Doppio Misto

Sussurri e grida
di Livia (poesia di Lucilla)

"Ecco qui, queste sono tutte per lei!
I casi che la interessano, in ordine alfabetico - dal 1905 fino all'inizio della guerra...
la prima eh, quella grande!"

Mi guarda ammiccando, il piccolo archivista dalle braccia sommerse di vecchie carte che deposita sul tavolo davanti a me .

"Lilienthal. Franz Lilienthal.
Per qualsiasi cosa, io sono nell'altra stanza.
Ma si ricordi: alle 12 chiudiamo "
Sorrido a quel vecchio signore così austroungarico e stringo la mano che mi porge.
" Deimel. Vera Deimel . La ringrazio molto. E prometto che terrò d'occhio l'orologio. "
Un lieve inchino e Herr Lilienthal sparisce dietro la porta a vetri - io sfioro con lo sguardo i fascicoli che mi aspettano - vite e morti di cento anni fa raccolte tra quelle pagine ; poi lo lascio vagabondare oltre la finestra, ha ripreso a nevicare fitto fitto agli ordini del Generale Inverno.

Sorrido, questo era un modo di dire che usava mio nonno e sono convinta che non dispiacerebbe nemmeno al buon Herr Lilienthal.

Ordine alfabetico ha detto... la prima lettera è H.
Huber, Maria M.
Sciolgo con dita curiose il nodo del nastrino che chiude il fascicolo - queste vecchie cartelle sono piene di sorprese, a volte ci si trova dentro un fiore secco, dei disegni, foto ingiallite o anche delle lettere . Intanto mi domando a che nome potrebbe alludere la seconda emme - M. come Maddalena? O Martha? Monika?

Seminascosti sotto i documenti ufficiali ci sono dei fogli ricoperti da una scrittura grande e irregolare - sono piuttosto malridotti ma si riesce ancora a leggerli, potrebbero essere pagine di un diario. Comincerò proprio da questi - mi affascina la possibilità di ascoltare la voce della prigioniera prima di quella dei suoi carcerieri.

Odio la neve. La luce perfetta e terribile di quest'aria rarefatta nel biancore immobile . Entra dovunque, non c'è scampo -attraverso i vetri sporchi dei finestroni guardo i fiocchi scuri contro il cielo biancastro e mi sembra di soffocare - me li sento in gola, mi impediscono di respirare.

Fuori è anche peggio - la sensazione di soffocamento è ancora più forte e allora mi rifugio sotto le lenzuola, sto rannicchiata lì sotto come una bestia ferita. Non so più da quanto tempo sono qui. Non ricordo come sono arrivata...non conosco questo posto.

Le donne che sono qui con me - ammassi di stracci dallo sguardo vitreo e voci stridule - parlano una lingua che mi è ignota. Ieri un gruppo di questi relitti umani mi ha affrontata in corridoio, urlavano e hanno cercato di prendermi per i capelli, una è riuscita a sputarmi addosso prima che una donna vestita di bianco mi riaccompagnasse in camera.

Questi uomini e queste donne biancovestiti quando si rivolgono a me ripetono due parole: Frau Huber. Non so che cosa significhi e non me ne importa.

Non nevica più. Sono uscita, prima costeggiando la casa che vista da fuori è enorme, bucata da centinaia di finestre.

Mi sento spiata da occhi invisibili e allora provo ad allontanarmi,cammino nel parco osservando gli alberi scuri che non ho mai visto prima, hanno grotteschi copricapi di neve - quando cadono a terra si sente un tonfo attutito.

Il cielo è di pietra, non si vede nemmeno un uccello.....io parlavo con gli uccelli, prima.
Prima. Quando si fermano i miei ricordi. Quando? Dove?
Sento voci di bambini, arrivano da dietro una staccionata - poco prima del muro di cinta. Dev'essere la casa del custode, mi avvicino di più. Appoggio la fronte al legno ruvido e li vedo, due bambini che si rincorrono e saltano intorno ad una sagoma rosa e rossa .

Non mi accorgo subito che è la carcassa di un maiale, il sangue sulla neve ha formato una pozza- così vermiglio, così osceno e impudico.

Nella mia terra senza neve, il suolo assorbe il sangue senza quasi cambiare colore: solo un po' più di ombra ed è tutto.

I bambini gridano, sembrano eccitati - ad un tratto uno dei due intinge le dita nel sangue e se le passa sul viso , subito imitato dall'altro.

Grido. I bambini si voltano dalla mia parte, mi fissano spaventati e io grido ancora e ancora....
Corro, cado e mi rialzo incespico di nuovo e sempre quel grido - ora è dentro di me - la mia bocca si apre ma senza suono.
Ora ricordo, rivedo tutto: il coltello, il sangue, i gemiti e le suppliche.
E il terrore nei loro occhi.
Io li ho uccisi, io che li ho messi al mondo.
Adesso mi sento così stanca, voglio poter dormire, dormire...
Camminavo lungo la spiaggia nella terra di mio padre che ha un nome bellissimo: Colchide.
Era mattina presto, l'acqua limpida mi lambiva le gambe e un vento gentile mi circondava - tenevo per mano i bambini e mi sentivo bene - leggera e felice.
Ad un tratto ho sentito pronunciare il mio nome dalla voce che avevo più cara al mondo.
Non mi sono voltata, volevo farlo ma qualcosa dentro di me lo impediva, ho continuato a camminare - i bambini si sono liberati dalla mia stretta, li ho sentiti correre chiamando papà papà.
Lacrime hanno cominciato a pungermi gli occhi, con le mani vuote e il cuore pieno d'angoscia ho continuato a camminare - e le voci a farsi sempre più lontane, più fioche.

Quando ho trovato la forza di girarmi la spiaggia era deserta.
La solita luce opaca,smorta di un altro giorno senza sole.
In fondo al letto mi sembra di scorgere qualcosa, qualcosa che si muove appena. Non riesco a vedere bene, cerco di alzarmi ma non ce la faccio - mi sento stremata, la testa ricade sul cuscino - chiudo di nuovo gli occhi.
Quando li riapro, la luce è più forte . In fondo al letto ci sono i miei figli, stanno giocando a dadi, parlottano sottovoce.
Io li guardo, vedo che hanno ancora le vesti dell'ultimo giorno chiazzate del loro sangue ora raggrumato, ne risento l'odore - dolciastro,nauseante.
Riesco a mettermi seduta, li chiamo.....non mi sentono, non alzano neppure la testa dal gioco. Stendo un braccio, voglio toccarli, voglio che si accorgano di me. Li chiamo di nuovo ed ecco, ora alzano la testa e mi guardano senza vedermi - a poco a poco la loro immagine si confonde, diviene tremolante e indistinta - e poi più nulla. Sono sola.

Oggi è successo qualcosa di incredibile . Ho visto il sole, è la prima volta da quando sono qui.
Adesso so che posso tornare a casa, andarmene da questo posto ... andarmene. Via. Via. Devo trovare il modo. Devo.
Pensare, preparare un piano. Coraggio. Il mio nome significa colei che porta consiglio :ora è me stessa che devo consigliare e non posso fallire.
No.
Il padre di mio padre è l'unico che può salvarmi - se splenderà in cielo come ha fatto oggi lo pregherò di farmi fuggire. Lui che può tutto non mi abbandonerà.
Devo solo trovare il posto giusto, abbastanza in alto e che possa raggiungere rapidamente - non ho molto tempo per uscire dalla casa inosservata , prima che comincino a cercarmi.
Ho trovato il posto. E' in una parte dell'edificio che sembra abbandonata, c'è una scala stretta e ingombra di detriti che termina in una specie di torretta con un'apertura - di lì è stato facile passare . Poi un tetto quasi pianeggiante . Mi sono inginocchiata verso quello che immagino essere il sud. Zeus, giustizia di Zeus, luce del sole. Portami via da qui, fammi tornare nella terra di mio padre . Ti prego. Ti prego.
Sono passati altri giorni.....il cielo è nuovamente di pietra - il Sole inaccessibile malgrado le mie invocazioni.

Infiniti silenzi esploro col mio incessante richiamo.
Pigro, rotola nel cielo di pietra
e mi ritorna intatto.

Ma ho imparato ad aspettare, ora so che è solo questione di tempo.....un giorno. Una settimana.. Ogni mattina può portare la salvezza....il Sole è più forte di tutto. Io sono qui e lo aspetto.
Poi, dopo alcuni punti illeggibili e un foglio strappato :

E' il momento. Adesso.
Sono pronta.

Non c'è altro. Chiudo gli occhi che bruciano per la fatica di decifrare quei fogli sbiaditi e macchiati - ma li riapro quasi subito, devo leggere la cartella clinica. Ora voglio sapere chi era la donna " che portava consiglio".
Maria M. Huber - Vienna 2 agosto 1868 - Speyr 28 gennaio 1905. Famiglia benestante di lontane origini anatoliche , una laurea in lettere classiche. Condannata a morte per l'omicidio premeditato dei due figli e della moglie dell'ex marito , alla Huber viene riconosciuto lo stato di completa infermità mentale e di conseguenza la condanna a morte viene commutata in ergastolo, da scontarsi nel Manicomio Criminale di Speyr.
Continuo a leggere saltando qualche paragrafo :
.......la ricoverata non ha rapporti con le altre donne, si rifiuta di parlare e sembra non capire quello che le viene detto.
Le infermiere riferiscono di averla sentita parlare da sola, in una lingua straniera.
......oggi, in data 28 gennaio verso le 3 e mezzo del pomeriggio è stato trovato il corpo senza vita della Huber ai piedi della torretta nell'ala est dell'istituto. Si presume che la ricoverata sia caduta dal tetto - nel punto di corrispondenza della caduta si sono ritrovate alcune tegole smosse e aperta la porta d'accesso alle scale, di solito inchiavardata.
Il decesso - presumibilmente a causa di lesioni interne e conseguenti emorragie - deve essere stato immediato .Il corpo appariva intatto,senza nessun tipo di ferita .

Sto per richiudere il fascicolo quando mi accorgo di un piccolo rettangolo chiaro che mi era sfuggito....lo giro, è la fotografia di una donna seduta,vestita di bianco. Sulle ginocchia tiene un bambino che sorride guardando dritto davanti a se, un altro bambino è in piedi e le cinge le spalle.

Osservo il volto della donna - lineamenti marcati, naso pronunciato e una gran massa di capelli scuri acconciati secondo la foggia dell'epoca ma in modo piuttosto disordinato, sulle labbra l'accenno di un sorriso enigmatico .

Ma sono gli occhi a catturarmi - occhi piuttosto distanziati, dalle sopracciglia folte. Occhi imperiosi, che sembrano guardare lontano, oltre lo spazio e il tempo.

Maria M.
M. come Medea.