I racconti di Luca
VOCI DA LONTANO

I due ragazzi entrarono, lasciando fuori Milano.
-Allora, come va con le due kossovare che ti sei ritrovato in casa ?-
Chiese il moro.
-Chi, le due bambine dell'amico di mio padre ? Eh... Spaccano un po’ le balle-
Rispose l'altro, alto, allampanato, con i capelli biondi lunghi sulla nuca.
-Continuano con quelle loro cazzo di canzoncine nel loro idioma assurdo. Fortuna che questa guerra la conducono gli Americani, almeno è una guerra lampo. Così, poi, menano le tolle e se ne tornano a casa. Cazzo gli è venuto in mente a mio padre, d'ospitare ste due Kossovare... Oh, a me mi dispiace, ma io c'ho l'esame di elettronica tra poco e devo studiare-
-È che poi tutti ‘sti qui vengono qui a fare i delinquenti e non puoi neanche dire un cazzo, se no sei un razzista-
-Vabbè, oh... Dammi il cella, và, che chiamo la Flossy-
-Bravo, bella lì, woppizzati!-
Gli rispose il moro, passandogli il telefonino.
Ad un tavolino due giovani impiegate, una Bergamasca ed una Bresciana, stavano chiaccherando.
-Allora, come va con il tuo moroso ?- Chiese la Bergamasca.
- Bene, bene- Ripose la Bresciana -Non sono riuscita a fare a meno di lui, ieri sera. Ho avuto voglia, a dirgli per tutto il giorno "stasera niente, devo studiare il manuale di bilancio".... Lui è venuto sotto casa mia, ha suonato il clacson una sola volta e io l’ho subito raggiunto. Siamo andati a scopare su in collina, in una strada che conosciamo dove non passa nessuno. Poi, però, la coscienza è stata forte: mentre lui mi accarezzava i seni, gli ho detto "Senti, amore.... non posso. Domani mattina presto ho la fatturazione, capisci ?". E lui mi fa "E allora ? dì al tuo capo che lui ti può far fare quello che vuole, ma che ti scopa sono io. Capito ?"- -E tu ? Cosa gli hai detto ?-
- Gli ho detto "Sai all’ingegnere che cazzo gliene frega se scopo con te. Se mi vuol danneggiare mi danneggia, capisci ?". Vabbè, tanto poi abbiamo ciulato lo stesso. E chi lo fermava più, oramai ?-
- Ma da quanto tempo è, che siete insieme ?- - Sette anni -
- Il mio moroso, invece, sta facendo il carabiniere. Io c'ho una paura.... Delle volte ha a che fare con i marocchini, o con quelli là del Leoncavallo-
- Mamma mia, che paura ! Io, al mio Piergiacomo, non glielo lascerei mai fare-
- Cosa hai visto ieri pomeriggio, alla televisione ?- - "Non è la Rai". Ma che bella, che è Ambra....- - Hai ragione, vorrei proprio essere come lei-
Laura arrivò puntuale come sempre nel suo vestito di seta, stile flower power. Si sedette di fronte a Nicola.
- Sono storta, Nicola. Guarda, lascia stare che stamattina non sapevo neanche se venire- - Bevuto molto, ieri sera ?-
- Tre pinte-.
- Fumato molto ?-
- tre canne-
-Eh, insomma....-
- Hai parlato con il tuo editore ?-
Chiese Laura.
- Lo devo incontrare oggi, abbiamo appuntamento alle due-
Laura si mise in ordine i capelli con un rapido movimento della mano senza sigaretta e si fece seria. Sorrise e fissò l’amico, passandosi un ultimo ricciolo ribelle dietro un orecchio.
- Cerca di dargli una strigliata. Voglio dire.... tu cerca di essere sempre gentile, però fagli capire che è ora che si muova-
- È un mese che lo sto facendo e la risposta è sempre quella: mi capisce e anche lui starebbe sulle spine al mio posto, ma non mi devo preoccupare, perchè il libro è pronto ed è tutta questione di organizzarsi con il distributore-
Lei annuì, scettica.
- Cosa hai visto ieri sera alla tele, prima di uscire ?- Chiese Nicola.
- Le avventure del giovane Indiana Jones-
- Hai visto quando salva il bambino africano dalla carica dei kudu ?-
- E quando i tedeschi sono entrati nelle trincee con i lanciafiamme ? Giuro, in quel momento mi è venuto da piangere. Facevano impressione.... stavano massacrando delle persone, ma sembravano non rendersene conto-
-Tu l'avevi vista, la puntata ambientata a San Pietroburgo nel 1917 ?-
- Si.... bellissima ! La gioia che c'era stata per una semplice torta, in mezzo a tanta povertà-
- E Indiana Jones ventenne che aiuta i rivoluzionari e conosce Lenin....-
- Però comprende l'inganno, in fondo in fondo-
- Quale inganno ?-
- Ecco che è arrivato il comunista !- Rise lei - Per lui la rivoluzione russa è andata bene in tutto e per tutto, conseguenze comprese. Non ci sono state fregature-
- Non ho detto questo.... e non sono comunista, sono anarchico. Te lo dico una volta per tutte-
- Okay, Okay.... Scherzavo!-
- Però.... viaggiare per il mondo all’avventura, dev'essere veramente bello-
Laura sorrise.
- Non si usa più. Non siamo più ai tempi dei nostri nonni. Oggi, bisogna pensare innanzitutto alla carriera e alla famiglia-
- Mio nonno è stato nell'esercito coloniale a Bengasi, nei primi anni venti- Disse Nicola –Me lo avrà raccontato non so quante volte, sempre più spesso man mano che l'arteriosclerosi diventava galoppante. Lavorava in caserma fino a metà pomeriggio, poi c'erano i bagni in mare, le passeggiate per la città, i bar ed i bordelli. Una volta si è beccato anche la blenorragia.... la cosa peggiore che ti potesse capitare, allora. E poi contrabbandava il thè. Non so quante volte me lo avrà raccontato-
-Mio nonno materno, invece, era un anarchico. Aveva già capito che Mussolini avrebbe messo l'Italia nella merda, quando era ancora un idolo delle folle socialiste e nessuno avrebbe mai pensato male di lui. Sua moglie è un’ex-partigiana, adesso se ne sta rinchiusa in un ospizio nel Pavese. L'ultima volta che sono andata a trovarla, l’ho trovata in lacrime. Gridava che voleva telefonare a mio nonno, che è morto tre anni fa. Mia madre le ripeteva "Piantala!" e, intanto, cercava di farla stare a letto. A me, invece, veniva in mente quando avevano dato per morto mio nonno durante la resistenza, allora era solo il suo ragazzo.... -
Davanti al bar, due agenti in motocicletta stavano controllando i documenti ad un gruppo di Filippini.
- No lavorare, no lavorare ! -
Asseriva uno degli extracomunitari.
- E come fate, per mangiare ?-
- Amici dare soldi ogni tanto-
- A proposito di nonni, Filippini e polizia....- Raccontò Nicola -Mia madre ha preso un Filippino senza permesso di soggiorno perchè accudisca mio nonno. Chissà se può avere dei casini con la legge-
- Si! Ma tanto lo fanno tutti, quelli che possono permetterselo-
Mustafà entrò, tenendo nelle robuste mani nere la scatola con penne e accendini.
- Ciao Nicola ! Cosa comprare oggi....-
- Mustafà, lo sai che non ho soldi-
Il Senegalese guardò Laura.
-Tu sempre con ragazze-
Disse poi a Nicola.
- Faccio del mio meglio. E tu ?-
- Io niente ragazze-
- Ma se ti ho beccato Sabato sera allo Zimba, con due bionde ed una bruna avvinghiate a te come piante rampicanti-
- E du ghe gazzo volere ? – Gridò il barista a Mustafà - Volere gaffè ?-
-Si, un caffè, grazie-
Sorrise Mustafà.
Nicola lasciò che Laura si avvicinasse alla cassa per pagare, mentre lui rimirava il vassoio delle brioches e si cullava nei suoi odorosi effluvii. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente quel profumo fragrante di prima mattinata.

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DIONISO ED AFRODITE

La nebbia penetrava nel bosco, avvolgendo in un sudario i pini carichi di neve. Sarebbe stato piacevole sentire il canto di qualche animale notturno. Il profumo della minestra che era stata la cena era scomparso e, anche se la nebbia ed il buio non gli consentivano di vedere troppo lontano, il silenzio alle sue spalle era testimone dell'avvenuta discesa del sonno sull'accampamento. Poco sopra al cuore poteva sentire la presenza di lei, la grappa con la quale si sarebbe riscaldato durante la notte.
Con la punta del piede sinistro tracciava e subito cancellava qualcosa nella neve, ma gli ci vollero diversi istanti per riconoscere le iniziali di Elvira. Lei era a Milano e un giorno l’avrebbe sposata.
Elvira stava portando i bambini a vedere il grano appena maturo la mattina in cui l’aveva conosciuta, con quel cappellino di paglia che si confondeva con il biondo dei capelli ed il lungo vestito verde. Lui le aveva chiesto di sua sorella Maria. Lei lo aveva già notato, quando portava il pane del forno alla mensa degli scolari. Pochi giorni dopo si fidanzarono.
Nelle sere estive Elvira gli raccontava storie come fosse stato uno dei suoi alunni e a volte lo tratteneva fino a tardi, per attendere lo spuntare d'una costellazione e raccontargli il mito legato al suo nome. Lui seguiva il profilo nudo e liscio di quel braccio, mentre gli indicava i punti luminosi nel cielo, e allora avrebbe voluto solo baciarla, ma lei seguitava a parlargli di luoghi lontani, della Grecia e dell'Africa, e lui non poteva far altro che promettere.
Promesse che la guerra, ora, lo aveva obbligato a rimandare.
Un paio di sci era appoggiato ad una palizzata.
Il gelo gli stringeva le costole. La morte era presente nelle acque soffocate dal ghiaccio del ruscello ai suoi piedi e nelle ceneri dei rami bruciati, sparse per l'accampamento.
I ricordi tornavano a via Tibaldi, dove era nato e viveva. Il bar di via Brioschi e Luigi, il bambino dei vicini, con quel grosso neo sulla guancia sinistra.
Decise d'andarsene, di tornare a casa. Mise gli sci e si allontanò, con la sola certezza di muoversi verso sud-ovest.
Il non prendere un sentiero già esistente implicava carezze brucianti da parte dei rami secchi. Mentre muoveva incessantemente le gambe, pensò d'alleggerire la fiaschetta: non che la grappa ostacolasse il suo procedere, ma, sicuramente, una volta in circolo nel sangue l'avrebbe agevolato.
Sentì un fiotto caldo scendergli per la gola, e poi un'altro e un'altro ancora.
Un fischio, proveniente da un punto non definito tra gli alberi, lo fece trasalire e lo obbligò a fermarsi. Qualcosa lo colpì alla testa e perse i sensi.
Gli ci volle quasi un minuto per intuire d'essere in una tenda, qualche secondo in più per intuire che gli indumenti indossati dalle persone intorno a lui erano uniformi. Infine, si rese anche conto che si trattava d'uniformi austriache.
-Disertore, eh?-
Gli aveva parlato il più anziano dei tre presenti, un capitano. E poi lo aveva squadrato in modo accigliato.
- Disertore, eh ?-
Tornò a ripetere.
I due militi che erano con lui si limitavano a fissare il prigioniero, severi, ma con uno sfondo di commiserazione negli occhi.
-Questi sono affari che riguardano solo me-.
-Noi siamo gentiluomini. Ti restituiremo ai tuoi commilitoni lasciando che siano loro ad ucciderti-.
-Lo faranno sicuramente, ma non credo che, poi, si dimostreranno tanto riconoscenti da ringraziarvi-.
-Potremmo anche lasciarti scappare, volendo. È meglio perdere qualche parola, che non la vita, non trovi? Tu ci racconti da dove sei venuto e poi noi andiamo in quella direzione e tu nell'altra-.
-Ora che me ne avete raccontata una austriaca, posso raccontarvi, io, una barzelletta milanese ?-
Mentre i due militi restavano impassibili, l'ufficiale ebbe un trasalimento, che aumentò la fermezza del suo aspetto.
-Come si chiama la tua amata ?-
-Elvira-
Il capitano mormorò qualcosa a uno dei due militi, che uscì correndo dalla tenda.
-I prossimi minuti, per te, saranno molto, molto piacevoli-.
Il soldato tornò pochi minuti dopo.
Il nome d'Elvira era stato scritto, su di un vassoio, con una serie di bicchierini colmi di un liquido trasparente, il cui odore arrivò inconfondibile alle narici dell’Italiano.
-I Russi lo fanno con la vodka, ma noi disponiamo solo di grappa. Bevendo tutto il suo nome, ti dimostrerai degno della tua fidanzata-.
Minacciato da una pistola, obbedì.
La prima domanda arrivò mentre stava bevendo la "V".
-Allora, dov'è l'accampamento ?-
-Come posso saperlo, se mi ci avete portato mentre ero svenuto ?-
-Penso che la tua Elvira avrà un buon motivo per amarti.... o piangerti. Continua pure a bere-.
Più beveva, più sentiva crescere in sè l'amore per Elvira. Ed il desiderio di lei. Poi, iniziò a vedere in quegli uomini che gli stavano attorno i nemici di Elvira.
Potevo resistere alla nausea e alla sonnolenza. Sentiva che Elvira lo stava apprezzando per questo.
Concentrato sull'immagine di lei, arrivato alla "A" finale, balzò in piedi e rovesciò il vassoio, spargendo ovunque cocci vitrei. iniziò ad urlare, fino ad avere la sensazione che il collo gli stesse scoppiando. I tre Austriaci fecero un istintivo passo indietro.
Saltò addosso al capitano e, infilandogli le dita negli occhi, gli tolse la pistola di mano e la scaricò sui presenti.
L'odore del sangue si mescolava a quello della grappa.
Corse fuori accorgendosi solo allora, mentre i piedi gli affondavano nella neve, d'essere scalzo.
Sempre urlando, prese una torcia dal falò acceso al centro del campo e, prima ancora che qualcuno potesse rendersi conto di quanto stava accadendo, diede fuoco a tutte le tende che incontrava lungo la propria linea di corsa. Trovata una mitragliatrice,si buttò a terra dietro a lei e sparò sugli uomini che correvano all'aperto.
I crepitii prodotti dall'uomo si mischiavano a quelli prodotti dalle fiamme. Urla accompagnavano la caduta dei corpi nella neve, membra divelte davano l'impressione di muoversi ancora. E lui gioiva ad ogni proiettile che lo sfiorava senza colpirlo.
Elvira era al suo fianco, ora la vedeva. Le mani poggiate sulle sue, era lei che stava sparando. Eccitato dalla sua compagna e complice in quel massacro, la baciò a lungo. L'aria, che gli aveva trasformato le labbra in croste dighiaccio, assunse il calore della bocca di lei. L'assenza, ormai quasi completa, di sensibilità gli consentiva di raggiungere l'estasi avvinghiato al suo corpo.
La mitragliatrice continuò a funzionare fino a quando non si fu addormentato.
All'alba la nebbia era del tutto scomparsa.
Sogghignando, diede una pedata alla fiaschetta, che giaceva ormai vuota ai suoi piedi. Ma fu la voce di Pagani a risvegliarlo completamente dal torpore. Mario Pagani era un ventunenne genovese, la cui timidezza poco s'intonava con l'uniforme.
-Le devo dare il cambio, signore-.
Lui annuì con un sorriso di gratitudine e gli lasciò il posto di guardia.
Non poteva ritenere realistica la fantasia di quella notte, della quale cercò di rievocare alcune immagini disteso sulla branda; ma per parecchio tempo in seguito gli capitò, sopratutto grazie alle leggende che gli raccontava sua moglie Elvira, di fantasticare su una guerra vinta solo grazie a Dioniso ed Afrodite.


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AGONIA IN ROSSO FOLIAGE

Era Americana, di Boston. Aveva lasciato le foglie rosso autunno del New England per portare il suo sorriso a Parigi, forse un dono in cambio di una Statua della Libertà donata tanto tempo prima. O almeno, per Marco, in quel piovoso inverno francese lei era stata un simbolo di libertà.
Avete mai detto "rakastan sinua" quando finalmente arriva il tramonto, su in Lapponia ? Avete mai sentito il guaito di un randagio spezzare il silenzio di un'acropoli ? Avete mai fatto l'amore in una soffitta ad Heidelberg_ mai pianto su un canale ad Amsterdam_ mai dormito con i clochards, alle Quattro del mattino davanti a Notredame ? Marco Panzeri queste cose le aveva provate tutte. Aveva visto anche i gatti a Malacca, che sono magri come jene.
La sera prima, invece,sul Quai De Grenelle Marco aveva visto Godzilla, il mostro dagli occhi a mandorla, pronto a divorare Parigi, mentre dietro quei grattacieli, alberghi per managers e donne sole, una crepuscolare nebbia purpurea cancellava la Tour Eiffel. Niente a che vedere con i tramonti di Bimini. C'era stato, a Bimini, e vi aveva trovato la sua casa. Ci sarebbe dovuto tornare.
Ora era lì, alla Shakespeare and Company, per chiedere della sua vecchia amica Elisabetta. Quella vecchia amica che nei pomeriggi dello scorso inverno aveva venduto i suoi librisu quello stesso lungoSenna, proprio di fronte a Notredame. La vecchia amica con cui aveva passeggiato una sera sul Pont Neuf e che gli era comparsa di fronte all'improvviso, per poi stringerlo in un abbraccio, alcuni giorni dopo all'università di Milano. L'amica con cui andava a ballare il Boogie, giù al Caveau de la Huchette. Ma Betta ora non c'era. C'era lei, Americana di Boston.
-Elisabetta è dalla famiglia a Verona. È malata-
Gli aveva detto, mentre lui notava il rosso dei suoi capelli ed i vent'anni del suo volto.
-Se vuoi, se sei un suo buon amico, posso darti il suo numero di telefono...-
-Non importa, quello ce l'ho. Posso lasciarle un messaggio ?-
Lei gli porse un foglio ed una biro.
-Prego...-
-Che cos'ha Elisabetta ?-
-Influenza-
Marco scrisse qualcosa. Qualcosa del tipo che era passato e che la salutava, nient'altro. Niente del tipo che ora si sentiva svuotato.
-Sono in viaggio di nozze- Le disse -Ero venuto per farle un saluto-
-Congratulazioni!-
Disse lei arrossendo, ridendo e portandosi una mano davanti al viso, simile ad un Cupido rinascimentale.

Nel bistrot accanto alla libreria, sua moglie spizzicava noccioline pensierosa, seduta davanti ad un Kir bevuto solo a metà. Sembrava una moderna versione, in tailleur grigio, di una donna al bar di Van Gogh.
-Cosa c'è ?-
Chiese lui.
-La ragazza bionda è vestita meglio di me-
L'aveva notata, la ragazza bionda. Seduta al tavolino alle sue spalle,stava leggendo, studiando o scrivendo qualcosa. Oppure tutte e tre le cose insieme. Indossava una maglia aderente rossa, che non le arrivava ai pantaloni.
-Non ci pensare-
Le disse. Sua moglie tornò a sorridere.
-Quando torniamo a casa, ti preparo un piatto di penne con il sugo. Il sugo fatto da me, non comprato al supermercato. Con i pezzi grossi-
-È il piatto più prelibato che possa desiderare-
Stava iniziando a piovere e sua moglie volle tornare in albergo a riposare, prima di cena.
All'uscita vide la nuova libraia, la sostituta di Elisabetta. Lei si fermò, con la sorpresa ed il sorriso negli occhi. Disse qualcosa che lui non capì e si salutarono nuovamente. Gli sguardi si incrociarono e lui sentì un abbraccio represso dentro di sè mentre la ragazza scoppiava a ridere, simile ad un Cupido che è riuscito nel proprio scopo. Poi si allontanarono, uno alle spalle dell'altra. Ma lui continuò a vederla, di fronte ai propri passi. Era vestita con maglietta e bermuda su una decapottabile, nel Grand Canyon... Sentì il desiderio di calore e libertà, di essere con quella sconosciuta figlia del Massachussetts sulle strade del deserto... Lo spettro di un amplesso lo chiamava da Tombstone, Arizona... Highway 66 e poi svolta a sinistra sulla route della frontiera, direzione Promised Land... La mattina dopo, con sua moglie, prese il TGV di ritorno verso Milano. Una settimana dopo gli diedero un aumento di stipendio, come impiegato alla ST-Microelectronics di Agrate Brianza.

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IL MANIACO


Roberto Borella, portinaio in via Muratori, guardò l'orologio da polso, accorgendosi che suo figlio Matteo, uscito quel pomeriggio per una partita a calcio con Andrea ed Alberto, i due amici del condominio vicino, era in ritardo di dieci minuti.
"Non è un ritardo terribile" Cercò di convincersi.
Da quando aveva perso sua moglie, Elisa, in quella sparatoria (lei era un agente di polizia) ed era rimasto solo ad accudire al ragazzo, sapeva di essere diventato particolarmente apprensivo. Mentre guardava dalla finestra nella luce bluastra della sera, la sua mente era lontana, alle porte della città, tra i palazzi della periferia. Edifici grigi, già vecchi al momento della loro costruzione. Restandotra quei monumenti all'arrendevolezza umana, il pensiero di Roberto tornava a quella sera di quattro anni prima. Una Uno truccata davanti ad una pizzeria, qualche insulto dopo parecchie birre, un movimento brusco e si fu alle vie di fatto. Uno dei contendenti era armato, le parole passarono a colpire le madri e partì il primo colpo.... in questi luoghi non c'è la folla curiosa e bisognò attendere l'arrivo di una volante per fermare il tutto. Ma l'assassino non scappò, aveva ancora delle pallottole e adesso lui era lì, ad attendere il figlio, senza che nessuno potesse più distrarlo dall'apprensione. Tentò di ragionare, ricordando che Matteo aveva quattordici anni ed era un ragazzo giudizioso, arrivando così alla conclusione che non era il caso di eccedere nella preoccupazione.
Poi, finalmente, Matteo arrivò.
- Scusami per il ritardo, papà.-
Il volto del ragazzo, oltre alla stanchezza per la partita giocata, sembrava mostrare anche un certo turbamento.
- Dove sei stato ?- - Ho accompagnato a casa Andrea ed Alberto. Andrea ha avuto un brutto incidente, oggi. Si era allontanato da noi assieme ad una sua compagna di scuola, perchè dicevano di aver voglia di un gelato; al ritorno lo abbiamo notato molto pallido e continuava a ripetere di essere stato ferito da qualcuno.La ragazza diceva di non aver visto nessuno e lui non aveva alcun segno sul corpo; tuttavia stava effettivamente molto male. Ho paura che, nei dintorni, ci sia una specie di maniaco. Alberto mi ha poi raccontato di una cosa simile, accaduta alcuni giorni fa ad un suo amico all'uscita di un cinema, dov'era appena stato con un'amica-.
- Stai attento,Mat. Non ascoltare nessuno che non conosci, quando te ne vai
in giro.-
La raccomandazione era classica e Roberto l'aveva ripetuta meccanicamente, tipo frase fatta, non nascondendo così il suo scetticismo verso la storia del maniaco. Pensò , sorridendo, che doveva trattarsi di un gioco tra ragazzi e cercò di ricordarsi quelli in uso ai propri tempi.... quando aveva conosciuto Elisa.Ricordava ancora la prima sera in cui l'aveva portata fuori, in quel locale del quartiere Ticinese. Lei, che tirava grandi sorsate di birra mentre parlava, gli era riuscita subito simpatica. Appena diciottenne, era un tipo aperto e spontaneo, con lunghi capelli biondo rossastri e le guance paffute da montanara. Le dita lunghe e affusolate portavano diversi anelli, ma le mani, le screpolature delle quali erano bene in vista quando alzava il boccale, tradivano l'abitudine a lavori di fatica, ad una bonaria rozzezza che traspariva anche dai movimenti mascolini delle spalle e delle braccia. Il forte accento veneto rendeva incomprensibili alcune sue parole, ma niente di importante o comunque interessante rimase incompreso nella conversazione di quella sera.Abituata alla vita di campagna sull'altipiano di Asiago, intrattenne Roberto con racconti di famiglia, di quelli che si tramandano nelle sere d'inverno. Storie narrate sopratutto da sua nonna, una contadina che aveva trascorso gli anni della sua infanzia nutrendosi quasi esclusivamente di brodo e radici. Parlarono anche d'altro, prima di lasciare il locale.... Il giorno seguente, Matteo tornò da scuola pallido e non riuscì a mangiare quello che il padre gli aveva preparato.
- Cosa ti succede, figliolo ?-
- Ha ferito anche me oggi, all'uscita da scuola.-
Roberto, a quelle parole, cambiò espressione e divenne serio.
- Ma chi è stato ?-
- Non lo so! Ho sentito una fitta e un forte bruciore al fianco, mi sono girato di scatto e ho visto un piccolo uomo nudo scappare e sparire nel nulla. Poi ho cominciato a stare male, ma era un tipo di malessere strano, mai provato prima-
- Eri solo ?-
- No! Con me c'era la figlia dei Morra,ma lei dice di non aver visto nessuno-
Roberto guardò il fianco del ragazzo e non notò alcuna ferita. Matteo doveva essersi lasciato suggestionare dagli scherzi degli altri ragazzi, non poteva essere che così. Gli suggerì che, forse, era il caso di lasciar perdere la storia del maniaco.
Quella sera, qualcuno bussò alla porta di casa Borella e Roberto andò ad aprire.
- Buonasera. Mi scusi, ma mi si è fermata la macchina proprio qui davanti a casa sua e non riesco a ripartire. Non potrebbe, per favore, aiutarmi a controllare che cosa non va ?-
La ragazza che aveva parlato era sui venticinque anni, alta e snella, con dei lunghi capelli biondi e gli occhi verdi. La sua voce era dolce ed ingenua, come quella di una bambina. All'improvviso, Roberto lo vide, nascosto dietro la ragazza.Era piccolo, riccio, biondo e, come aveva detto il figlio, completamente nudo. La sua freccia, una di quelle frecce alle quali nessun uomo è mai sfuggito, volò verso Roberto e lo trafisse per la seconda volta.

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