel?! "E chi l'ha detto?!"
-
"Achille, il partito, tutti"
-"Chi
"tutti", boia d'un lader de padrun,...chi "tutti"?"
-" Tutti, tutti, vacca d'una baciapile imbalsamata! Alla
Bolognina, Lenìn, tutti i garofani del partito,tutti i
delegati ".
"Baffo
d'un Occhetto! Io lo sapevo, me lo sentivo che prima o poi succedeva.
E poi dice che i baffi de' noster capi son tutti uguali... il
baffo vero, quello socialista dell'URSS, è morto con lui,
nel '53...altro che questi fottuti revisionisti..."
Lenìn
Tribondera, bluastro in viso, bofonchia quasi tra sé e
sé un pateravegloria di bestemmie comuniste. E cammina
su e giù scalciando l'aria davanti al portone chiuso della
sezione F. Turati in via Stalingrado, la prima, la più
vecchia della città, il suo piccolo mausoleo. Ogni tanto
si ferma e picchia con una raffica di pugni sui battenti. Assurdamente,
perché lo aprano. Ma sono le sei del mattino. E per quanto
la sezione sia stata sempre viva ed attiva, lì non ci ha
mai dormito nessuno a fare la guardia alla rivoluzione del proletariato.
Tunin
lo guarda il Peppin suo amico. Lo guarda con l'aria sconsolata
d'un amico . E se lo rivede quando solo l'altro ieri, ch'e stato
di domenica, col colletto bianco e ben inamidato, quello della
festa, un po'per devozione, un po'per dispetto alla moglie clericale,
s'è messo ancora una volta a vendere davanti al piazzale
della chiesa, l'Unità. A prezzo scontato, pur di redimere.
"Ma
che c'han mis ades al post' del martel e de la falce?"
"Non
so, dicono una quercia".
"Una
quercia? Mi ci faccio una sega io sotto quella quercia."
Poi,
del suo stesso dire da vecchio ed impunito maiale comunista, realizza
l'involontario doppio senso: quercia .. sega. E gli si appizza
negli occhi e sulla bocca un sorriso maligno: "Io quella
quercia me la sego, la faccio a pezzi". Ma il godimento sarcastico
dura poco. S'accorge sempre di più che di colpo nella sua
vita gli è venuto a mancare qualcosa di grosso.
In
quel mausoleo piccolo piccolo, c'è conservato il martello
di quello stronzo di fabbro ferraio di suo nonno; che lo regalò,
come pegno di fedeltà alla causa, alla ex Camera del Lavoro
nel lontano 1889. Bel lavoro gli aveva fatto adesso suo nonno.
Accoccolandosi
a sedere sul marciapiede, quasi gli viene da piangere. Tunin amorevolmente
lo rialza e se lo mette sotto braccio.
"Lenin,
dai, non fare così. Andem' a prende' un caffè. Tanto
questi non apren ant' i des ."
"Un
caffè no, l'è trop' burghes', un bicchiere di bianchetto,
quello sì".
"Bianchetto?"
" Eh!...
essì.... un bianchetto."
Alle dieci
e trenta tornando dal bar con sei giri di bianchetto in corpo,
io, Lenìn e Tunin ci accorgiamo di quanto cazzo sono pochi
3500 caratteri, spazi inclusi, per restituire a Lenìn il
martello del nonno e finire il raccon... Ehi... che vuoi Tunin?,
che mi pizzichi a fa... non mi tirare per la giacchetta, dai.,
che mi vuoi dire?
Ah, sì,...Tunin
mi ricorda di chiedere a tutti voi, stimati lettori, un po' di
solidarietà per il nostro dramma; ed a quelli che contano,
di ridarci anche la falce, per favore.
Inchino. E
scusate il finale da botta di commedia dell'arte.
FINE
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BREVE
MOMENTO D'ADOLESCENZA
Il
professore aveva lanciato la domanda e aveva girato il viso dall'altra
parte. Non guardava ne' me, ne' la classe. Gli occhi osservavano
la risposta in un punto tra la finestra e la parete di fondo.
Io invece osservavo lui. Ma quel volto trentacinquenne vagamente
somigliante ad Alain Delon e il suo ciuffo spettinato non mi suggerivano
niente. L'espressione del viso non parlava di storia.
-Forza- Disse poi, sempre osservando quel punto tra la finestra
e il muro -E' succeduto a Ladislao IV sul trono d'Ungheria...-
Restai in silenzio.
-Le dico anche che era il 1292...-
Mi presi il mento nella mano destra e scrollai leggermente il
capo. Non ancora deciso ad arrendermi, fingevo di pensare. Il
professore mosse leggermente la testa e guardò un operaio
che, nel cortile, stava montando un'impalcatura. Alzai gli occhi
verso Barbara. Lei mosse le labbra, suggerendo un nome. Non capivo.
Con un veloce movimento delle sopracciglia mi indicò il
cortile, come volesse uscire con me.
-Lei sta studiando Dante?- Chiese il professore.
-Si'...-
Non capivo dove volesse arrivare.
-Canto Ottavo del Paradiso...-
Era un suggerimento, oppure un'altra domanda in una materia non
sua? Lo sconforto aveva preso il posto di quella paura, che mi
aveva aggredito avvicinandomi alla cattedra. Guardai nuovamente
verso Barbara, che accavallò le gambe e mosse ancora le
labbra, sensuale, ma incomprensibile. Si toccò il cuore,
indicandomi che le batteva forte. Mariano mi fece il gesto della
scopata, una scopata violenta. Andrea iniziò a dare pugni
in testa a Vincenzo e Davide alzò un cartello su cui aveva
scritto "DJ KILLER FABER".
Ma cosa avevano tutti? Volevano farmi ridere, in quel momento
di umiliante vuoto mentale?
-Le piace De Andre'?-
Fatta questa domanda, l'insegnante si voltò di scatto verso
di me. Ora ci si metteva anche lui, a prendermi in giro.
-Si', ma...-
-E allora... forza!-
-No, non lo so... non capisco-
Ero deriso ed umiliato. Mi sentivo deriso ed umiliato da tutti.
-Vada al posto. E voi, ragazzi... non dico di non suggerire, ma
quando lo fate fatelo bene, siate piu' chiari-
Lo odiavo, quando aveva quel sorriso di sfottimento. A parecchi
anni di distanza, ricordo quanto si erano impegnati lui e i miei
compagni per suggerirmi la risposta.
FINE
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VOGLIO
UN MARTELLO
-
Voglio un martello!
La
voce tonante del professor Fargoshi rimbombò sulle pareti
dello studio, rotolò sulle scale, investì aule,
corridoi, bagni, ripostigli, si spezzettò in mille schegge
grondanti raccapriccio, giù, giù, fin dentro i già
troppo provati gangli nervosi di assistenti, bidelli, studenti,
gatti e topi, insomma di tutti i frequentatori abituali dell'Istituto
di Filosofia.
Terrore puro. Quando il professore eruttava in quel modo la situazione
era drammatica.
E se lui voleva qualcosa, qualsiasi cosa, guai a chi perdeva tempo
in esitazioni: bisognava dargliela e basta.
Ma un martello! E che ci doveva fare Fargoshi con un martello?
E vabbe' che un giorno aveva ordinato un orsacchiotto di peluche;
e d'accordo che un'altra volta aveva preteso la traduzione di
una poesia erotica in indi... ma un martello!
No, contrariamente a ciò che tutti avevano pensato, non
aveva avuto difficoltà ad addormentarsi quando aveva bramato
l'orsacchiotto: ci aveva fatto sopra una lezione sulla contingenza
metafisica del pelo vero nei confronti di quello finto quando
venivano sottoposti a una torsione stringente, fisica o logica
che fosse.
E la traduzione della poesia in indi si sospettava gli servisse
per piegare ai suoi zozzi desideri una studentessa un pò
porca originaria di Bombay ( lui in verità non sapeva che
fosse così porca, se n'è accorto quando era troppo
tardi), salvo poi scoprire che lo scopo di tale smania era istruire
gli studenti sull'escatologia del preservativo.
Ma un martello, che significato poteva avere?
- Secondo me - disse Giuliano, suo primo assistente - intende
discutere sulla simbologia della volontà. Ahhh... ho sentito
qualcosa in merito. Anzi ho letto qualche appunto che ha dimenticato
sulla scrivania. Intende parlare alla marmaglia che bazzica qui
del martello come emblema della constante applicazione volitiva
dell' Io cosciente nei confronti delle pulsioni dell'incoscio
eterodosso. E' un processo noetico-pratico riverberantesi nel
binomio detto anche del capo-i-chiuvu, ossia della testa di chiodo.
In soldoni: batti e ribatti finché non ti entra in testa
il concetto, anche a costo di spaccartela.
-No, no, mio caro Giuliano - ribatté Vicchiardo, assistente
di secondo grado, ma invidiosissimo del primo, al quale voleva
soffiare il posto. - Mi dispiace contraddirti "... ma manco
per idea..." , ma qui non si tratta del martello come metafora
della volontà cosciente, piuttosto dell'abitudine pavloviana
a porsi costantemente nella posizione del battitore, ossia di
colui che detiene il potere del martello "... devo insinuare
il dubbio in questo cacconzolo, così lo metto contro il
capo...". Vedi, caro Giuliano, il professore sa che cotale
strumento è nelle sue indiscutibili mani e non esita a
praticare il solito movimento pendolare di su e giù nei
confronti della plebe che, come sempre, funge da piano di percussione,
cioè da incudine. E' scientificamente provato che l'incudine
deve essere a una distanza relativa che soddisfa la condizione
di perpendicolarità, ossia il martello batte sulla capoccia
di chi è più vicino, ossia su quella del collaboratore
più stretto, ossia su di te. Ma tanto tu sei un cagone
e non protesti...
- Naaaaa - obiettò Elisa, una studentessa che faceva la
tesi in Istituto - siete fuori strada tutti e due. Com'è
la forma di un martello? Parallelepipedo avanti e piramide dietro.
E' una metafora della condizione dell'uomo retto, squadrato, di
colui cioè che ha direttrici ben salde nella vita e che
procede sempre per linee parallele. E' inespugnabile, inossidabile,
completo, autosufficiente e soddisfatto di sé, eppure ha
una specie di pulsione anche per l'infinito, per l'Essere. Il
parallelismo del parallelepipedo continua e sfuma nella piramide,
che termina a punta e dirige verso un immaginario centro dell'Universo,
visibile e invisibile. Oh, sarà una lezione indimenticabile
del prof. Lo amoooo!!
- Ahooo!! - Terremotò ancora Fargoshi dall'alto. - Me lo
date 'sto martello, artrimenti come me la magno 'sta cacchio de
noce de cocco?
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LANTERNE
BLU
-
Il cinque... forse, ma ci devo pensare.
E Xi Luang con un calcio chiuse la porta e si avviò al
tennis.
Le servette si guardarono perplesse.
Xi
Luang giocò un doppio con discreto successo poi si bevve
una bibita gelata. Al ritorno aveva deciso. Bene per il cinque.
Aveva voglia di dolcezza e di abilità. Il cinque faceva
al caso. - Preparatelo, disse. E accendete davanti alla sua stanza
una lanterna blu.
A
dir il vero nel cuore di Xi Luang c'era il numero tre. Con lui
avrebbe fatto l'amore davvero. Ma non voleva. Aveva bisogno di
qualcosa di soft e di irrilevante.
Era
strano: con il tre aveva fatto l'amore poche volte. Lo sceglieva
meno degli altri. Anche se pensava sempre a lui. Bang bang, un
martello nella sua testa. Il tre. Era il tre nella sua mente.
Ma con lui sarebbe stato troppo facile arrivare alla radice del
dolore e del piacere. Alla radice di se stessa. Meglio il cinque
che non dava grandi emozioni.
Passò
davanti alla stanza del cinque e lo vide occupato con le servette
che lo stavano massaggiando. Passò in rassegna le altre
cellette dove, in isolamento ampiamente risarcito dai piaceri
che si prendevano tra loro e con le servette, vivevano i suoi
cinque concubini. Ciascuno, per essere il preferito, dava il meglio
di sé. Non solo come prestazioni sessuali ma anche affettive.
Incredibile
quanto un uomo sappia tirar fuori, se messo alle strette! Ho fatto
bene a scegliere il cinque, pensò. E' bravo, direi tecnicamente
perfetto. Ma... C'era sempre il tre nel suo cuore. Bang bang,
un martello che non le dava pace. Non ci voleva pensare. Quello
stronzo avrebbe fatto un solo boccone di lei se lei gliel'avesse
permesso! Quello stronzo a cui, un momento di debolezza, aveva
imprudentemente dato la password del suo cuore...Certo, aveva
sbagliato...ma per fortuna era lei ad avere il gioco in mano.
Era lei che li teneva nelle cellette. Era lei che sceglieva. Dopo
il cinque - e qualche volta anche il due... (non era male il due
...così giovane e fresco...)-, solo allora...avrebbe aperto
la porta del tre...Ma temeva quel momento...il momento in cui
lei non sarebbe stata più lei. Amare è poco prudente,
si disse. Non è assennato consegnare nelle mani di uno
solo il proprio cuore.
Il
cinque fu dolce e stuzzicante. Percorse a carezze e a morsi il
suo corpo. La prese con dolcezza, trovò ogni strada che
lei voleva fosse percorsa. Senza parole, quasi sui ritmi di un
blues, si ritrovarono in un'altalena di fili che li avvolgeva
come una ragnatela. Uscì serena e appagata dalla sua stanza.
Percorse il lungo corridoio e si chiuse nella sua stanza. Era
una notte di luna. Grande e rossa nel cielo. Xi Luang la guardò
a lungo. Si chiese che cosa voleva davvero. Perché non
era felice? Ah, la felicità! la solita ingenua presunzione
dell'uomo! Doveva dormire. Domani era un altro giorno di lavoro.
Bang bang, ancora quel rumore nel suo cervello. Il pensiero si
insinuava ossessivo senza che lei volesse. Bang bang come un martello.
Aprì
nuovamente la porta percorse il corridoio e arrivò inaspettata
dal numero tre. Rischiava di trovarlo addormentato, svogliato,
disinteressato... rischiava di sentire parole di convenienza...rischiava
di piangere e di uscire sconfitta. Ma non poteva farne a meno.
- Sono qui, disse. Scusa se non ti ho avvertito.
FINE
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