Il tempo del cielo
di Glob (poesia di Kosta)
M'apparve così, all'improvviso, durante un'alba che sapeva
d'azzurro e di neve; eterea figura di donna che sembrava danzare
sospesa nell'aria, movimenti liquidi, scivolati sulle note d'un
silenzio che m'inchiodò a un istante d'emozione violenta.
Poi,
accadde la musica. Lenta, lentissima. Ondulata.
Immobile,
trattenni il fiato fin quasi a scoppiare, nel timore d'interrompere
quella visione d'incanto che s'andava, attimo dopo attimo, abbigliando
dei colori del mattino. Rosarancio e oro e un non so che di violetto
le tingevano il viso, le mani e i piedi nudi.
Col volteggiare elegante di due braccia sottili, continuava a
disegnare nel nulla strane preghiere.
Intanto, i picchi dell'Himalaya, come vecchi saggi accosciati
davanti al fuoco d'un antico rito sciamanico, proteggevano la
minuscola vallata. Un insolito senso di condivisione mi pervase,
abbassai le palpebre e lasciai che quella atmosfera magica e solenne
mi riempisse fin nel profondo.
Percorsi strade di colori che conducevano a me; poi quella strana
energia, quella inaspettata voglia di ridere, traboccò
di nuovo fuori in onde di luce che si susseguivano ritmiche, senza
fretta, una dietro l'altra, sciogliendosi nel resto del mondo.
Il suono concentrico di una campana, sassolino lanciato in quella
pozza d'assenza di rumori, sottolineò quel momento ipnotico
e, come a un segnale convenuto, aprii gli occhi.
La ragazza aveva assunto la posizione del fiore di loto e sorrideva
al cielo. Le braccia aperte, tese verso l'alto; la veste bianca
giocava col vento leggero, accarezzando la terra e la sua pelle.
Ludmilla.
Evanescente, curiosa, creatura d'oltre frontiera.
D'oltre ricordo.
Per
centocinquantatre giorni l'avevo cercata su ogni linea d'orizzonte
conosciuto; per centocinquantatre giorni avevo immaginato l'istante
in cui la sua figura sottile sarebbe rimasta di nuovo impigliata
fra le mie ciglia; per centocinquantatre giorni avevo scritto
col pensiero la sceneggiatura di questo incontro.
Avevo
inseguito i suoi passi come un cacciatore d'ombre; avevo cercato
le tracce del suo passaggio fra le voci di genti sconosciute,
fra volti color del legno.
E
ora. Ora non riuscivo a.
Qualsiasi
gesto, qualsiasi parola, sembravano inadeguati. Quasi blasfemi.
Rimasi fermo, paralizzato nei miei abiti stropicciati dai troppi
se, dai troppi ma, dai troppi forse.
Perché
sei andata via.
Me
l'ero ripetuta più volte quella domanda senza punto interrogativo,
che sapeva di verità inascoltate, non volute, non cercate.
Me l'ero ripetuta più volte, e ora la risposta era davanti
a me; e mi dava le spalle.
Vado
incontro al mio Tempo del Cielo, aveva detto.
L'osservo
incamminarsi piano, con una leggerezza quasi soprannaturale. Scricciolo
ormai consumato.
Sorride davvero, come ha cercato inutilmente d'insegnare anche
a me.
Allungo un braccio come per fermarla, muto.
Lei si volta e mi guarda. Con un movimento della mano mi invita
a raggiungerla, come nulla fosse accaduto, come se tutto fosse
stato soltanto ieri.
Ciao,
sapevo che avresti fatto in tempo.
Continua a sorridere. E poi ci incamminiamo insieme verso quel
picco di roccia nuda.
La pira di legno e sterco è pronta, mille e più
mille colori di stoffa leggera compongono quello strano giaciglio.
Un monaco che indossa un centinaio d'anni fra le pieghe d'una
tunica amaranto, ricambia il sorriso di lei. Volute d'incenso
addensano l'aria mentre qualcuno nascosto chissà dove inizia
a salmodiare in una lingua a me sconosciuta.
Sang
Ghie Cio Tan Tzo Chi Cio Nam La
Cian Ciub Par Tu Da Ni Chiab Su Ci
Da Ghi Gin So Ghi Pe So Nam Ghi
Dro La Pen Cir Sang Ghie Dru Par Scio*
Tara,
così la chiama il vecchio monaco. Tara va a sedersi, gambe
incrociate e sguardo verso il sole nascente, in mezzo a un mare
di arance profumate e petali di fiori. E di nuovo la musica, ancora
ondulata e distesa e lenta e colorata di indaco e vento.
Sem
Cen Tam Ce Duk Nghel me Pe De Ua Tan
Mi Drel Uar Ghiur Cik
Sem Cem Tam Ce Duk Nghel Tan Duk Nghel Ghi
Ghiu Tan Trel Uar Ghiur Cik*
Tara,
Ludimilla, che cerca con gli occhi i miei occhi, e muovendo piano
la testa mi dice di sì, e la vedo respirare il mondo che
le sta passeggiando accanto, e la vedo scivolare piano, rannicchiandosi
un po'. E la vedo sciogliersi in grembo a questa terra dura in
un istante di luce.
Potala
Yi Ne Ciog Ne
Tam Yig Gian Cu Le Thung Scin
Tam Yig O kyi Dro Ua Drol
Drol Ma Cor Ce She Su Sol
Il
vecchio monaco fece un cenno col capo e in silenzio qualcuno adagiò
il corpo di Tara sulla pira che la stava aspettando. Con quel
poco che sarebbe rimasto di lei, avrebbero nutrito i falchi del
tempio. Nell'aria, ghirigori di fumo, e fiamme, e fruscio d'ali,
a lambire quel cielo di cui era venuto il tempo.
Raccolsi
un'arancia e la girai fra le mani, visualizzando ancora una volta
l'espressione serena di Ludmilla. O Tara. O come diavolo volevano
chiamarla. Ricacciai indietro le lacrime e mi venne in mente che
noi non ci abbracciavamo mai, non ci abbracciammo mai. Neppure
per lasciarci.
Poco
più in là, nugoli di bambini nudi si stavano riversando
per le strade fangose, assieme a una multicolore mescolanza di
donne, capre, carretti, vecchi, monaci e vacche, ridendo e vociando
e correndo verso il grande tempio; portando cestini di burro di
yak e frutta e riso e fiori e lumini e bandierine colorate.
Era
giorno di festa, e Lhasa si stava svegliando.
**Con
asterisco due delle quattro "Meditazioni Incommensurabili"
e la "Generazione della Bodhicitta" in lingua Tibetana
- Tratte dai testi: Ganden Hlha Ghama e Lode alle Ventuno Tara
- di Buddismo Tibetano.