Classifica Finale
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

4000 battute

Le condizioni per il microracconto:

Tema: Datemi un martello
Consegna: entro Domenica 01/02/2004 ore 21.00
Votazione: entro Martedì 03/02/2004 ore21,00

Lunghezza: max 4000 battute (spazi inclusi)

Buone martellate a tutti

Fargaccio

Siccome un vincitore ha da esserci il criterio per votare i microracconti potrebbe essere il seguente:

1) Possono votare tutti (Autori e non);

2) Ognuno potrà esprimere 3 preferenze, assegnando 5 punti al primo, 2 al secondo, 1 al terzo;

Chi vince potrà fregiarsi del titolo di 'Campione d'inverno' (miezzeca!).

Orbene, ecco l'infornata dei mini racconti a tema 'Datemi un martello'. Per creare un momento di divertimento non dirò chi sono gli autori partecipanti. Provate a indovinare. Per la votazione (aperta a tutti i listaioli) suggerisco MERCOLEDI' 28 GENNAIO ORE 21.00

Ogni votante dovrà esprimere 3 preferenze e assegnare:

5 punti al primo
2 punti al secondo
1 punto al terzo

É gradito anche un breve commento.


Grazie dell'attenzione, buona votazione e a risentirci presto


DATEMI UN MARTELLO I

"Un martello, un martello per sfasciarti la testa ci vuole! Non se ne può più di questa solfa: e la danza e la palestra e il trucco e il tatuaggio...hai ventinove anni, lo capisci o no? Basta con queste stupidate di veline, letterine, numerini e il diavolo sa che cosa. Cercati un lavoro piuttosto,vai a fare la commessa, la badante, la donna delle pulizie... e smettila di guardarti allo specchio, non sei più bella di centinaia di altre ragazze. E non sei più neppure tanto giovane, vogliono le minorenni adesso, sedici, diciassette anni. Avresti potuto essere già sposata e madre di figli, ma tu no. Paolo era geloso! Un così bravo ragazzo e te lo sei lasciato scappare. D'accordo, era un po' rozzo, succhiava la minestra dal piatto...sì, lo so, ti ha quasi spaccato la mascella quella sera che non eri a casa ed è venuto a cercarti lì...in quel posto, dove eri andata per fare il coso,come si chiama...il casting. Ma santa pazienza, ti ha trovata mezzo nuda che ti dimenavi davanti a tutti. Hai voglia di dire che siamo trogloditi, buzzurri e meridionali del cazzo , ma un uomo la sua donna la vuole spogliare lui e poi...non si può avere tutto dalla vita e quando si arriva alla tua età bisogna capire che la giovinezza, puff, è volata via e i sogni, bella mia, è meglio nasconderli sotto il cuscino. E dopo Paolo, Luca. Neanche lui andava bene. Puzzava di pesce! E ci credo, con quel po' po' di negozio che si ritrovava...una gioielleria mica una pescheria era quella! E tu invece di andare a dargli una mano facevi il giro delle tv private nella speranza che qualcuno ti notasse e, miracolo!, finissi in televisione a scosciarti per milioni di telespettatori. Certo che Luca si è incazzato e ti ha infilato la testa dentro la vasca delle vongole! Ahò, un uomo alla sua donna le gambe gliele vuole aprire lui. Ma quando te lo ficcherai in testa che la realtà è ben altro da quello che sogni? Avessi quindici anni, lo potrei pure capire, a quell'età la vita è uno specchio nel quale vediamo ciò che vogliamo vedere, ma a ventinove lo specchio non è più quello della regina di Biancaneve. E Mauro? Un ingegnere con la sua bella professione, un attico nel cuore della città e una villa ai Colli. Sì ,va bene, aveva cinquant'anni e tre figli senza madre, e allora? Mica saresti stata la prima a sposare un vedovo. Un uomo con la sua esperienza è meglio di un giovanotto e poi a cinquant'anni s'è passato già tutti i capricci e voglia di mettere le corna non ne ha più. Ma tu invece di portarti a spasso i bambini, invece di fare in modo che si affezionassero a te e stare accanto al loro letto a raccontare le fiabe che facevi? Stavi sopra un cubo con le tette di fuori, abbrancata ad un tubo di acciaio come fosse l'uomo che ti stava scopando. Che Mauro ti abbia preso per i capelli e ti abbia trascinato per tutta la discoteca col culo per terra, guarda, non lo posso biasimare. Per un uomo la madre dei suoi figli deve essere come una madonna...Un martello ci vuole, un martello per spaccarti la testa e farne uscire tutte le cazzate che pensi..."

FINE

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DATEMI UN MARTELLO II

Datemi un martello, uno di quelli da campeggio, sapete? Uno di quelli bene equilibrati, un unico pezzo di ferro che parte dal manico, coperto di gomma per l'impugnatura, e arriva alla penna (la parte per battere) e al granchio (la parte per estrarre i picchetti o i chiodi). Datemi un martello e vi solleverò ... una macchina.

L'uomo si sfilò il martello, come fosse un tomahawk, dalla cintura. Prese automaticamente la mira e fece scattare con tonica energia i muscoli della cinta omero-brachiale. L'arma, sotto la frustata impressale dall'avanzamento della spalla destra e dalla torsione del bacino, traversò fischiando l'aria e si infisse nella fronte della donna. Dalla ferita caddero piccoli fiori neri e volarono via animalini insulsi: i cattivi pensieri.

L'uomo non si dette la pena di raccattare l'arma e si diede di nuovo al suo lavoro; sprofondò le mani nella mota e riprese a lavorare per liberare dal fango le ruote della macchina, miseramente impantanata. La donna, libera dai cattivi pensieri, si tolse il martello da in mezzo alla fronte e si diede d'attorno all'altra ruota. Piedi che slittavano nella fanghiglia, che si rapprendeva sulle mani e sulle gambe. Sole che scottava via i pensieri, li bagnava di sudore, mentre il dorso della mano che tergeva alta la fronte, mischiava fango e polvere ai capelli. L'uomo smoccolava un poco al fango, un po' alla pioggia del dì innanzi e ai cattivi pensieri della donna che, calmatasi, prendeva fotografie. Gli indiani rispettano i personaggi il cui senno vola libero per le praterie! Tre volte la macchina si era impantanata seguendo tracce di cammelli su viottoli per cammelli; l'argilla impenetrabile del sottosuolo aveva trattenuto la pioggia a livello suolo, coprendola con uno strato fluttuante di viscida fanghiglia. L'imperizia del pilota (la donna) e l'errata scelta del cammino (sempre lei) avevano fatto il resto. Ormai il sole era allo zenit, la campagna di Toscana mandava caldi aromi e l'uomo lavorava ancora/lavorava e cantava/ una canzone mentale/ una canzone solare. I lupi volavano alti nel Far West mentale di un maggio toscano. ("Barbinaia? Che si sto a fare io in Barbinaia? È una figura barbina?"). Quando il rosso del suo sangue si mischiò con il rosso-mattone della terra raggrumata sulla mano, l'uomo capì che era giunto il "tempo degli eroi". Legò la catena alla macchina, l'impugnò con le due mani, tese i muscoli al diapason e tirò. La macchina si mosse e uscì dal pantano. Cautamente raccattò il martello e si appuntò una medaglia.

FINE

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L'INGEGNERE

- Ricordati Enzino, vale più la pratica che la grammatica! Ehi Carlin, passami l'ingegnere!

Sghignazzando, l'aiutante passò il martello al capo che tosto si accanì battendo direttamente sull'anello interno di un incolpevole cuscinetto a sfere.

Un'eresia per lo zelante neolaureato in meccanica. Chiunque dei suoi passati insegnanti, anche tra i più raccomandati e ignoranti, sarebbe inorridito a tale vista, inoltre anche il manuale della RIV sconsigliava l'uso del martello per compiere simili operazioni. Una pressetta, un tubo del diametro dell'anello esterno, et voila! elegante e preciso!

Tutti i giorni l'ingegnere doveva subire la pesante ironia di quella coppia di disinvolti praticoni, tesi a screditarlo perfino agli occhi dell'ultimo apprendista. Davvero lui non se lo meritava e meditava di fare le scarpe al capo.

Il momento buono giunse quando Giuvanun Lamiera, il capoofficina, venne spedito da un cliente lontano per delle manutenzioni straordinarie. Sotto l'occhio vigile quanto discreto del titolare, Enzino prese provvisoriamente il comando del reparto. La sua prima disposizione fu il censimento della spropositata quantità di martelli, martelloni, martelletti, mazze, mazzuoli e mazzette in circolazione.

D'ora in avanti l'uso di quegli attrezzi medievali sarebbe stata autorizzata soltanto da lui stesso, ovvero mai. Gli operai ricevettero in cambio nuovissimi martelli di piombo e plastica dura, roba per lavori di fino, roba da Fiat, anzi, da Ferrari.

Quando il cinquantenne capo ritornò, non ritrovando veri martelli dalla testa di ferro, ebbe un tracollo e venne ricoverato per la prima volta. Uscito dalla casa di cura, davanti alla prospettiva del licenziamento, accettò a denti stretti di essere pre-pensionato e lasciò l'azienda, portando però con sé la sua mitica mazza personale da cinque chili.

**
- Gira, gira, é qui a destra.

Squittendo la fidanzata del promettente Dottor Ingegner Enzino, indicò l'ingresso del cortile della villetta dei genitori, ansiosi di conoscere il prestigioso futuro genero.

Quando Giuvanun lo riconobbe non esitò: corse nella rimessa e ritornò con la famigerata mazza da cinque chili. Neppure Enzino esitò: rimontò sull'Alfa e sgommò proiettando ghiaia fin nel giardino del vicino. Purtroppo le ruote non fecero presa immediata e il vecchio capo dette pratica dimostrazione della sua bravura come battilastra: in pochi secondi la berlina divenne un coupé.

L'indomani avvenne il secondo ricovero, forzato e assai più lungo del precedente.

**
- Mamma, il nonno si é nuovamente cagato addosso!

Gracchiando la moglie dell'industriale Dottor Ingegner Enzino Ferroli, cercò di disarmare le due piccole pesti. I due marmocchi, un maschietto e una femminuccia, armati di martelli di gomma, quelli con la testa a fisarmonica che quando si picchia fischiano espellendo l'aria, tamburellavano l'ormai vuota crapa del sessantenne Giuvanun facendola risuonare come una sorda campana di cattivo bronzo. L'Ingegnere vide la scena scendendo dalla sua nuova ferrari e scosse la testa. Da tempo compassione e affetto lo legavano a colui che era stato un acerrimo rivale in gioventù. Le lacrime che il vecchio non aveva saputo frenare lo scolvolsero.

**
- Si tratta evidentemente di un incidente.

Dentro di se, il comprensivo maresciallo, aveva un ben altro quadro della situazione: il vecchio, esasperato dai continui ricoveri e vergognoso della sua incontinenza, s'era buttato dal balcone ed era caduto di testa sullo spigolo di un gradino della scalinata dell'ingresso.

Nel pomeriggio, il determinato quanto prudente ingegnere, osservò i cerchi allargarsi nell'acqua placida del fiume.

Che strana la vita ... eppure proprio lui aveva giurato in gioventù di mai usare un martello.


FINE

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L'UOMO E IL FAZZOLETTO

- Odio quell'energumeno!

- Perché non lo uccidiamo?

- Ssssst... parlate piano! Se ci sentisse, ci ridurrebbe in polvere.

A parlare così fu, incredibile a dirsi, una manciata di chiodi. Erano stanchi di essere trattati con ferocia dal martello del fabbro, ma più che borbottare non potevano. In verità non erano soltanto essi a nutrire sentimenti ostili verso quello strumento. Un po' tutti gli strumenti della bottega lo odiavano, soprattutto lo scalpello e l'incudine. Ma, come avrebbero potuto sbarazzarsi di lui? - Cosa mai riuscireste a fare voi? - domandarono le tronchesi in tono sarcastico dall'alto della mensola su cui troneggiavano. - Vedremo noi il da farsi.

I chiodi, confortati da quella promessa, chinarono la testa e ammutolirono. Il destino fornì un giorno un'opportunità favorevole. Era mattina quando un paese vicino ebbe necessità del fabbro. L'uomo accorse prontamente. Come spesso gli capitava, lasciò il martello sull'incudine. Appena lui fu fuori, le tronchesi si lanciarono dalla mensola, colpirono il manico del martello che si protendeva nel vuoto, e lo catapultarono proprio là dove volevano che finisse: nella forgia! A contatto con la brace il manico prese fuoco. Anche la pesante testa di ferro, dopo qualche ora, si ridusse a un ammasso informe. I chiodi e tutti gli attrezzi della bottega intonarono canti di gioia: il tiranno era stato abbattuto! Soltanto la falce, appesa al suo chiodo, si disperò per l'agonia e la morte del martello, uno strumento che trovava virile come pochi. Quando realizzò che non avrebbe mai più correre dietro al suo sogno d'amore, si lasciò cadere sui carboni ardenti e morì.

Al ritorno del fabbro, dei due strumenti era rimasto ben poco. L'artigiano non seppe rassegnarsi con facilità alla loro scomparsa. Gli erano entrambi cari e soprattutto indispensabili. Uno gli serviva per il lavoro e l'altro per tagliare l'erba da dare ai conigli. Addirittura non toccò cibo per qualche giorno. Colpita da tanta sofferenza, la moglie pensò di fargli un regalo. Con un filo d'oro, ricamò una falce e un martello sul fazzoletto rosso che lui portava al collo durante il lavoro. Quando lo restituì al marito, questi si commosse: era il riconoscimento più giusto per due strumenti come quelli!

Pieno d'orgoglio, l'uomo cominciò a mostrare a parenti ed amici il bellissimo ricamo. Tutti ne apprezzarono la bellezza. Lui si affezionò a tal punto a quel fazzoletto da non riuscire a separarsene nemmeno quando andava a letto.

Nel giorno di fiera lui e il suo fazzoletto divennero le attrattive principali. Alcuni visitatori dei paesi vicini fecero addirittura a pugni pur di vedere da vicino quell'uomo di cui avevano tanto sentito parlare. Gli echi della giornata arrivarono alle orecchie del sindaco che manifestò il desiderio di incontrare l'artigiano. Riunì in seduta straordinaria il consiglio comunale e accolse nel municipio il fabbro con il rispetto che si deve ad un'illustre personalità. Nel discorso che fece, il primo cittadino disse, fra l'altro, che 'la falce e il martello sono i due strumenti che meglio di ogni altro rappresentano la dignità e la forza della classe proletaria'. Quando uscì dalla sala comunale il fabbro aveva il viso rosso e il cuore in tumulto.

Dopo qualche tempo, una forza politica, cavalcando il successo popolare dell'uomo, mise in cima ad un'asta il suo fazzoletto rosso e ne fece una bandiera. A quel punto, come sempre accade in casi come questi, l'orgoglio del fabbro montò in presunzione. I panni dell'artigiano cominciarono ad andargli stretti e lui prese ad odiare contadini ed artigiani 'gente gretta ed incapace - a suo dire - di guardare oltre le proprie scarpe'. Si convinse di essere diventato importante quando gli fu fatto credere che anche grazie al suo ricamo la rivoluzione del proletariato si sarebbe realizzata. Con il diffondersi delle bandiere rosse però, l'interesse per il suo fazzoletto scemò e, dopo un po', la gente si dimenticò di lui. Qualcuno cominciò anche a criticarlo perché 'portare una bandiera al collo - diceva - è una cosa ridicola, qualcun altro lo tacciò di arroganza. Le accuse avvilirono il fabbro, al punto che egli ne fece una malattia. Prima si chiuse in un mutismo assoluto, poi, quando realizzò che era stato espropriato di una cosa che avrebbe dovuto rimanere sua per sempre, morì.

FINE

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ODINO ODÌNO

In principio era una gran rottura di cazzo. La voglia di essere qualcuno che primeggia nella testa da quando ti svegli finche' a meta' giornata non trovi qualcuno che immancabilmente per qualche strana congiunzione astrale e' meglio di te. Sa parlare, sa scrivere e sa farti pesare il fatto che tu , al suo cospetto, sei soltanto la schiuma piu' grigia dell'ultima mareggiata della stagione.

Punti di Vista. Gran rotture di cazzo appunto. Ho sempre sospettato che nelle teste da topolino del grano della maggior parte degli uomini in qualche involuzione cerebrale si celasse il segreto della felicita'. La verita' mi e' giunta come una lettera sottomarina. L'inchiostro non va mai d'accordo con l'acqua salmastra. La brutta sensazione che mi sono trovato ad analizzare e' che la gioia di essere non e' altro che il trascinare la propria esistenza fino alle ultime ore del giorno. Vita da Palotini. Forse aveva ragione il re Ubu a giocare con la sua macchinina per tentare di far saltare l'ipocrisia triste dell'uomo. Mangiamo il loro cervello e non diamo mai un'altra possibilita'. Pero' e' una gran bella emozione credere di essere meglio di uno di loro. Ti senti gonfio (poco tronfio a dire la verita') di vanita' Attica...tutta la sapienza di migliaia di anni di storia cammina al tuo fianco come l'ombra di un successo. Puoi cagare in testa a quel mondo bacchettone che ha sempre cercato di chiuderti nella fila dei depravati lavoratori monocordi. Forse ci puoi riuscire. Hai sempre la sensazione, che il fegato di essere il piu' bell'esemplare di Vir Bonus Dicendi peritus, ce l'hai solo tu. La forza delle parole che invenzione eccezionale, anche i meno fortunati possono credere di avere una possibilita' nelle leggi naturali. Anche io posso essere normale. Nella follia della mia normalita' si cela l'incessante bisogno di essere qualcuno. "Qualcuno"...che bella cosa...fanculo a tutti gli emigrati...e fanculo all'inglese...datemi un martello....

A tutto questo miscuglio alchemico di piccola sofferenza e voglia di vittoria latina si puo' pero' pensare meno, a mio avviso, solo in una maniera: ascoltare una bella canzone, e nel dire bella non intendo un simpatico motivetto allegro che ti cura la testa per la sola durata del brano.Una bella canzone e' come assistere all'ultimo atto della vita delle tue malinconie piu' acetose, una bella canzone e' l'apoteosi di te stesso. Che bello far visita agli dei ogni tanto. Avete mai provato ad assaggiare il gusto di una tromba cosi' squillante da farvi annusare il sapore caldo di una notte americana?In quelle note ottone si cela il gusto della felicita'. L'amarezza ormai non e' piu' cosa per me. Un Duca col suo esercito di tromboni mi ha fatto trovare la strada della vita, ho appena assaggiato l'inizio della canzone che gia' sono ubriaco di allegria Dixieland. Io ora come ora sono io. Sono superiore a me stesso, perche' pensare agli altri? Un fiume di musica mi scorre sotto la corteccia e mi pianto nella necessita' di piangere dalla commozione per tutti quei rumorini che mi solleticano l'anima. Fuori ora nevica e nevica e un manto bianco si stende sulla mia citta'. Ti penso e credo che anche tu in fondo alla tua superbia sei come me. Due cani gemelli in corsa costante.

Mit Liebe

FINE
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RIDATECI ANCHE LA FALCE PER FAVORE

Giuseppe Tribondera, detto Peppin ma chiamato da tutti Lenìn, a quella cosa lì proprio non ci vuol credere. "Ma l'è daver cusì?", torna a domandare ossessivamente al Tunin.

Tunin, il Mazzocchi. Con il Peppin centocinquant'anni in due, da sempre amici: dalla scuola (pochissima) al mestiere, alla fabbrica, al partito, alla lotta (tantissima). Anche adesso che sono in pensione, più tempo per guardare il telegiornale e più tempo per incazzarsi; incazzati ed impotenti.Comunque compagni da sempre,di quelli col vizio del pugno chiuso per fede, e con lo sfizio della dignità d'un anima sempre rossa e conficcata fino nel profondo del corpo.

-"Ma davvero niente più falce, Tunin?!"

-"E gnancha più el martel', Peppin."- precisa il Tunin - gnanca più el martel!"

-"Gnanca più el martel?! "E chi l'ha detto?!"

- "Achille, il partito, tutti"

-"Chi "tutti", boia d'un lader de padrun,...chi "tutti"?"

-" Tutti, tutti, vacca d'una baciapile imbalsamata! Alla Bolognina, Lenìn, tutti i garofani del partito,tutti i delegati ".

"Baffo d'un Occhetto! Io lo sapevo, me lo sentivo che prima o poi succedeva. E poi dice che i baffi de' noster capi son tutti uguali... il baffo vero, quello socialista dell'URSS, è morto con lui, nel '53...altro che questi fottuti revisionisti..."

Lenìn Tribondera, bluastro in viso, bofonchia quasi tra sé e sé un pateravegloria di bestemmie comuniste. E cammina su e giù scalciando l'aria davanti al portone chiuso della sezione F. Turati in via Stalingrado, la prima, la più vecchia della città, il suo piccolo mausoleo. Ogni tanto si ferma e picchia con una raffica di pugni sui battenti. Assurdamente, perché lo aprano. Ma sono le sei del mattino. E per quanto la sezione sia stata sempre viva ed attiva, lì non ci ha mai dormito nessuno a fare la guardia alla rivoluzione del proletariato.

Tunin lo guarda il Peppin suo amico. Lo guarda con l'aria sconsolata d'un amico . E se lo rivede quando solo l'altro ieri, ch'e stato di domenica, col colletto bianco e ben inamidato, quello della festa, un po'per devozione, un po'per dispetto alla moglie clericale, s'è messo ancora una volta a vendere davanti al piazzale della chiesa, l'Unità. A prezzo scontato, pur di redimere.

"Ma che c'han mis ades al post' del martel e de la falce?"

"Non so, dicono una quercia".

"Una quercia? Mi ci faccio una sega io sotto quella quercia."

Poi, del suo stesso dire da vecchio ed impunito maiale comunista, realizza l'involontario doppio senso: quercia .. sega. E gli si appizza negli occhi e sulla bocca un sorriso maligno: "Io quella quercia me la sego, la faccio a pezzi". Ma il godimento sarcastico dura poco. S'accorge sempre di più che di colpo nella sua vita gli è venuto a mancare qualcosa di grosso.

In quel mausoleo piccolo piccolo, c'è conservato il martello di quello stronzo di fabbro ferraio di suo nonno; che lo regalò, come pegno di fedeltà alla causa, alla ex Camera del Lavoro nel lontano 1889. Bel lavoro gli aveva fatto adesso suo nonno.

Accoccolandosi a sedere sul marciapiede, quasi gli viene da piangere. Tunin amorevolmente lo rialza e se lo mette sotto braccio.

"Lenin, dai, non fare così. Andem' a prende' un caffè. Tanto questi non apren ant' i des ."

"Un caffè no, l'è trop' burghes', un bicchiere di bianchetto, quello sì".

"Bianchetto?"

" Eh!... essì.... un bianchetto."

Alle dieci e trenta tornando dal bar con sei giri di bianchetto in corpo, io, Lenìn e Tunin ci accorgiamo di quanto cazzo sono pochi 3500 caratteri, spazi inclusi, per restituire a Lenìn il martello del nonno e finire il raccon... Ehi... che vuoi Tunin?, che mi pizzichi a fa... non mi tirare per la giacchetta, dai., che mi vuoi dire?

Ah, sì,...Tunin mi ricorda di chiedere a tutti voi, stimati lettori, un po' di solidarietà per il nostro dramma; ed a quelli che contano, di ridarci anche la falce, per favore.

Inchino. E scusate il finale da botta di commedia dell'arte.

FINE

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BREVE MOMENTO D'ADOLESCENZA

Il professore aveva lanciato la domanda e aveva girato il viso dall'altra parte. Non guardava ne' me, ne' la classe. Gli occhi osservavano la risposta in un punto tra la finestra e la parete di fondo. Io invece osservavo lui. Ma quel volto trentacinquenne vagamente somigliante ad Alain Delon e il suo ciuffo spettinato non mi suggerivano niente. L'espressione del viso non parlava di storia.
-Forza- Disse poi, sempre osservando quel punto tra la finestra e il muro -E' succeduto a Ladislao IV sul trono d'Ungheria...-
Restai in silenzio.
-Le dico anche che era il 1292...-
Mi presi il mento nella mano destra e scrollai leggermente il capo. Non ancora deciso ad arrendermi, fingevo di pensare. Il professore mosse leggermente la testa e guardò un operaio che, nel cortile, stava montando un'impalcatura. Alzai gli occhi verso Barbara. Lei mosse le labbra, suggerendo un nome. Non capivo. Con un veloce movimento delle sopracciglia mi indicò il cortile, come volesse uscire con me.
-Lei sta studiando Dante?- Chiese il professore.
-Si'...-
Non capivo dove volesse arrivare.
-Canto Ottavo del Paradiso...-
Era un suggerimento, oppure un'altra domanda in una materia non sua? Lo sconforto aveva preso il posto di quella paura, che mi aveva aggredito avvicinandomi alla cattedra. Guardai nuovamente verso Barbara, che accavallò le gambe e mosse ancora le labbra, sensuale, ma incomprensibile. Si toccò il cuore, indicandomi che le batteva forte. Mariano mi fece il gesto della scopata, una scopata violenta. Andrea iniziò a dare pugni in testa a Vincenzo e Davide alzò un cartello su cui aveva scritto "DJ KILLER FABER".
Ma cosa avevano tutti? Volevano farmi ridere, in quel momento di umiliante vuoto mentale?
-Le piace De Andre'?-
Fatta questa domanda, l'insegnante si voltò di scatto verso di me. Ora ci si metteva anche lui, a prendermi in giro.
-Si', ma...-
-E allora... forza!-
-No, non lo so... non capisco-
Ero deriso ed umiliato. Mi sentivo deriso ed umiliato da tutti.
-Vada al posto. E voi, ragazzi... non dico di non suggerire, ma quando lo fate fatelo bene, siate piu' chiari-
Lo odiavo, quando aveva quel sorriso di sfottimento. A parecchi anni di distanza, ricordo quanto si erano impegnati lui e i miei compagni per suggerirmi la risposta.

FINE

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VOGLIO UN MARTELLO

- Voglio un martello!
La voce tonante del professor Fargoshi rimbombò sulle pareti dello studio, rotolò sulle scale, investì aule, corridoi, bagni, ripostigli, si spezzettò in mille schegge grondanti raccapriccio, giù, giù, fin dentro i già troppo provati gangli nervosi di assistenti, bidelli, studenti, gatti e topi, insomma di tutti i frequentatori abituali dell'Istituto di Filosofia.
Terrore puro. Quando il professore eruttava in quel modo la situazione era drammatica.
E se lui voleva qualcosa, qualsiasi cosa, guai a chi perdeva tempo in esitazioni: bisognava dargliela e basta.
Ma un martello! E che ci doveva fare Fargoshi con un martello? E vabbe' che un giorno aveva ordinato un orsacchiotto di peluche; e d'accordo che un'altra volta aveva preteso la traduzione di una poesia erotica in indi... ma un martello!
No, contrariamente a ciò che tutti avevano pensato, non aveva avuto difficoltà ad addormentarsi quando aveva bramato l'orsacchiotto: ci aveva fatto sopra una lezione sulla contingenza metafisica del pelo vero nei confronti di quello finto quando venivano sottoposti a una torsione stringente, fisica o logica che fosse.
E la traduzione della poesia in indi si sospettava gli servisse per piegare ai suoi zozzi desideri una studentessa un pò porca originaria di Bombay ( lui in verità non sapeva che fosse così porca, se n'è accorto quando era troppo tardi), salvo poi scoprire che lo scopo di tale smania era istruire gli studenti sull'escatologia del preservativo.
Ma un martello, che significato poteva avere?
- Secondo me - disse Giuliano, suo primo assistente - intende discutere sulla simbologia della volontà. Ahhh... ho sentito qualcosa in merito. Anzi ho letto qualche appunto che ha dimenticato sulla scrivania. Intende parlare alla marmaglia che bazzica qui del martello come emblema della constante applicazione volitiva dell' Io cosciente nei confronti delle pulsioni dell'incoscio eterodosso. E' un processo noetico-pratico riverberantesi nel binomio detto anche del capo-i-chiuvu, ossia della testa di chiodo. In soldoni: batti e ribatti finché non ti entra in testa il concetto, anche a costo di spaccartela.
-No, no, mio caro Giuliano - ribatté Vicchiardo, assistente di secondo grado, ma invidiosissimo del primo, al quale voleva soffiare il posto. - Mi dispiace contraddirti "... ma manco per idea..." , ma qui non si tratta del martello come metafora della volontà cosciente, piuttosto dell'abitudine pavloviana a porsi costantemente nella posizione del battitore, ossia di colui che detiene il potere del martello "... devo insinuare il dubbio in questo cacconzolo, così lo metto contro il capo...". Vedi, caro Giuliano, il professore sa che cotale strumento è nelle sue indiscutibili mani e non esita a praticare il solito movimento pendolare di su e giù nei confronti della plebe che, come sempre, funge da piano di percussione, cioè da incudine. E' scientificamente provato che l'incudine deve essere a una distanza relativa che soddisfa la condizione di perpendicolarità, ossia il martello batte sulla capoccia di chi è più vicino, ossia su quella del collaboratore più stretto, ossia su di te. Ma tanto tu sei un cagone e non protesti...
- Naaaaa - obiettò Elisa, una studentessa che faceva la tesi in Istituto - siete fuori strada tutti e due. Com'è la forma di un martello? Parallelepipedo avanti e piramide dietro. E' una metafora della condizione dell'uomo retto, squadrato, di colui cioè che ha direttrici ben salde nella vita e che procede sempre per linee parallele. E' inespugnabile, inossidabile, completo, autosufficiente e soddisfatto di sé, eppure ha una specie di pulsione anche per l'infinito, per l'Essere. Il parallelismo del parallelepipedo continua e sfuma nella piramide, che termina a punta e dirige verso un immaginario centro dell'Universo, visibile e invisibile. Oh, sarà una lezione indimenticabile del prof. Lo amoooo!!
- Ahooo!! - Terremotò ancora Fargoshi dall'alto. - Me lo date 'sto martello, artrimenti come me la magno 'sta cacchio de noce de cocco?

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LANTERNE BLU


- Il cinque... forse, ma ci devo pensare.
E Xi Luang con un calcio chiuse la porta e si avviò al tennis.
Le servette si guardarono perplesse.

Xi Luang giocò un doppio con discreto successo poi si bevve una bibita gelata. Al ritorno aveva deciso. Bene per il cinque. Aveva voglia di dolcezza e di abilità. Il cinque faceva al caso. - Preparatelo, disse. E accendete davanti alla sua stanza una lanterna blu.

A dir il vero nel cuore di Xi Luang c'era il numero tre. Con lui avrebbe fatto l'amore davvero. Ma non voleva. Aveva bisogno di qualcosa di soft e di irrilevante.

Era strano: con il tre aveva fatto l'amore poche volte. Lo sceglieva meno degli altri. Anche se pensava sempre a lui. Bang bang, un martello nella sua testa. Il tre. Era il tre nella sua mente. Ma con lui sarebbe stato troppo facile arrivare alla radice del dolore e del piacere. Alla radice di se stessa. Meglio il cinque che non dava grandi emozioni.

Passò davanti alla stanza del cinque e lo vide occupato con le servette che lo stavano massaggiando. Passò in rassegna le altre cellette dove, in isolamento ampiamente risarcito dai piaceri che si prendevano tra loro e con le servette, vivevano i suoi cinque concubini. Ciascuno, per essere il preferito, dava il meglio di sé. Non solo come prestazioni sessuali ma anche affettive.

Incredibile quanto un uomo sappia tirar fuori, se messo alle strette! Ho fatto bene a scegliere il cinque, pensò. E' bravo, direi tecnicamente perfetto. Ma... C'era sempre il tre nel suo cuore. Bang bang, un martello che non le dava pace. Non ci voleva pensare. Quello stronzo avrebbe fatto un solo boccone di lei se lei gliel'avesse permesso! Quello stronzo a cui, un momento di debolezza, aveva imprudentemente dato la password del suo cuore...Certo, aveva sbagliato...ma per fortuna era lei ad avere il gioco in mano. Era lei che li teneva nelle cellette. Era lei che sceglieva. Dopo il cinque - e qualche volta anche il due... (non era male il due ...così giovane e fresco...)-, solo allora...avrebbe aperto la porta del tre...Ma temeva quel momento...il momento in cui lei non sarebbe stata più lei. Amare è poco prudente, si disse. Non è assennato consegnare nelle mani di uno solo il proprio cuore.

Il cinque fu dolce e stuzzicante. Percorse a carezze e a morsi il suo corpo. La prese con dolcezza, trovò ogni strada che lei voleva fosse percorsa. Senza parole, quasi sui ritmi di un blues, si ritrovarono in un'altalena di fili che li avvolgeva come una ragnatela. Uscì serena e appagata dalla sua stanza. Percorse il lungo corridoio e si chiuse nella sua stanza. Era una notte di luna. Grande e rossa nel cielo. Xi Luang la guardò a lungo. Si chiese che cosa voleva davvero. Perché non era felice? Ah, la felicità! la solita ingenua presunzione dell'uomo! Doveva dormire. Domani era un altro giorno di lavoro. Bang bang, ancora quel rumore nel suo cervello. Il pensiero si insinuava ossessivo senza che lei volesse. Bang bang come un martello.

Aprì nuovamente la porta percorse il corridoio e arrivò inaspettata dal numero tre. Rischiava di trovarlo addormentato, svogliato, disinteressato... rischiava di sentire parole di convenienza...rischiava di piangere e di uscire sconfitta. Ma non poteva farne a meno. - Sono qui, disse. Scusa se non ti ho avvertito.

FINE

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