Doppio Misto

A cianciolo
di Francesco Principato (poesia di Annamaria)

Avevo il mare negli occhi, uno spicchio fra le due case di fronte, uno spicchio fra l'isola Lachea e il faraglione grande. Avevo il mare negli occhi e la tazzina in mano, fumante di caffè. Altro fumo sorpassava la finestra, fumo bianco che saliva dalla casa di Maria e Giovannino.

Avevo finito il caffè e la colazione, mi ero avvicinato al balcone.
- Non aprire! Questo odore di pesce, di mattina...
Ho sorriso a mia moglie.

- Sì, però quando Maria sale col piatto, non ti fanno così schifo.
- Che c'entra! Sono vivi che ancora saltano.
Maria si scusò una delle prime mattine che abitammo quella casa.
- Me maritu e me figghiu piscanu tutta a notti. Quannu l'avutri si susini, iddi mangianu e si vannu a curcari.
Mia moglie sorrise, sospirò ed emise la sua sentenza antica.
- Cu sta sutta assuppa l'acqua e cu sta supra aggruppa u fumu.
- E cchi mi vò fari, u bagnu?
Rise e la risata di Maria mi attirò fuori sul balcone, uscirono anche i suoi uomini. Scoppiammo tutti a ridere.
Con Maria e Giovannino, e anche con i figli, era nata un'amicizia molto più forte che fra semplici condomini. Era stata una fortuna.
I primi mesi ad Acitrezza erano stati tristi, com'è triste l'inverno di un borgo marinaro circondato da ville accese solo durante le vacanze. Avevamo lasciato una di queste case di villeggiatura e c'eravamo trasferiti in un condominio. Lavoravo a Catania e mia moglie adesso aveva dei vicini, qualcuno vicino.
Maria e Cettina avevano fatto subito amicizia e dopo qualche settimana il mio bambino cercava di scappare al piano di sotto, da Mammamaria, per giocare con sua figlia Graziella, e Graziella, sette anni, scappava al piano di sopra quando cercava protezione da qualche sfuriata o quando sua madre impiattava minestra.
L'odore di pesce arrosto è penetrato nonostante le imposte chiuse. Gli odori della colazione sono svaniti, sconfitti dal profumo intempestivo, un profumo ormai familiare, il profumo della cena mattutina di Giovannino: pesce arrosto o pesce fritto, il pesce catturato con le sue stesse mani.
E' stato tutta la notte in barca, a prua come immobile polena, con lo "specchio" immerso e la fiocina in mano, pronta allo scatto rapace; tutta la notte a scrutare il fondale alla luce della lampara e suo figlio a muovere a remi la barca, a seguire la direzione che un cenno di Giovannino gli dettava..
La prima volta che ci ha spiegato la tecnica di pesca con lo "specchio", Cettina ha riso incredula e divertita.
- Qui pescate come gli uomini primitivi!
La risata schietta di Giovannino aveva sancito la promessa di una prova pratica.
Una domenica di aprile Galatea, il gozzo di Giovannino e Ignazio, era caricato di due famiglie e degli attrezzi da pesca. Ignazio muoveva i remi a rilento ma la barca scivolava in un docile e costante rollio. Giovannino mise in acqua un fusto di lamiera.
- Chistu è u "specchio": si pigghia un fustu d'ogliu, si cci levanu i funna e d'on latu si cci metti u vitru. Taliati! Salvuzzu, talìa.
Il mio bambino cercò di sfuggirmi dalle braccia al richiamo di Giovannino. Ci avvicinammo a guardare dentro il fusto. Salvo sgambettò indicando dentro lo "specchio".
- Pesci, pesci, pesci.
Giovannino estrasse una fiocina lunga un paio di metri e la immerse. Fece cenno a Ignazio che frenò la barca con un minimo colpo inverso di remi. La fiocina affondò e riemerse con la sua preda infilzata.
- Pesce, pesce, pesce.
La dimostrazione raccolse l'applauso di Salvo che continuava a ripetere: pesce, pesce, pesce.
Ignazio remò tutt'attorno ai faraglioni in una gita sottomarina. A turno scrutammo nello specchio ad ammirare tane fra gli scogli abitate da polpi sinuosi e scorfani irsuti, a inseguire saraghi d'argento solleticati da alghe lisce e dritte e da erbe marine dalle geometrie frattali.
Ho cercato di ricordare i colori del fondale attraverso il vetro della finestra. Cettina mi ha distolto.
- Non ti vesti?
Ho posato la tazzina e ho cominciato a vestirmi.
- Sì.
- Ma che sta arrostendo Giovannino, sarde?
Ho aspirato allargando le narici.
- Sarde? Sì, sono sarde!
Cettina ha fatto una smorfia.
- Pesca anche le sarde ad una ad una?
Ci siamo messi a ridere.
- Glielo vado a chiedere.
Sono uscito sul balcone. Giovannino era chino su una fornacella nera.
- Giovannì, peschi pure le sarde a una a una?
La risata del mio amico mi è arrivata prima che si girasse.
- Mi pigghi ppi fissa? Mi n'arrigalaru 'na cascia. Ora Maria ci l'acchiana un piattu puru a to muglieri.
Le parole sono salite assieme al fumo grasso di sarde e carbonella. Il mio bambino mi ha raggiunto fuori inseguito dall'ordine di Cettina, a me, di richiudere la soglia. Salvo ha cominciato a soffiare sul fumo e a indicare sotto.
- Pesci, pesci, pesci.
Sono tornato anch'io bambino, più grande dei quasi due anni di Salvo. Stesso fumo, stesso pesce.
Avevo sei o sette anni la prima volta che ho mangiato sarde a colazione, sarde di mattina, sarde fra pescatori, sarde alla plaja, le sarde pescate da papà.
Quell'estate mio padre aveva abbandonato la sua piccola paranza e si era imbarcato su un "cianciolo". Sperava che una stagione di pesca a sarde e acciughe potesse fargli guadagnare di più: l'industria del pesce azzurro sotto sale e sott'olio era in espansione e la domanda continuava a crescere assieme al prezzo.
Una notte di maggio, la prima notte senza vento e senza luna, io e mia madre seguimmo dalla finestra la sua prima uscita. Seguimmo dalla finestra le processioni serali dei "ciancioli", dall'imbocco del porto fino all'orizzonte. Ogni barca madre si trascinava le piccole scialuppe con le lampare accese, quattro, cinque, sei per ogni "cianciolo". Ogni tanto osservavo il volto pensieroso di mia madre, fisso su quelle luci galleggianti: la barca caricava i desideri per portarli lontani, i suoi desideri. Lei cercò di dissimulare l'apprensione per la nuova avventura paterna.
- Talìa, Frà. Parino i papiri ca si portanu a spasso i papireddi.

Io non avevo mai visto le papere e gli anatroccoli. Avevo visto le famiglie di cefali quando si arrischiavano quasi a riva, ma doveva essere lo stesso. Vidi sfilare cinque o sei famiglie di barche, vidi spegnersi oltre l'orizzonte le luci delle lampare.

- Quannu tornano?
- Dumani. Ora emuni a curcari.
Prima di addormentarmi nel posto paterno del letto, strappai a mia madre il permesso di scendere all'alba alla plaja. Per ninna nanna mia madre mi spiegò il metodo della pesca a "cianciolo". Le scialuppe si disperdono per adescare le sarde con la luce della lampara, per questo non si pesca con la luna piena. In ogni lancia un marinaio naviga a remi e il pesce segue la luce traditrice. Poi tutte le lance si incontrano in un punto e il "cianciolo", la barca grande, cala la rete attorno e raccoglie a bordo le piccole imbarcazioni. Si tira la rete e si spera. Finì la spiegazione con un sospiro.
Mi svegliai che c'era già luce. Saltai giù dal letto e comincia a vestirmi di corsa. Cercai di scrutare il volto di mia madre che stava preparando il caffelatte. Sorrideva.
- S'arricamparu i ciancioli. Tardu ma s'arricamparu. E varca c'arritarda, porta carricu.
Non mi curai di allacciare le scarpe, troppo tempo. Scappai inseguito dal suo stai attento.

La plaja sembrava affogare nel fumo che si levava da molti fuochi. Erano una dozzina, ogni fuoco circondato dal suo gruppo di pescatori. Ero stordito dall'odore acre e saporito, mi sentii chiamare. Raggiunsi correndo l'equipaggio di mio padre. Lui stava preparando gli spiedi di listelli di canna. Incassò il mio bacio e mi accarezzò i capelli con il dorso della mano.
- Stà attento o focu.
Finì di infilzare le sarde negli spiedi, ne aveva preparati una ventina. Mi indicò un masso.
- Assettati, aspittamu.
Mi indicò le fiamme. Il fuoco era arginato da alcune pietre e quando fu solo tizzoni rossi gli spiedi furono mesi a cavallo dei sassi.
Non c'erano piatti e posate, né tazze da colazione. Quella era la cena dei "cianciulara". Mio padre mi passò uno spiedo caldo. Osservai lui e i suoi cinque colleghi: sfilarono il pesce, ci soffiarono sopra, lo appoggiarono sul palmo della mano, sfogliarono pelle e squame, soffiarono ancora e ci cibarono della carne bianca e profumata. Ebbi uno spiedo tutto per me. Mi scottai un po' le dita prima di imparare a mangiare come i veri marinai. Continuai ad osservare la ciurma compiaciuta, il mio papà, le sardine ancora fumanti. Guardai l'orizzonte e le mie mani luccicanti di squame. Avevo il mare negli occhi e nelle mani polvere d'azzurro.
Un altro mare, un mare diverso da questo a cui mi ha richiamato la voce di Giovannino.
- Frà, ti li mangi quattru sardi?
L'invito dell'amico ha richiuso le matriosche dei ricordi.
- Ho già fatto colazione. Magari a pranzo...
Ho sorriso mentre mia moglie è venuta a reclamare la famiglia in casa. Salvo le ha indicato giù.
- Giovannino cucina pesci.
- E io ho la casa piena di fumo. E Maria che fa?
Cettina sorrideva a Giovannino che stava finendo di cucinarsi la cena.
- Sta abbadannu a Gnazio. Ma dopu acchiana.
Abbiamo salutato Giovannino e siamo rientrati.
Prima di uscire a lavorare, Cettina mi ha fatto la solita domanda.
- Che cucino oggi?
Le ho indicato il balcone, le ho fatto l'occhiolino.
- Maria dopo sale, con il piatto. Quindi...
- Pasta con le sarde? Senza il finocchietto?
Le ho baciato le labbra.
- Pasta con le sarde e passato di ricordi.
Ha sorriso e ha ricambiato il bacio.
- Troverò il finocchietto.