Pomodori
secchi sott'olio
“Non sei veramente fregato fin quando avrai una buona storia
da raccontare”. Non ricordo se l’ho letto prima in novecento
o l’ho sentito nella leggenda del pianista sull’oceano.
Sì, se ti chiami Baricco! Se ti chiami Baricco puoi anche
non averla la storia da raccontare. Puoi scrivere City, Seta. E
poi continuare con Sette, Otto, Nove… E se non ti viene di
scrivere niente puoi sempre aprire una scuola di scrittura e continuare
a far soldi, in attesa che passi il blocco dello scrittore. Il blocco
dello scrittore! Che cos’è? Non lo conosco. Il blocco
dell’editore sì, lo conosco. E’ quello che ti
rifiuta il dattiloscritto, che lo tiene nel cassetto per anni, che
ti risponde che è in lettura. E’ quello che ti pubblica,
grazie al contributo col quale potresti stamparti tutta la tiratura
per conto tuo, ma non ti dice che fine fanno i libri. Li cerchi
in ogni libreria e la commessa ti dice con espressione allibita:
- Se vuole glielo posso ordinare…
E che ordini se ne hai in casa un centinaio ancora imballati?
A me fa ridere, il blocco dello scrittore. Potrei scrivere per anni
e anni e avere sempre di che raccontare. Senza sforzarmi di fantasia,
di inventare. Mi basta dare un’occhiata indietro, al mio passato.
O immaginare il futuro che non ho avuto. Potrei scrivere chilometri
di storie, rotoli di storie, bobine di storie. Potrei scrivere su
qualsiasi argomento, qualsiasi fatto e su qualsiasi oggetto. Ed
essere originale, unico. Essere io.
Voglio scrivere sul treno? Non viaggiando, argomento treno. Un’avventura
in treno. Facile! Potrei scriverci un romanzo di cinquecento pagine.
Potrei scrivere la versione italiana di ‘Pomodori verdi fritti’.
Solo che non avrebbe senso. Non ha senso friggere i pomodori.
Da noi i pomodori, rossi e maturi, si facevano seccare al sole,
d’estate giorno dopo giorno, allineati su tavole di legno,
le stesse su cui prima si era fatta asciugare la passata. E poi,
i pomodori seccati, si salavano e si mettevano sottolio nei barattoli
di vetro, di marmellate e conserve varie, accumulati per tutto l’inverno.
Potrei scrivere anche di quando sono nato e raccontare quello che
mi hanno raccontato fin dai miei primi giorni di vita. Ma abbiamo
detto treno.
Dove sono nato io, la casa dove sono nato, c’era il mare davanti
e la ferrovia e la stazione alle spalle. Proprio come nella Little
Rock (o era Castle Rock?) del romanzo americano. Proprio come in
quel bel libro, insomma. In estate si cresceva e si giocava sulla
spiaggia, sempre bagnati di mare. D’inverno l’unico
spazio era quello della stazione, dello scalo merci. I passeggeri
erano già pochissimi. Quella era già l’unica
ferrovia d’Italia a scartamento ridotto. Viaggiavano littorine
deserte. Gli autobus erano molto più veloci ed efficienti.
Il traffico merci stillava le ultime gocce di vagoni e treni a vapore.
Belli, neri, col gigantesco tubo davanti e i pistoni lucidi di lato
che spingevano le ruote rosse. E ad ogni giro uno sbuffo. Era bello
vederli partire. Il conducente ci strillava asciugandosi le mani
nere con il cascame di fili colorati. Strillava e rideva mentre
noi ballavamo nello spurgo del vapore, inebriati nell’unica
nebbia mai vista, tiepida ed evanescente. Scappavamo appena accennava
di scendere o compariva il ferroviere che noi chiamavamo Capolino.
Noi eravamo quei bambini, una decina, che abitavamo proprio a ridosso
del capannone dove sostavano le merci appena scaricate dai vagoni
o da caricare. Merci che non ricordo più di aver rivisto:
sacchi di carrube, di sansa d’oliva, di orzo. Animali vivi
non se ne vedevano più da un paio d’anni. Che spettacolo
veder scendere dai carri i maiali grugnenti, e che divertimento
quando ne scappava qualcuno. Poi avevano chiuso il macello e i recinti
erano stati abbattuti. Così fra il deposito e il binario
morto c’era solo uno spiazzo molto grande. Quando arrivò
un nuovo capostazione con un figlio della nostra età, diventò
il nostro campo di calcio. Non venne più nessuno a cacciarci
via. Dovevamo solo stare attenti a qualche rara manovra di vecchi
treni. Eravamo diventati gli unici occupanti della stazione merci.
Però non avemmo più carrube da sgranocchiare e sacchi
di olive verdi da bucare per portare a casa i frutti da salare.
Una volta in quello spiazzo atterrarono due elicotteri. Li abbiamo
toccati. Dopo non ci furono altre avventure. La stazione morì.
Non c’erano più le mandrie da scortare ma neanche più
camion da scaricare. Continuò a vivere solo il nostro parco
giochi invernale, il nostro stadio con le porte fatte da due blocchi
di tufo. I vagoni scolorirono immobili con le porte bloccate da
lucchetti arrugginiti. Fino al 1968, fino all’inverno del
1968.
Mia madre mi svegliò in piena notte. Ero nel lettone e mio
padre era già vestito. Anche i miei fratelli, tutti più
grandi, si stavano vestendo in gran fretta. Qualcuno mi infilò
il maglione sopra al pigiama, anche i pantaloni.
- Dove andiamo?
- Fuori, fuori di qui. Fuori di casa. Tutti fuori, presto.
Mio padre aveva infilati gli stivali da pesca, anche la cerata sopra
il grande maglione di lana. Continuava a far fretta a tutti.
- Veloci, fuori!
Uscimmo tutti assieme. C’era altra gente. Qualcuno piangeva
e non erano bambini. Il mare arrivava oltre la piccola banchina.
C’era vento e io tremavo ma non era per il freddo. Avevo paura
e non sapevo perché. I grandi, gli uomini di tutto il vicinato,
si misero a discutere e guardavano le case. Guardavano il mare vicino
e le case, ancora troppo vicine. Mio padre tornò e mi prese
in braccio.
- Andiamo alla stazione.
La processione intirizzita si mosse veloce richiamando per nome
chi si attardava ad esaminare i muri abituali. Non riuscivo a parlare,
non riuscivo a chiedere.
Attraversammo i binari. Alzai lo sguardo alla torre dell’acqua.
Colava da una fenditura. I due ferrovieri, il padre del mio compagno
e un altro più giovane, correvano lungo i binari con lanterne
rosse in mano. Ci fecero segno di correre, di non indugiarci sui
binari. Mio padre mi passò a mio fratello e aiutò
mia madre a muoversi più veloce, gli tolse la coperta di
dosso.
Ci fermammo nel nostro campo di calcio e i pali delle porte diventarono
sedie per i più vecchi. Aspettammo in silenzio, stretti nei
cappotti e nelle coperte. Qualcuno raccolse legna e mio padre accese
il fuoco. Eravamo però troppi per poterci scaldare. Ne accesero
altri due. E poi ancora quando altre persone arrivarono dai palazzi
più avanti alla stazione. Alcuni erano ancora in pigiama.
Mio padre fumava seduto su di un sasso. Si alzò di colpo
e anche gli altri. Mio fratello gridò e si rizzò in
piedi. E io… fu come se avessi avuto una scrollata. Uguale
a prima, quando mi avevano svegliato in piena notte scuotendomi.
Stavo guardando la stazione passeggeri. La vidi oscillare, vidi
i muri allargarsi e richiudersi. Cominciarono a gridare tutti.
- Il terremoto!
- Un’altra scossa!
- Più forte!
C’era chi si faceva il segno della croce. C’era chi,
come mio padre, voleva tornare a controllare la casa. Mia madre
lo scongiurò di non andare. Mi misi a piangere di nuovo.
Mio padre mi accarezzò e tranquillizzò la mamma.
- Non ci entro. Vado solo a vedere se è ancora in piedi.
Lo seguii nell’oscurità con lo sguardo fin quando la
flebile luce della cicca rimase visibile. Non distolsi lo sguardo
dal buco di buio dove lo aspettavo ricomparire.
Prima arrivò il nuovo capolino con tutta la famiglia. Mi
scrollai da mia madre e raggiunsi il mio amico. Guardavo sempre
il buco e rividi la piccolissima luce rossa della Nazionale. Era
carico di coperte, del pane avanzato, di barattoli e di un cesto
di frutta. Mia madre lo rimproverò.
- Sei stato un incosciente ad entrare a casa. E se ce n’era
un’altra?
Ignorò il rimprovero coniugale. Salutò i nuovi vicini.
- E’ ancora in piedi. - indicò le provviste - Ma non
credo che ci rientreremo tanto presto.
Capolino ci affidò la famiglia, sua moglie e il mio compagno
Guglielmo.
- Devo tornare in stazione. Siamo stati allertati. Da Castelvetrano
sono partite diverse littorine. Alcuni paesi sono stati evacuati.
E’ un disastro. Li raccomando a voi.
Si girò e fece qualche passo. Tornò indietro e cercò
di rivolgersi anche agli altri fuochi, alle agapi silenziose e infreddolite.
- In stazione ci sono delle panche. Se ve la sentite di tirarle
fuori… L’edificio ha qualche lesione ma non è
pericolante. Per ora. La sala d’attesa è aperta.
Si avviò verso il suo dovere. Mio padre tirò una lunga
boccata dalla sigaretta, sputacchiò qualche filo di tabacco
appiccicato alla lingua.
- Le panche? Che ce ne facciamo della panche. Neanche il fuoco serve.
Capolino attese. Tornò un’altra volta.
- Che serve?
Mio padre girò lo sguardo a tutti i presenti. Eravamo diventati
tanti. C’erano almeno cinquanta famiglie strette e infreddolite.
Alzò la mano fumante, indicò il binario morto e le
ombre delle piccole case su ruote.
- I vagoni. Apra i vagoni.
Il capostazione scosse la testa.
- Non si può. Ci sono i sigilli.
- A sigillare cosa? Carrube marce? O merda di maiali? Ma guardi
sua moglie.
Sua moglie tremava stretta a fianco di mia madre. Dividevano una
coperta buttata sulle gambe.
- Aprili Alfò! O vai in casa anche tu a prendere qualche
coperta.
Un fischietto sibilò nell’aria. Alfonso corse verso
il segnale del collega. Mio padre buttò la cicca nel fuoco
e lo girò per rianimarlo. Il vento faceva decollare scintille
di brace. Ci fu un’altra scossa ma non creò l’eccitazione
della precedente. Si cominciava già a misurarne l’intensità.
Era stata più lieve delle precedenti. Solo alla moglie del
ferroviere generò agitazione. Controllò la stazione
ma non fu serena. Pregò mia madre.
- Tenga mio figlio, signora. Io torno subito.
Si alzò e fece solo alcuni passi. Suo marito stava tornando.
Si fermò davanti a mio padre, gli mostrò un martello
grosso e tozzo.
- Le chiavi chissà dove sono andate a finire. Andiamo a rompere
sigilli e lucchetti.
Mio padre fece cenno ai miei fratelli. Mi unii a loro. Li seguirono
anche gli altri uomini del rione. Si fermarono davanti al primo
carro. Due giovani issarono il capostazione. Sferrò una martellata
sul lucchetto. Mio padre ebbe bisogno di aiuto per far scorrere
il portellone incastrato. Mio fratello saltò dentro e aprì
i finestrini in alto. Chiamò mia madre e l’aiutò
a salire. Anche le altre famiglie raggiunsero il binario morto.
Il corteo cominciò a muoversi lungo il convoglio. L'accompagnamento
si assottigliava ad ogni colpo di martello. Tutti ebbero un riparo.
Mio padre e il ferroviere tornarono dopo aver sistemato l’ultima
famiglia. Papà accese un’altra nazionale.
- Grazie.
- Di che? Aveva ragione. Devo chiederle un favore: mia moglie può
restare nel vostro vagone?
- Nostro?
- Sì. Sono soli. Io stanotte non potrò stare vicino
a lei e al mio bambino. – portò la mano a cornetta
sull’orecchio - Continuano ad arrivare brutte notizie. Montevago,
Salaparuta, Gibellina non esistono più.
Mio padre si girò verso il vagone, mi intimò di rientrare
la testa dalla fessura del portellone. Lo vidi annuire al capolino
e allontanarsi sottobraccio a continuare la discussione vicino alle
braci abbandonate.
La puzza dentro al treno cominciava a stemperare. Alcune coperte
furono stese sul pavimento. Anche i miei fratelli si sdraiarono
e si coprirono. Mia madre restò seduta appoggiata alla parete
a fianco della nuova amica. Io e il mio compagno stavamo appoggiati
ai loro ventri a tenerci per mano. Scrutavamo ogni centimetro del
treno, del soffitto arcuato, dei finestrini sbarrati, del suolo
di legno. Immaginavamo viaggi interminabili verso terre sconosciute,
i percorsi delle carrube e la provenienza dei maiali, la destinazione
delle olive e della sansa puzzolente. Godevo dell’avventura
fantastica di essere salito su un treno. Un treno vero, non la littorina
dal fischio asfittico e dalla puzza di nafta. E’ un treno
la littorina? Era questo il vero treno ed era tutto nostro. Nostro,
l’aveva detto il capostazione.
Mi addormentai. Ebbi la fortuna di addormentarmi. Potei solo immaginare,
dai racconti dell’indomani, il dolore e l’orrore dell’arrivo
delle littorine cariche di feriti e morti, il via vai delle ambulanze
dalla stazione all’ospedale. E l’immaginazione fu più
clemente della realtà.
© 30/12/02 Francesco Principato
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Quattro
a tre
Non è stata Italia - Germania dei mondiali ma pur sempre
una partita di calcio, una vittoria ancora più importante.
Per un manipolo di ragazzini e per me è stata la vittoria
più bella, più emozionante, più coinvolgente
che un campo di calcio possa esprimere; forse anche la più
retorica per chi non sa leggere la gioia dei bambini scritta per
un attimo in espressioni indimenticabili.
Quest'anno la categoria esordienti è stata avara: leva scarsa
e scarsa per qualità. I dodicenni veramenti portati per lo
sport e, in particolare, per il calcio sono stati quattro o cinque,
non di più. Ai rimanenti occorreva un'immaginazione notevole
per poter sognare quel che tutti, alla loro età, sognano
indossando una maglietta con stampigliato un numero e "Del
Piero" o "Ronaldo". Anche per me era uno sforzo immaginarli
in divisa e schierati in campo.
A settembre, all'inizio degli allenamenti, era stato laborioso riuscire
a farli giocare, a divertirli. Dopo gli esercizi, fisici e tecnici,
dovevo risolvere la problematica equazione dell'attesa partitella:
cercare di schierare le squadrette di sei o sette giocatori in modo
che non ci fossero squilibri tecnici, fisici, psichici e anche umorali.
Certi giorni sbagliavo e così ero costretto, con mio diletto,
a schierarmi e a sudare per eliminare il divario; o a commettere
madornali errori mandando in gol il mio avversario. Mi aiutavo anche
con le interpretazioni arbitrali poco imparziali e alle proteste
ribattevo che dovevano abituarsi anche ad arbitri che potevano sembrare
di parte. Dopo un mese tutti mi avevano scoperto: ero velocissimo
a fischiare la fine della partita appena, verso il termine della
sessione, si raggiungeva un temporaneo pareggio.
Sono solo un allenatore! Come spiegare ai fanciulli che per me è
importante istruirli alla vita? Come spiegare che quei ragazzini
"scarponi" devono vincere la loro partita più importante:
stare in campo anche se non sono i migliori; stare in campo anche
se non sono i primi; stare in campo per tutta la vita.
Carlo arrivò alla scuola calcio accompagnato dal certificato
medico e dalla preghiera del padre: deve muoversi. Carlo a dodici
anni era alto un metro e ottantacinque; a dieci anni era già
un metro e settanta. Smise di giocare per strada con i coetanei.
Si rinchiuse a scuola, a casa e in se stesso. Aveva perso la capacità
di svolgere le più semplici attività motorie: correre,
saltare, perfino chinarsi per lui era diventato un problema; aveva
perso il controllo motorio del suo nuovo corpo. Salvatore non aveva
l'orientamento spazio-temporale, forse per una leggerissima forma
di dislessia: vagava per il campo e cercava di colpire palloni fuori
della sua portata e finiva per calciare l'aria. Marco era bulimico:
al campo poteva stare due ore senza mangiare e poteva bruciare un
po' del suo grasso. Anche loro erano in squadra.
In tutta la prima parte del torneo ottenni solo sconfitte. Anche
se la squadra era rafforzata da alcuni bravi "pulcini"
raccolsi sei sonore sconfitte e le lamentele dei più bravi:
non dovevo far giocare tutti, tutti. Le lamentele e i mugugni continuavano
anche a casa perché Calogero, uno dei più bravi che
può sognare di diventare calciatore, è mio figlio.
Spiegargli che il regolamento obbliga di far giocare tutte le riserve
non riesce a convincerlo perché non è uno sprovveduto:
la soluzione è non convocarli per le partite ufficiali; spiegargli
che è solo un gioco, un divertimento non gli accorcia il
muso: qualche volta è bello vincere, è più
divertente.
Arriviamo a maggio. Carlo comincia a correre, comincia a staccare
entrambi i piedi da terra; Salvatore si perde ancora per il campo
però colpisce il pallone e non l'aria; Marco è sceso
a sessantacinquechili e non scappa più, appena finito l'allenamento,
a mangiare il panino e Francesco, dopo un mese di sospensione per
aver fatto a pugni durante l'allenamento, non litiga più
e alza gli occhi al cielo quando si innervosisce.
Dopo mesi di allenamento riprende il torneo e giochiamo la prima
partita. Stiamo vincendo tre a uno alla fine del primo tempo. Entrano
tutti gli altri, tutti. Tre a due, quattro a due. Quattro a tre,
l'arbitro fischia la fine. Salutiamo gli avversari e rientriamo
nello spogliatoio. Sbalorditi tutti i ragazzi siedono addossati
alle pareti. Chiedo ai ragazzi di alzare la mano e passo a dare
il cinque ad ognuno. Vorrei parlare ma non ci riesco per il groppo
in gola e per l'urlo improvviso, assordante, liberatorio e felice
che rintrona lo spogliatoio; urlo che è un canto di gioia,
un sudato abbraccio. E' il quattro a tre più bello della
mia vita.
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Ricordo
da amare
Non so se esiste. Non so più se sia mai esistita. Il ricordo
permane sfocato, in bilico fra una visione onirica e un passato
ai primordi della memoria dintorno ai sei o sette anni.
Resta ancora netta l'immagine di quel visino, ancora dopo più
di trent'anni. Un viso magrissimo occupato da occhi grandi, grandissimi
e neri come il carbone. E come il carbone mi sembrò che spruzzassero
scintille ad ogni battere di ciglia. Ciglia lunghe come lunghi erano
i suoi crespi capelli, anche sulle basette che terminavano, ai lobi,
con una delicata peluria che scompariva sulle guance purpuree e
vellutate come pesca.
Eravamo, ma non ne sono più sicuro, in una casa di campagna,
in uno spiazzo adombrato dai pampini grandi e fitti di due alti
tralci.
Lei si staccò dalle gambe della mamma, o della nonna, e andò
a sedersi sull'erba vicino al battuto su cui il tavolo zoppicava.
La seguii e le sedetti accanto; le osservai il braccio esile carezzato
da peli piccoli piccoli e neri. Poi incontrai da vicino i suoi occhi,
enormi e lucidi specchi che riflettevano i miei.
Non ricordo nient'altro, nient'altro che lunghi sguardi intensissimi
interrotti da qualche fugace cambio di focalizzazione su fili d'erba
e minutissimi fiori, pretesto brevissimo per poter tornare ad incontrare
i nostri occhi.
Non so quanto durò. Forse solo un minuto che dura eterno
se, ancora oggi, quel viso mi è così vicino. Non la
vidi mai più.
Fu la prima volta, per la prima volta attratto da qualcuno. Per
la prima volta ebbi qualcuno a cui pensare e da ricordare.
Fu il primo ricordo d'amore, o forse, il primo ricordo da amare.
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Il cratere
di Pirandello
Premessa dell’autore.
Credo nell’immortalità del teatro, nella continua catarsi
dell’opera teatrale ad ogni rappresentazione. Credo che la
rappresentazione sia il mezzo dell’immortalità del
teatro e di ogni testo. Per questo credo che l’autore teatrale,
quando consegna il suo lavoro, debba cedere le vesti della commedia
a chi le voglia indossare. La commedia è dell’autore
fino a quando non finisce di scriverla. Per coerenza alle mie convinzioni,
le note didascaliche (o di regia?) sono ridotte al minimo, come
minima è l’atmosfera di fondo. Sogno di vedere una,
dieci, cento rappresentazioni tutte diverse nell’allestimento:
serio, grottesco, tragicomico, ecc. Poiché voglio cedere,
a chi vorrà indossarli, abiti molto ampi.
Francesco Principato
Personaggi:
Gerlando Franchi – Procuratore
Antonino Alessi – Sostituto procuratore
Vittorio Bellazzi – Ispettore di polizia
Giuseppe Canino - Indiziato
Vincenzo Marletta – Professore in pensione, Presidente del
centro studi pirandelliani
Guido Castelli – Direttore del museo
Nunzio Martello – Ex sovrintendente beni archeologi
Calogera Gallo - Archeologa
Atto I
L’ufficio del sostituto procuratore della repubblica presso
il tribunale di Agrigento. Arredamento come da normale ufficio:
scrivania con un computer, libreria, alcune sedie e quel che si
vuole. Ingresso e finestra.
All’apertura del sipario la scena è vuota. Dalla porta
entra Antonino Alessi. Sbadiglia, è assonnato. Posa la cartella
ai piedi della scrivania. Si siede al suo tavolo, aziona il computer,
aspetta. Guarda il monitor e gesticola. Si alza a raccogliere la
cartella.
ALESSI: (rivolgendosi al computer) Ma quanto ci metti ad accenderti?
Sei più lento di me quando mi sveglio. (Gesticola. Gira per
la stanza. Torna a sedersi, ad armeggiare al computer)
(Bussano e subito entra il procuratore capo Franchi scuotendo un
giornale)
FRANCHI: Buongiorno! L’ho sentita arrivare. Ancora più
tardi stamattina eh? (agita il giornale sotto il mento del subordinato).
Dottor Alessi, ma che ci fu?
ALESSI: (si alza, gli va all’incontro) Buongiorno capo. Un
morto, ma …
FRANCHI: Un morto?
ALESSI: Ma si è trattato di un incidente domestico. Però
il sopralluogo è durato fino alle due.
FRANCHI: (Tergiversa, nasconde il giornale dietro la schiena) Un
incidente? Allora ce la sbrighiamo subito?
ALESSI: Sì. Ma dobbiamo verificare. Si potrebbe configurare
il reato di abbandono di incapace. Da parte del figlio.
FRANCHI: Era invalido? Il morto intendo dire.
ALESSI: Ho dato disposizioni all’ispettore Bellazzi di verificare
e di sentirlo. Il figlio, naturalmente.
FRANCHI: L’ispettore Bellazzi sa il fatto suo. Lo sa fare
il poliziotto. Sa quando spremere e quando assuppare. Lui che ha
detto? Incidente?
ALESSI: (annuisce) Incidente.
FRANCHI: E allora incidente è.
ALESSI: (guarda l’orologio) E’ veramente tardi. Dovrebbe
arrivare a momenti. L’ispettore Bellazzi. E’ stato lui
a chiamare il magistrato di turno e il magistrato di turno ero io.
Non mi ero ancora addormentato. Ho raggiunto il luogo e…
FRANCHI: (non riesce a nascondere più l’impazienza)
Ne parliamo dopo. Dopo, con l’ispettore.
ALESSI: Allora non si riferiva a stanotte, vero? La mattina non
sono mai molto perspicace. Allora non sono ancora arrivati i verbali
della polizia?
FRANCHI: Non ha appena detto che deve venire Bellazzi? Sicuro che
li porterà lui.
ALESSI: Giusto. Aspettiamo.
FRANCHI: Aspettiamo. (mostra il giornale) Sì, ma che ci fu?
Ieri. Che è successo ieri?
ALESSI: Ieri? Alla conferenza stampa?
FRANCHI: Sediamoci, sediamoci. Vah!
ALESSI: (siedono davanti alla scrivania) La conferenza stampa è
stata brevissima.
FRANCHI: (dispiega il giornale sul tavolo) Guardi qua!
ALESSI: (Si alza a guardare il giornale) Anche oggi la foto del
vaso?
FRANCHI: Legga!
ALESSI: (Legge) Blitz della procura al museo S. Nicola. Indagini
sulle ceneri di Pirandello? (si porta una mano alla fronte). Esagerazioni.
Lo so. Lo so che lei è contro queste cose. Contro le manette
facili, contro i processi in piazza, contro le fughe di notizie.
Tutti i colleghi mi avevano avvisato. E in questi pochi mesi l’ho
potuto constatare di persona. Mi dispiace. Veramente.
FRANCHI: (si alza in piedi) Cos’è che le dispiace?
ALESSI: Non volevo. Assolutamente no. Ma che facevo? Non rispondevo?
Non gli dicevo chi ero? Non dovevo intromettermi. Questo sì.
Non dovevo fare quella domanda. Dovevo tacere. Mi deve scusare.
(Usa gesti di stizza, falsamente esagerati) Ma questi cronisti di
paese sono intollerabili. Ha ragione lei: sono dei calunniatori.
Imbrogliano i loro lettori. (in crescendo) E già! Sono pagati
a articolo e a lunghezza d’articolo. Sono pagati a peso. Al
peso delle stronzate che raccontano.
FRANCHI: Minchiate!
ALESSI: (sorpreso) Prego?
FRANCHI: (sorridendo) Lasci perdere queste minchiate. Scusciu di
carta e cubbaita nenti.
ALESSI: Come ha detto?
FRANCHI: (Si siede, invita a sedere Alessi) A cubbaita. Eh! Lei
non è di qua. Il dolce con le mandorle. Non la fanno al suo
paese, vero? Vabbè che è continentale. Ma è
quasi un anno che sta qua. Ancora non l’ha assaggiata? A me,
a noi interessa la cubbaita, la sostanza. L’incarto lo lasciamo
ai giornalisti. Su, mi racconti. (Alessi guarda stupito) E allora?
ALESSI: Ma niente. La conferenza stampa…
FRANCHI: Della conferenza stampa c’è il resoconto preciso
su La Sicilia. Lei piuttosto. Che vuol dire: se fosse falsa la fonte?
ALESSI: C’è anche questo sul giornale?
FRANCHI: Dottor Alessi, come nei verbali. A di erre: a domanda risponde.
Lei a domanda mi domanda! Allora, che ha sciaurato? Cosa ha scovato
il suo fiuto?
ALESSI: (si rilassa) E’ un’idea balzana che mi è
sorta così.
FRANCHI: Balzana? Vabbè che lei è in procura da poco.
Ma pure io la conosco e senza bisogno di colleghi. Meglio di quanto
lei creda. Non la chiami idea. Ipotesi. A quale ipotesi di reato
ha pensato?
ALESSI: Reato! Ho pensato: visto che le ceneri prese dall’urna
cineraria…
FRANCHI: Urna. La chiama urna? Quello è un vaso greco di
inestimabile valore, fra i più perfetti finora rinvenuti.
E il dipinto, perfetto, rappresenta il mito attico. Non lo conosce
il mito? Il mito di Tereo, re di Tracia e marito di Procne, che
si innamora della cognata Filomela e la violenta. E i soliti pupari
dell’Olimpo trasformano tutti in uccelli. Un mito attico molto
conosciuto. Ma lasciamo perdere la mitologia. E non parliamo per
ora di reati. Ma a lei cosa è venuto in mente?
ALESSI: Ho pensato: se quelle ceneri non sono di Luigi Pirandello,
può darsi appunto che il vaso non sia quello che le ha conservate.
FRANCHI: (appoggia le mani sulle spalle di Alessi) Geniale! Lei
è meglio di un cirneco. Ha visto come succedono le cose?
Al sovrintendente viene la fisima di fare analizzare i rimasugli
delle ceneri del cratere. Per avere il suo quarto d’ora di
notorietà. Non gli è bastata la rinomanza del ritrovamento
del vaso sperso nei magazzini sotterranei del museo. No! Vuole la
grande platea. Dopo i resti di Federico II vuole scoprire il DNA
del grande drammaturgo. Ma all’annuncio del buco nell’acqua
a lei scappa una risata, leggendo che il risultato è stato
negativo. Ieri. Questo ieri. E oggi la grande intuizione.
ALESSI: (si scrolla le mani di dosso) Macchè! E’ stata
un’idea insensata. Quel vaso è ancora al museo a pavoneggiarsi.
Altro che falso.
FRANCHI: E che significa che sta al museo? E che ne capiscono quelli,
i catalogatori? Picciotti tolti dalla disoccupazione dagli onorevoli
del momento, dalla solita legge di eterno precariato. I tecnici?
Sono ancora ancora un paio quelli che sanno distinguere un vaso
greco da un bummulo. Ma lo sa che otto anni fa il sovrintendente
mi aveva richiesto un sequestro di reperti? E lo sa cosa erano quei
reperti? Il magazzino di uno che ha la bancarella ai templi. Che
ne capiscono. Questo direttore? E’ stato messo lì dopo
che si sono giocati il vecchio, quello sì che era bravo.
Passione! Ci metteva la passione nel suo lavoro. Se lo sono giocati
con la storia degli abusivi, per la sua tolleranza, dicono.
ALESSI: (interrompendo) Per vedere le costruzioni abusive non ci
vuole l’occhio dell’esperto.
FRANCHI: Appunto. Trent’anni fa, quando le hanno costruite
queste case, dov’erano questi nuovi tutori della legalità?
C’erano già, non sono nati ieri: sovrintendenti, sindaci,
consiglieri provinciali, deputati, senatori. C’erano, magari
erano di altri partiti ma c’erano.
ALESSI: E i procuratori?
FRANCHI: (Si blocca. Medita. Gli punta il dito) Mi meraviglia! Dottor
Alessi, mi meraviglia. Non si procede d’ufficio per questi
reati. Non lo sa o se l’è scordato?
ALESSI: (abbassa lo sguardo) Mi scusi, non mi riferivo a lei. Ha
ragione.
FRANCHI: (gli appoggia la mano sulla spalla) E poi le voglio dire
una cosa. La dico a lei. In pubblico non posso dirla perché…
lei lo sa perché. Dopo trent’anni anche un omicidio
cade in prescrizione. Dopo tutti questi anni anche un assassino
ha estinto il suo reato. Non è più perseguibile. E
una casa abusiva è peggio di un assassinio? E’ così
o no? Ma io non lo posso dire perché sono l’insabbiatore.
E insabbio, a volte. A volte anche le mie convinzioni.
ALESSI: E’ proprio così.
FRANCHI: Ma torniamo al nostro discorso, vah. Cosa ha detto lo scienziato?
ALESSI: Il professor Benigni ha semplicemente ribadito che le ceneri
esaminate non sono resti umani.
FRANCHI: (indicando il giornale) Risulta che lei abbia avuto partecipazione
attiva alla conferenza stampa.
ALESSI: (Si alza, cammina per la stanza) Ho chiesto se i resti erano
o meno materia organica.
FRANCHI: E allora?
ALESSI: Di essere organica era organica. Così ha risposto:
come quanto può essere, ed è, organico un vegetale.
Pianta, legno, foglia. Insomma: gli hanno fatto esaminare cenere.
Ma cenere nell’accezione più comune del termine. Può
essere legna arsa, carbonella, cenere. Cenere cenere. Come quella
di sigaretta insomma, di un portacenere.
FRANCHI: (ridendo) Un portacenere! E che ha detto il sovrintendente?
ALESSI: (sorride forzato) Ha cercato di minimizzare. Però
quando ho risposto alla sua domanda…
FRANCHI: A lei ha domandato? E che le ha domandato?
ALESSI: Quando ho ipotizzato se fosse falsa la fonte. Mi ha chiesto
chi fossi.
FRANCHI: E lei si è presentato. Ed è scoppiato il
putiferio. (va a prendere il giornale) Il falso delle ceneri, blitz
al museo, falso il cratere attico, eccetera eccetera. Ma quelli
non saranno mai in grado di scoprirlo.
ALESSI: Scoprire cosa?
FRANCHI: Il falso. Se il vaso è falso. Dobbiamo farlo noi.
ALESSI: Noi?
FRANCHI: Non noi noi. Dobbiamo richiedere il sequestro per farlo
analizzare.
ALESSI: (cancella il mezzo sorriso) Ma è sicuro di quello
che dice? Mi scusi se mi permetto. Ma per avanzare al GIP un’istanza
di sequestro occorrono indizi concreti, reati seri.
FRANCHI: (lo interrompe con la mano sulla spalla, con piglio grave)
E quali sono i reati per ridere? Quando il suo cervello ha elaborato
l’ipotesi che lei ha esternato con la domanda al direttore,
stava raccontando una barzelletta? Non mi sembra che il sovrintendente
Castelli, l’illustre e storico paladino del parco dei templi,
abbia riso. Ha riso?
ALESSI: Non ha riso. Anzi.
FRANCHI: (sospira) Comunque non si preoccupi: la firmerò
io la richiesta di sequestro. E poi il vaso resterà lì
dov’è. Fino a quando decideremo cosa fare. Tanto…
ALESSI: Tanto cosa?
FRANCHI: Tanto sono abituati a tenere materiale sotto sequestro.
Mi viene da ridere. Sarà nominato custode giudiziario. Non
c’è da ridere?
ALESSI: Chi sarà nominato custode? Il direttore? E che c’è
da ridere?
FRANCHI: (ride di gusto) Alessi, sono le undici. Il direttore del
museo, il sovrintendente. In pratica l’attuale custode. Vabbè,
lei è nuovo. Mi spiego. Quando si effettua un sequestro di
oggetti che potrebbero avere un certo valore artistico, quadri,
roba archeologica, gli oggetti vengono portati nel caveau del museo
e il direttore viene nominato custode giudiziario. Non le viene
da ridere adesso?
ALESSI: Ma quel vaso è esposto, l’ho visto stamattina.
Non è nel caveau
FRANCHI: E noi non è che glielo facciamo portare via. Può
restarci esposto. Fin quando lei, lei avrà trovato il modo
di confermare la sua idea balzana. (non ride più) Non se
la sente? Allora le conviene tornare al museo, o indire un’altra
conferenza stampa. E confessa che al museo ha fatto solo una battuta,
per ridere.
ALESSI: (guardandolo negli occhi) Che sta cercando di dirmi?
FRANCHI: (si riprende il giornale) Dottor Alessi, è la prima
volta che finisce sul giornale? Intendo dire qui, dalle nostre parti.
Tenga, glielo regalo. E… non si preoccupi. In queste cose
non c’è da preoccuparsi. Torni al suo lavoro. Tranquillo.
Ci sono io a pararle il … A parare tutto. (gli indica la poltrona
dietro la scrivania)Torni al suo lavoro. Un’altra cosa: più
tardi verrà il professore Marletta, mio amico, per discutere
di questo vaso. Poi la chiamo. La lascio al suo lavoro.
ALESSI: A proposito di lavoro. (si porta al suo tavolo, apre una
carpetta, estrae un foglio) Volevo chiederle una cosa.
FRANCHI: (si avvicina alla scrivania) Prego, mi dica pure.
ALESSI: (titubante) E’ da un po’ che ci ragiono.
FRANCHI: Di che si tratta?
ALESSI: (gli mostra il foglio) La richiesta di rinvio a giudizio
per Guardo Nicola inteso Napolitano. Contraffazione di materiale
protetto da diritti d’autore. Neanche questa volta ha voluto
fare il nome del fornitore di canzoni napoletane e giochi per Play
Station. Sono sicuro che il maresciallo avrà dato tempo a
lui, ma più probabilmente a suo figlio, di occultare le scorte.
Non mi viene di scrivere, di completare la richiesta di rinvio a
giudizio. Di redigere la richiesta di condanna.
FRANCHI: Eh sì! Stavolta o’ Napulitano lo càrzarano.
E’ sotto sospensione. Un po’ di carcere se lo farà.
ALESSI: Appunto!
FRANCHI: (lo guarda con occhi a fessura) E che mi vuole dire?
ALESSI: Se lo merita?
FRANCHI: Che cosa? Di finire tra i malacarne? Può darsi che
così delinquente lo diventi davvero. E secondo lei non lo
è, vero? Eheee! E si sbottoni una volta, non abbia paura
a mostrarsi omo. Ha visto che comincia a capire! Se ad ogni cane
che passa gli tiri una pietra… E’ il proverbio, non
le stavo dando del tu. Lo conosce, vero? Non il proverbio, Guardo
Nicola. Ha visto come diventa difficile? Ma com’è che
lo conosce?
ALESSI: Me ne ha parlato il maresciallo Pinna.
FRANCHI: Lo conosce per interposta persona? Ma lo conoscerà.
Ci conosciamo tutti qui. E diventa sempre più difficile.
E allora… (chiedendo con la mano) E allora?
ALESSI: E allora che facciamo?
FRANCHI: Lei! Che vuole fare lei. Ho emesso avocazione? No! Io posso
solo darle consiglio.
ALESSI: Glielo sto chiedendo: che faccio?
FRANCHI: Ora ci siamo. Derubrichi. Acquisto per uso. Acquisto e
uso e non produzione e vendita. Il maresciallo le ha procurato prove
di contraffazione? No. Ci sono testimonianze di acquirenti? No.
Derubrichi. Proscioglimento e con una sanzione amministrativa sinni
esce. Però al giudice delle udienze preliminari ci parla
lei.
ALESSI: Ci posso parlare?
FRANCHI: (gli punta il dito, lo scuote per un rimprovero digitale)
E’ lei che si è sempre fissato a usare solo i canali
dei verbali, istanze, note. Parli, parli. (S’incammina verso
la porta) E appena arriva Bellazzi mi chiami. O venite da me. Faccia
un po’ come vuole. (Si gira sulla porta) Un’altra cosa.
La motivazione del ricorso in appello. A che punto è?
ALESSI: (indica il computer) Sto finendo di stendere la bozza.
FRANCHI: Lei s’è amminchiato con questo appello.
ALESSI: (si alza ad accompagnare il superiore) Ma quella sentenza
non ha senso!
FRANCHI: Ma così facendo farà incazzare il presidente
del tribunale. Vabbè! Mi raccomando allora. Non meno di venti
pagine. Almeno tante quante la motivazione della sentenza. E per
lei la prossima settimana nessun nuovo carico. Ha già un
cadavere e… deve dedicarsi al cratere di Pirandello. (si gira
proprio sulla porta) Ma è sicuro che al napolitano non lo
conosce? (esce chiudendosi la porta)
ALESSI: (torna a sedere alla sua scrivania, armeggia col computer,
parla da solo) Venti pagine almeno. Ecco qua l’appello. Facciamo
uno schema. (traccia a penna su un foglio) Da un lato le sanzioni
del dispositivo, aggravanti e attenuanti generiche e specifiche;
dall’altro lato minimo e massimo della pena, aumento per l’aggravante
e diminuzione per l’attenuante; somma e sottrazione. Adesso
non mi resta di riportare nel Word. Cominciamo a trascrivere: articolo
del codice penale, requisitoria del pubblico ministero, arringa
dell’avvocato difensore. Aggiungiamo qualche bella frase,
qualche lontanissimo riferimento ai principi costituzionali della
rieducazione della pena. E sono altre tre pagine. E adesso il nocciolo
dell’appello. Starebbe in una trentina di righe: discordanza
fra attenuanti generiche dell’articolo 62 bis C. P. e non
applicabilità ai sensi dell’articolo 60 C. P. terzo
comma. Errore di fatto e di diritto. Non mi resta che stendere il
tutto. Stamparlo e la bozza all’attenzione del procuratore
capo Franchi è pronta. Venti pagine almeno. Vediamo così
quante sono. (bussano) Avanti!
BELLAZZI: (entrando) E’ permesso?
ALESSI: (si alza) Ispettore! La stavo aspettando. (gli indica la
sedia) Si accomodi.
BELLAZZI: (posa sul tavolo una carpetta) Ci sono i verbali degli
interrogatori di stanotte e del sopralluogo. Anche quelli di stamattina,
un’ora fa. Per questo ho tardato.
ALESSI: Ottimo. Vediamo prima quello del figlio. Vediamo intanto
di eliminare l’ipotesi dell’articolo cinquecentonovantuno
del Codice Penale. Ha verificato l’assistenza domiciliare?
BELLAZZI: Per il reato di abbandono?
ALESSI: Abbandono di persona minore o incapace. Da sei mesi a cinque
anni.
BELLAZZI: Ma quale abbandono. Era accudito da una signora. Ci andava
tre volte al giorno. E il figlio lo andava a trovare ogni sera.
Di verificare ho verificato. Però lei deve essere comprensivo,
deve credermi sulla parola: verbale non ce n’è. La
signora non aveva alcun titolo, però gli faceva l’insulina,
gli preparava da mangiare e rassettava la casa. Tre volte al giorno:
alle otto, a mezzogiorno e alle sette. Tre ore al giorno e settecentomila
lire al mese. Il figlio ci andava ogni giorno quando usciva dal
lavoro. Sicuramente il signor Iaconi non era abbandonato.
ALESSI: (sorride) Va bene! Le credo anche senza verbale della signora.
Iaconi figlio è assolto perché il fatto non sussiste.
BELLAZZI: (perplesso) Dottò, mi prende in giro?
ALESSI: Quando mai? (mette di lato il fascicolo) Parliamone anziché
leggere gli a domanda risponde. Così possiamo andare al sodo.
BELLAZZI: Riassumiamo. A dare l’allarme sono stati i figli
dell’inquilino del piano di sotto. Rientrando, verso le dieci,
hanno sentito puzza di gas. Sono entrati in casa, pensando che il
malodore provenisse dal loro appartamento, e subito dopo sono saliti
al piano di sopra. La puzza l’hanno sentita più forte
da dietro la porta del Iaconi. Si sono messi a gridare. Alle loro
grida sono accorsi anche… (indica la carpetta chiusa) gli
altri due che erano nella piazzetta.
ALESSI: (Appoggia la mano sulla carpetta) Gli altri due.
BELLAZZI: Sono sempre di qui, del quartiere. Uno era per strada,
l’altro abita nella palazzina di fronte. All’inizio
erano indecisi e spaventati e non sapevano che fare.
ALESSI: Fortuna che non hanno usato il campanello.
BELLAZZI: (perplesso) Fortuna? Fortuna che quelli delle case popolari
le manutenzioni chissà quando le fanno e se le fanno? Il
campanello non funziona e neanche i citofoni. E non solo di questo
appartamento. Hanno gridato ma dall’interno non hanno avuto
risposta. La scala intanto si era riempita di tutti gli inquilini.
A un certo punto hanno sfondato la porta.
ALESSI: La porta era chiusa dall’interno con le mandate?
BELLAZZI: Sì, con due mandate. Hanno tentato d’istinto
di penetrare fino in fondo alla casa ma sono ritornati un paio di
volte indietro per prendere aria.
ALESSI: Mi chiedo: sempre al buio oppure le camere non erano sature?
BELLAZZI: Vero! Adesso capisco. (titubante) Non lo so. Se è
stato culo o sono stati accorti a non accendere luci.
ALESSI: (sorride) Fortuna. Poteva essere una strage.
BELLAZZI: Saranno stati aiutati dalla luce dei lampioni della strada.
Però prima hanno aperto i balconi e le finestre. E poi hanno
fatto la scoperta.
ALESSI: Tutti e quattro assieme?
BELLAZZI: I due figli, Canino e ..
ALESSI: E l’altro. Va bene, va bene. L’importante è:
sono entrati assieme?
BELLAZZI: Sì. Hanno anche chiuso la bombola del gas, hanno
serrato la valvola. La vecchia cucina manca di qualche pomello,
alcuni hanno solo l’alberino d’ottone. Uno di questi,
in posizione aperta, corrisponde al fornello dove…
ALESSI: C’era il pentolino con il latte bruciato. Il sopralluogo
di stanotte me lo ricordo.
BELLAZZI: Si sa, il latte è micidiale quando bolle.
ALESSI: Riflettiamoci. Il signor…
BELLAZZI: Iaconi Attilio.
ALESSI: …deve essersi allora addormentato sulla poltrona.
Che ora erano?
BELLAZZI: Quando i vicini se ne sono accorti erano le dieci e un
quarto, dieci e mezza.
ALESSI: (pensando) In casa non manca nulla. Manca qualcosa in casa?
BELAZZI: Sembra di no. Come ha potuto constatare anche lei. Non
c’è la minima traccia di ricerca.
ALESSI: Sì, non c’era traccia di alcun rovistare. Hanno
confermato tutti di aver trovato il signor Iaconi in poltrona?
BELLAZZI: Hanno detto che la vittima era proprio così. Solamente
il Canino dice di averlo scrollato un pochino. Ha cercato di svegliarlo,
dice. Poi sono entrati anche gli altri e gli hanno detto che era
morto. Quello continuava a chiamarlo. Sono usciti nel balcone e
quelli del piano di sotto hanno detto al padre di chiamare il centotredici.
Da balcone a balcone. Sono rimasti lì fuori fino all’arrivo
della nostra volante. E’ arrivata anche l’ambulanza.
Hanno constatato il decesso. Poi gli agenti hanno chiamato me. E
io a lei.
ALESSI: Cosa ne pensa?
BELLAZZI: (disorientato) Cosa ne penso di cosa?
ALESSI: Che idea s’è fatta del caso. Può essere
un omicidio?
BELAZZI: (sollevato) Per me si è trattato di un tragico incidente.
ALESSI: (convincente) Può anche essere che quel poveretto
sia morto prima della fuga di gas. Ma che importa? Infarto o asfissia,
che cambia? Anche per me non è un decesso doloso. (pensieroso)
No! Niente autopsia. Risparmiamogliela. Un incidente. Un tragico
incidente. Ispettore, prosegua come di routine. Io preparo il nulla
osta per la sepoltura.
BELLAZZI: (indica ancora la carpetta) Aspetti. E il resto?
ALESSI: Resto? Che altro c’è?
BELLAZZI: Stamattina Canino Luigi è andato nell’appartamento
a rompere i sigilli.
ALESSI: (scatta in piedi) Cosa?
BELLAZZI: I vicini di casa l’hanno visto in casa del Iaconi.
ALESSI: E che ci faceva? Ma è reato! Ma com’è
scemo?
BELLAZZI: Normale non è. A me è sembrato mezzo matto.
Ha raccontato di tentativi di suicidio e che il Signore però
non lo vuole. No no. Normale non lo è, per niente.
ALESSI: E dov’è adesso?
BELLAZZI: A piangere in commissariato.
ALESSI: L’avete fermato?
BELLAZZI: Veramente è venuto a costituirsi. Cioè.
I vicini l’hanno accompagnato a costituirsi.
ALESSI: I vicini?
BELLAZZI: Avranno avuto paura di complicanze e l’hanno costretto
a costituirsi. E adesso aspettano in commissariato.
ALESSI: Aspettano? Pure i vicini?
BELLAZZI: No, Canino. Cioè lui e la ragazzina che ha messo
incinta. I suoceri… Suoceri! I genitori della ragazza li hanno
buttati fuori di casa tutti e due.
ALESSI: (spazientito e implorante) Oh Santo Iddio. Ispettore, e
me lo dice adesso.
BELLAZZI: (indica la carpetta) Dottò, lì c’è
il verbale del primo interrogatorio. Gliel’ho detto che c’è
anche il verbale di stamattina.
ALESSI: Va bene. Lo faccia portare qui. Devo interrogarlo subito.
Intanto ho da presentare al GIP la denuncia ai sensi dell’articolo
trecentoquarantanove, per la rimozione dei sigilli. Presento anche
richiesta di mandato di perquisizione. Nell’ipotesi che in
casa manchi qualcosa. Dov’è che abita questo Canino?
BELLAZZI: Questo è un problema: non abita qui. E’ di
Enna.
ALESSI: Ma non aveva detto che abita di fronte?
BELLAZZI: I suoceri. Sta con loro. Stava.
ALESSI: Devo sentirlo subito. E poi dobbiamo fare un nuovo sopralluogo
e più attento. Avvisi i suoi colleghi della scientifica.
A proposito! Il RIS!
BELLAZZI: Il reparto Speciale Investigativo? Dobbiamo farli venire
da Messina. Ma lo ritiene necessario?
ALESSI: E’ per un’altra cosa. Ho un vaso da far analizzare.
Niente che la riguarda. Per il sopralluogo vanno bene i tecnici
della nostra questura. Non è che lei ha il recapito telefonico
del Ris? Io non ho mai avuto l’esigenza.
BELLAZZI: (cerca l’agenda nella tasca della giacca) Non credo
di averlo. Nella rubrica in ufficio sicuramente sì. Posso
informarmi mentre ordino la traduzione del Canino. (prende il cellulare
nell’altra tasca) Vedrà che ci metteranno pochi minuti
a portarlo qui.
ALESSI: (gli indica il telefono sul tavolo) Usi il mio telefono.
BELLAZZI: (al telefono) Marchica, ciao. Sono Vittorio. Sono in procura,
dal dottor Alessi. Dovete tradurre Canino qui, subito. Ho detto
ora! Un’altra cosa: sulla mia scrivania c’è l’agenda.
Mi puoi prendere il numero del RIS di Messina? (attende, scrive
sul foglio di carta che gli porge Alessi.) Grazie Nicola. (chiude
la comunicazione) Eccolo dottò.
ALESSI: (legge il numero di telefono, ripone l’appunto in
tasca) Grazie tante. Adesso occupiamoci del nostro caso. Dobbiamo
rifare il sopralluogo con la scientifica. Mi deve rintracciare Iaconi
figlio. Ci potrà aiutare. Controllare meglio se manca qualcosa
in casa. Vediamo se c’è anche il furto, oltre alla
rimozione di sigilli. Ispettore, c’è bisogno di dirlo?
Canino dovrà essere trattenuto in stato di fermo.
BELLAZZI: E la ragazzina incinta?
ALESSI: E che vuole fermare anche lei? La fa riaccompagnare a casa.
BELLAZZI: (cantilenando) Non la vogliono. Deve restare con chi l’ha
messa incinta. Qui così ragionano.
ALESSI: Vabbè, mò vediamo. Ci ragioniamo dopo, dopo
aver deciso se convalidare il fermo.
BELLAZZI: Dopo?
ALESSI: Dopo l’interrogatorio, dopo il nuovo sopralluogo.
Solleciterò anche le risultanze dell’ispezione cadaverica.
E speriamo che il medico legale non mi chieda di ricorrere all’autopsia.
Dopo. Dopo aver stabilito l’ipotesi di reato. Per ora siamo
alla rimozione di sigilli. Appuriamo se c’è anche il
furto. Ricontrolliamo la casa. Le chiavi dell’appartamento
ce le ha sempre lei?
BELLAZZI: Sì. Sono in commissariato nella busta sigillata,
come da procedura. Me le ha date il figlio.
ALESSI: (sorpreso) Quelle del figlio? E le chiavi dell’appartamento?
BELLAZZI: Dell’appartamento, e quali se no?
ALESSI: Quelle che usava il padre! Quelle che erano in casa, insomma.
Dove sono? (si guardano in silenzio per alcuni secondi)
BELLAZZI: (riflettendo) Le chiavi.
ALESSI: Comincio ad avere troppi dubbi.
BELLAZZI: Sul decesso di Iaconi?
ALESSI: Su questo Canino.
BELLAZZI: Che possa aver commesso un omicidio? E simularlo così
bene? Nooo! E perché poi? Furto? A me sembra proprio di no.
In casa non c’era nulla di valore. Quelle poche cose sembrano
ancora al loro posto. Secondo il figlio, soldi in casa ne teneva
poco. I risparmi, a libretto di deposito, li amministrava il figlio.
Incassava lui, per delega, la pensione. Pagava lui anche la signora
che non ho verbalizzato. Che motivo aveva? E poi farlo apparire
un incidente col gas? Macché! E’ un povero mentecatto.
Adesso che lo incontra se ne accorge, se ne convince anche lei.
ALESSI: (torna a sedersi) E allora che scascione aveva quello lì
di andare a rompere i sigilli?
BELLAZZI: Scascione? (sorride) Scusi dottor Alessi, ma detto da
lei fa ridere. E’ da quando è morta mia nonna che non
sentivo più scascione e parole simili.
ALESSI: Influenza della passione del mio capo per Camilleri. Parla
come i suoi personaggi.
BALLAZZI: Il procuratore capo Franchi? Ma la sua passione non è
Camilleri. Pirandello semmai. Pirandello è la sua passione.
ALESSI: (resta sorpreso a riflettere) Luigi Pirandello?
BELLAZZI: Non lo sa? Lo sanno tutti. Anche dell’amicizia con
il professore Vincenzo Marletta, il presidente del centro studi
pirandelliani.
ALESSI: (soprappensiero) Marletta è il presidente del centro
studi pirandelliani? Certo! Adesso capisco. Capisco perché
ha insistito affinché andassi alla conferenza stampa. Un’inchiesta
per passione? Un’inchiesta per passione! (suona il telefono,
torna alla scrivania) Ispettore, sono arrivati i suoi agenti con
Canino.
BELLAZZI: (uscendo) Gliel’ho detto che ci voleva poco.
ALESSI: (riflettendo) Un’inchiesta per passione.
(rientra Bellazzi accompagnando Canino)
CANINO: (si inginocchia, si butta ai piedi di Alessi, gli abbraccia
le ginocchia, piange e si dispera) Non ho fatto niente, io non ho
fatto niente. Perché non mi vuole nessuno? Nessuno mi vuole.
Neanche lui. (alza il dito al cielo) Non mi vuole nemmeno lui. Che
ho fatto? Ma che ho fatto, che ho fatto… (piange sommessamente)
ALESSI: (tenta di rialzarlo aiutato da Bellazzi) Stia calmo. Si
calmi!
CANINO: (scuotendosi da Bellazzi e indicandolo) Nun mi facissi arrestari.
Nun mi facissi arrestari.
BELLAZZI: (mettendolo a sedere) Va bene, va bene. Calma. Non ti
arresta nessuno.
ALESSI: (aspetta che Canino si calmi e smetta completamente di piangere,
gli porge la mano) Io sono Antonino Alessi.
CANINO: (titubante, afferra la mano, tenta di baciarla) Sicuro?
(indica Bellazzi) Lui. Sicuro che non mi arresta?
ALESSI: Sicuro. E lei? Lei come si chiama?
CANINO: (asciugandosi il volto) Canino Giuseppe.
ALESSI: Bene signor Giuseppe…
CANINO: Peppe. Tutti Peppe mi chiamano. (alza ancora il dito al
cielo) Solo lui non mi ha chiamato.
ALESSI: Peppe, va bene. Stava dicendo: che ho fatto. Ce lo vuole
dire che ha fatto? Che ci è andato a fare in casa Iaconi?
CANINO: Lui! Lui è stato. Pure lui mi ha chiamato. Pure u
z’Attiliu. U z’Attiliu Iacuni. L’ho sognato tutta
la notte. Tutta la notte assieme a lui ho passato. Lui seduto fermo
immobile e io a cercare di arrisbigliarlo.
ALESSI: E in sogno le ha detto di andare a casa sua? (guarda Bellazzi)
A cercare cosa?
CANINO: No! Che dovevo andare a cercare? Dovevo andare a vedere,
a controllare. Lo dovevo svegliare! E’ rimasto lì tutta
la notte, seduto in poltrona. Tutta la notte! E invece io mi sono
svegliato. Dovevo andare a vedere. Se lui era ancora là.
Dovevo svegliarlo. (gira lo sguardo in continuazione da Bellazzi
ad Alessi) Ma non c’era. ‘Un c’era!
ALESSI: L’hanno portato via. Non c’è più
in casa.
CANINO: Ma io non lo vitti portare via.
ALESSI: Dopo. L’hanno portato via stanotte, dopo che lei se
n’era andato.
CANINO: Stanotte lì era! Tutta la notte. E io lo strantuliavo
e lo chiamavo. Z’Attilio, z’Attilio. Ma non si svegliava.
Io mi sono svegliato. Però mi chiamava. Continuava a chiamarmi.
Perché u z’Attilio sempre mi chiamava. Quando passavo,
o dal balcone di fronte quando mi vedeva affacciato. Mi chiamava!
E mi sono svegliato. Mi sono svegliato e l’ho detto al patre
e alla matre di Assuntina. Che u z’Attilio mi chiamava…
ALESSI: Chi è Assuntina?
BELLAZZI: (intromettendosi) La ragazza che c’è al commissariato.
Le ho già spiegato pure dei genitori.
CANINO: Mi hanno cacciato via, a me e Assuntina. Ci hanno buttato
fuori. Non mi vogliono…
ALESSI: (guarda Bellazzi che muove il dito sulla tempia a indicare
pazzia) Il signor Iaconi l’ha chiamato. Va bene. Ma come è
entrato?
CANINO: D’a porta!
ALESSI: Come quella notte? L’ha forzata di nuovo?
CANINO: No! L’altra notte Giovanni raprì!
ALESSI: E stamattina? L’ha sfondata lei la porta?
CANINO: Noo! Non l’ho sfondata. Ho aperto. Io niente ho fatto.
Lui, u z’Attilio mi ha chiamato.
ALESSI: Ha aperto. Con le chiavi! Dove sono le chiavi?
CANINO: Le chiavi… (sbotta a piangere, si alza di scatto e
si butta ai piedi di Alessi, Bellazzi cerca di bloccarlo temendo
gesti inconsulti nei confronti del procuratore che si scansa di
scatto) Perché Dio non mi ha voluto? Perché? Perché?
(in ginocchio si toglie la camicia e mostra polsi) Taliate! Taliatimi!
Trenta punti. I vini tagliati. Trenta punti e un mari di sangu ammatula.
Sangue perso. Inutile. Perché non mi ha voluto. Non mi vuole.
Neanche lui!
ALESSI: Dove sono le chiavi?
CANINO: Neanche un’altra volta. (si avvicina ad Alessi a mostrargli
la testa) Mi sono buttato d’o ponti. Mi sono buttato! (si
butta di testa a terra a disperarsi) Così! Non mi ha voluto,
non mi ha voluto. Manco Dio mi vuole. Manco Dio mi vuole. Noooo!
Nooo! Solo Assuntina, Assuntina. Assuntinaaaaaaa!
Sipario
Fine primo atto
Atto II
La stanza del procuratore capo Franchi. Un tavolo con sedie da un
lato. Scrivania e poltrona da un altro, due sedie davanti alla scrivania.
Il direttore del museo Guido Castelli è seduto ad una di
queste sedie, di fianco ad osservare Franchi che cammina per la
stanza. Entra il sostituto Alessi. Franchi gli indica una sedia
del tavolo. Alessi si siede.
FRANCHI: (continuando con voce recitante) E’ mia abitudine
dare udienze ogni domenica mattina ai personaggi delle mie future
novelle. Non so perché ma di solito le reclama la gente più
scontenta del mondo. Io ascolto tutti con sopportazione. Ma essere
gabbato non mi piace. E voglio penetrare in fondo al loro animo
con lunga e sottile indagine. (si gira di scatto verso Alessi indicandolo
col dito)
ALESSI: (rispondendo con prontezza istintiva) Luigi Pirandello.
Manco a dirlo. Però…(mostra alcuni fogli).
FRANCHI: Bravo! Non vi sembrano le parole di un giudice? Meglio,
di un procuratore? Sono sicuro. Se non l’avesse pigliato il
sacro fuoco dell’arte. Se non fosse nato qui dove è
nato. Se non fosse stato figlio del Caos. Sarebbe stato giudice.
Non necessariamente di carriera. Giudice. Di paese. (a Castelli)
Lo sa? Nei paesi, una volta, i giudici di nomina, non di professione,
risolvevano le piccole controversie. Ogni domenica dalle otto all’una
tenevano udienza. Di domenica, all’ora di messa. Facevano
concorrenza alla Madonna, alla Madonna delle udienze. Chi voleva
una sentenza giusta si recava dal giudice. Chi voleva una sentenza
misericordiosa si recava in chiesa. (punta il dito su Alessi) Oggi
è domenica? (si avvicina a reclamare risposta) E’ domenica
oggi?
ALESSI: (perplesso) No.
FRANCHI: E facciamo finta che lo sia. (rivolto a Castelli, gli si
china quasi a sfiorargli la testa) Lei quale udienza vuole? La giusta
o la misericordiosa?
CASTELLI: (vorrebbe alzarsi ma è sovrastato, non può
farlo senza uno scontro fisico. Si scansa di lato a sfuggire l’incombenza
del procuratore) Niente. Nessuna. (cerca di scostarlo) Mi faccia
alzare. Mi faccia andare via.
FRANCHI: (si sposta lentamente. Fa una riverenza e indica la porta)
Lei è venuto. E’ venuto lei.
CASTELLI: (si alza, si allontana quasi di corsa) E’ pazzo!
Lei è pazzo.
FRANCHI: Lei me l’ha chiesto. E’ venuto lei a chiedermi
di tirare la corda civile
CASTELLI: Lei è pazzo.
FRANCHI: Ho sbagliato? Ho sbagliato. Ho girato la corda sbagliata.
CASTELLI: E con questa assurda storia lo sapranno tutti. Che è
pazzo! (Esce sbattendo la porta)
(Franchi e Alessi restano in silenzio per qualche secondo. Franchi
comincia a sorridere)
ALESSI: (severo, osserva il procuratore) Perché?
FRANCHI: (si rassetta l’abito, fa un cenno d’inchino)
Le è piaciuta?
ALESSI: (nervosamente) Perché? Perché questa messinscena?
Mi ha fatto chiamare per avere la claque? Non mi pagano per questo.
FRANCHI: (ironico) Mi perdoni, dottor Alessi. Non intendevo distoglierla
dalle sue ragguardevoli funzioni. Non è nelle mie intenzioni.
ALESSI: (incalzante) E quali sono le sue intenzioni? Divertirsi?
E allora lo dica che non è una cosa seria.
FRANCHI: Bravo! Eh Pirandello!
ALESSI: E non intavoli un’altra comparsata. Non con me.
FRANCHI: (bisbiglia a capo chino parole incomprensibili)
ALESSI: Cosa dice?
FRANCHI: Testimone!
ALESSI: Come?
FRANCHI: Testimone. L’ho fatta chiamare perché avevo
bisogno di un testimone. Ma appena lei è entrato, lui è
scappato. Ha visto come è scappato?
ALESSI: Era meglio che non avessi visto.
FRANCHI: (ignorando la provocazione) Il professore Castelli si era
fatto preannunciare dai suoi importanti e potenti amici. Per telefono.
Una processione di telefonate. Sapevo che cosa mi veniva a dire.
Ma non me lo ha detto francamente, con lealtà. Ha iniziato
a recitare. Lui ha iniziato a recitare. U birrittu cu i ciancianeddi.
Sa che conosco bene Pirandello e tutte le rappresentazioni.
ALESSI: L’ho visto!
FRANCHI: Pessima recita, quella di Castelli. E’ venuto per
avvertirmi. Un avvertimento. Di usare la corda giusta. Lei conosce
Ciampa? Lo ha mai letto Il berretto a sonagli? Ciampa ci insegna.
Ci insegna che tutti noi abbiamo tre corde: la seria, la civile
e la pazza. Ha iniziato lui a recitare. La parte di Ciampa è
venuto a fare. (recitando) Ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un
l’altro, come cani arrabbiati. (adirato) E’ venuto a
minacciarmi. (calmo) E io ho fatto come Ciampa. Ho usato la corda
civile. Gli ho detto: le risulta che io abbia incriminato o fatto
incriminare qualcuno? C’è qualche iscritto nel registro
degli indagati? C’è il nome Castelli in quel registro?
Vada a vedere, vada a leggerlo. No! Non c’è nessuno.
Ma lui ha timore, paura. Terrore. E ha cambiato commedia: Quando
si è qualcuno. E quel qualcuno sono io. Io, schiavo della
forma che mi sono dato e in cui gli altri mi riconoscono, mi vogliono
riconoscere, ancora una volta piace riconoscermi. Io, l’insabbiatore.
Questo è venuto a dirmi. Ma io non l’ho cambiata la
sua commedia. Ho solamente cambiato corda. Ho girato la corda seria.
Per chiarire le cose. Gli ho detto: dottor Castelli, ma lei che
c’ha da temere? Stiamo indagando su fatti avvenuti molti anni
fa.
ALESSI: Troppi. (mostra un foglio) Appunto…
FRANCHI: (infastidito dall’interruzione) Ma lui ancora di
più a tremare e minacciare, a invocare gli amici potenti.
Gli ho chiesto: mi sta minacciando? E lui a continuare. Mi ha detto
che sono stati gli amici a farmi diventare un monumento. Devo esserlo
fino alla fine, tanto manca poco. Sono una statua. Vero! Ma la statua
gli altri, gli altri me l’hanno fatta. E io la distruggo!
La distruggo. Ma ancora lei non lo capisce? Non mi capisce? Questa
statua è la Forma, solo forma. La Vita, la mia vita è
garantismo, diritto, certezza del diritto! E’ rispetto dell’imputato,
è presunzione d’innocenza. Sempre. E non solo quando
conviene o quando è di moda. Per tutti, potenti e morti di
fame. Sempre. Non è mai stata deferenza. Rispetto sì.
Rispetto, ma per il diritto. Per il diritto. Da una vita. No, mi
lasci continuare. Ma almeno avesse tirato una sua corda. Sua! Civile,
seria, pazza. Ma che fosse stata sua. Parlava per bocca degli amici.
Mi avesse spiegato la sua paura. Questo suo terrore della falsità
del cratere. Di questa eventualità, del dubbio…
ALESSI: (insofferente gli mette il foglio in mano) Appunto! Non
c’è più alcun dubbio. Di essere falso è
falso. Il vaso è falso.
FRANCHI: (sorpreso e soddisfatto) E’ falso? Sicuro?
ALESSI: (indicando il foglio nelle mani del capo) Falso. E il vaso
non è neanche antico.
FRANCHI: (cerca di leggere) Cos’è?
ALESSI: Il risultato dell’esame della termoluminescenza.
FRANCHI: (eccitato, ritornando il foglio ad Alessi) Che dice che
dice.
ALESSI: Gliel’ho appena detto: il vaso non è antico.
FRANCHI: Siamo sicuri?
ALESSI: Secondo la relazione sì. Leggo: la ceramica, e tutti
i materiali a struttura cristallina, contengono piccole quantità
di elementi radioattivi che decadono a velocità costante
e nota, emettendo radiazioni che bombardano la struttura con elettroni.
Secondo la misurazione…
FRANCHI: Ma che lingua sta parlando? Lei l’ha già letta?
E me lo spieghi allora invece di leggere.
ALESSI: (richiamandosi alla pazienza) Riscaldando il materiale fino
a una temperatura di cinquecento gradi centigradi, questo emette
luce, la termoluminescenza. Misurando questa termo…
FRANCHI: Questa luce.
ALESSI: E’ possibile calcolare il tempo trascorso a partire
dalla cottura originale del pezzo.
FRANCHI: E allora? Quanto tempo è passato?
ALESSI: Cento anni.
FANCHI: (sbalordito) Come?
ALESSI: Cento anni approssimativamente. Perché datazioni
inferiori non è possibile misurarle.
FANCHI: Minchia! Allora alla conferenza stampa lei ci ha preso in
pieno! Ci ha azzeccato meglio di un mago. Anche il cratere cangiato
dalle donne!
ALESSI: Cosa?
FRANCHI: La favola del figlio cambiato. Ma niente, niente. (soddisfatto)
Il cratere di Pirandello è un falso.
ALESSI: (tace pensieroso per qualche secondo) E’ un falso.
E però? Di che può avere paura il dottor Castelli?
Non abbiamo ipotesi di reato. Potevamo parlarne ma lei l’ha
fatto scappare. Potevamo formulare alcune ipotesi.
FRANCHI: E che sperava di averle da lui le ipotesi? Da Castelli?
Macché! Le avremo, le avremo. Ho rintracciato il professore
Martello. Ce le darà lui.
ALESSI (Indica la porta) E … con lui?
FRANCHI: Castelli? Niente. Lui chissà cosa si aspetta. Che
si aspetti quel che vuole: carabinieri a interrogare impiegati,
perquisizioni, mandati, avvisi. Niente.
ALESSI: Meglio così.
FRANCHI: (guarda l’orologio) Aspettiamo di parlare con il
professore Martello. (siede rilassato) Aspettiamo. E il resto del
suo lavoro? Come va?
ALESSI: La motivazione dell’appello è stata depositata.
FRANCHI: So che il caso Iaconi si è complicato. Sbrogli presto
questa matassa, prima che si complichi troppo.
ALESSI: (sospettoso) Complicato?
FANCHI: Ho parlato con l’ispettore Bellazzi. Mi ha detto di
comportamenti molto sospetti di questo Canino. Mi ha parlato anche
di quest’altra sua intuizione: la chiave. E l’avete
trovata. Giusta anche questa.
ALESSI: (gira per la stanza) Mi sto chiedendo se sia bastevole come
prova. Se sia sufficiente.
FRANCHI: Non deve essere lei a trarne le conclusioni. Questo è
compito del giudice. Dei giudici. Anzi: è il momento che
lei concluda.
ALESSI: Concludere?
FRANCHI: E certo! Dottor Alessi, vuole farla fuori dal rinale?
ALESSI: Che significa? Si riferisce alla competenza?
FRANCHI: Vuole rischiare di rendere nulli tutti gli atti procedurali?
ALESSI: Per vizio di competenza?
FRANCHI: E che se no?
ALESSI: Lei crede che debba passare la mano alla procura della corte
di assise?
FRANCHI: (ironico) Ma lei me lo fa apposta? A quante domande siamo?
Le risposte le riassumiamo tutte all’ultimo? Ormai lo sa che
non sopporto che mi si risponda con un’altra domanda. Lo sa.
Dottor Alessi, come lo devo spiegare? L’omicidio non è
competenza del tribunale. A questo punto lei non può fare
altro che redigere le sue conclusioni. Io avallerò l’ipotesi
di reato maggiore e relativa connessione per il reato minore, per
la rimozione di sigilli. Siete stati bravi, lei e il nostro ispettore
Bellazzi. Sarà compito della superiore procura continuare
le indagini ed emettere i provvedimenti del caso.
ALESSI: Canino è a piede libero.
FRANCHI: E che lo voleva far arrestare per rimozione di sigilli.
Ci penserà la procura superiore. Il caso per noi è
chiuso.
(Bussano)
FRANCHI: Avanti.
MARTELLO: (introduce la testa) Mi hanno detto che potevo bussare.
FRANCHI: (si alza, va dal nuovo arrivato, lo abbraccia) Nunzio.
Finalmente. (lo accompagna al tavolo)
MARTELLO: Finalmente io lo devo dire. Finalmente!
FRANCHI: (chiama Alessi) Ti presento il sostituto Alessi. E’
stato lui l’assertore, il fautore.
MARTELLO: E chi tu? Dopo vent’anni!
ALESSI: (si presentano) Antonino, piacere.
MARTELLO: Nunzio. (indica Franchi) Per gli amici Nunù.
FRANCHI: Sediamoci, sediamoci. Nunù, che si dice a Pantelleria?
MARTELLO: Erice ieri si vedeva. Aria tersa. Come quando me ne sono
andato.
FRANCHI: Così ti avevano mandato ad Erice?
MARTELLO: Vice sovrintendente a Trapani. Distaccato ad Erice. Vice
distaccato. Dopo quasi trent’anni di fulgida carriera. Distaccato.
FRANCHI: Non ti sei più fatto sentire. Neanche una telefonata,
dirci dov’eri. Neanche ci hai salutato e… Sei sparito!
MARTELLO: Ad Erice ci sono rimasto pochissimo. Ero troppo incazzato.
Con nemici e anche con gli amici. Mi sono dimesso subito. Distaccato!
Appena avvistato Pantelleria ho deciso. Potevo andarmene in pensione,
avevo i requisiti. E ci sono andato. I figli erano fuori, al nord.
E io… a sud o più a sud che cambia? Ho preso un vecchio
dammuso e ci ho piantato casa. Ma l’ho lasciato per come era,
per come è nato: una casa colonica, casa di contadini. E
io il contadino faccio. Tu piuttosto…
FRANCHI: Io?
MARTELLO: Mi hai trovato! Potevi cercarmi anche prima.
FRANCHI: (abbassa lo sguardo fra le ginocchia) Avevo l’impressione
che non volevi essere cercato. E avevo indovinato. Amici e nemici.
Hai detto così, no?
MARTELLO: Hai aspettato quasi vent’anni per venirmi a cercare?
A chiedermi il perché? La legge ha impiegato vent’anni
per capire? O solo ora ti è permesso?
FRANCHI: Permesso cosa? (indica Alessi) Ti ho detto che è
lui l’artefice. Lo scopritore del vaso.
MARTELLO: Pure io sono partito dal vaso. E sono arrivato a Erice.
Capolinea. Meglio così. Lì siamo felici, io e mia
moglie. Però tutto è stato messo a tacere. All’inizio
ho aspettato. Ti avevo scritto una lettera. A cui non ti sei degnato
di rispondere.
FRANCHI: Lettera? Io non ho ricevuto nessuna lettera.
MARTELLO: Sì, l’hai persa! Bah!
FRANCHI: Ti giuro!
MARTELLO: (scaccia il discorso con una mano) Per qualche mese ho
aspettato. Ho aspettato. Chissà che cosa. Ma niente. E allora
ho pensato: vaffanculo a tutti e buonanotte. Ho lasciato baracca
e, senza offesa, burattini e ho trovato il mio paradiso.
FRANCHI: Messo a tacere? Ma di che stai parlando?
MARTELLO: Come di che sto parlando? Delle dislocazioni diverse delle
opere d’arte. Ma allora che ci sono venuto a fare qua? A cercare
le ceneri di Pirandello? Quelle sono state ripulita chissà
quante volte.
FRANCHI: Il vaso è stato ripulito?
MARTELLO: Marletta ti ha rincoglionito completamente. (comincia
a ridere) Marletta. L’ho pensato che ci fosse la sua grinfia.
Del tuo carissimo amico.
FRANCHI: (spazientito) Ma di che vai sparlando?
MARTELLO: Ma ti capisco. Allora eri più giovane. Avevi altro
a cui pensare. La carriera. Eri ancora un sostituto. Questo a tua
giustificazione. Come dite voi: a tua discolpa.
FRANCHI: Racconta un po’. Di cos’è che dovrei
giustificarmi?
MARTELLO: Dici vero? Allora non ne hai mai capito niente?
FRANCHI: E di che? Del perché te ne sei andato? Te ne sei
fuiuto! Manco avessi il diavolo alle calcagna.
MARTELLO: E ce l’avevo. Oppure ero io indiavolato: incazzato
nero. Ce l’avevo con tutti.
FRANCHI: Anche con me?
MARTELLO: Con tutti. E speravo che qualcun altro, tu, ci mettesse
il naso. E ti ho scritto.
FRANCHI: (si alza, mimando perplessità e ignoranza) Il naso
in che cosa? Ma di che parli?
MARTELLO: Come di che parlo? Ma del cratere. Mi hai mandato a chiamare.
Sono qui per questo o no? E perché sono qua allora? Va bene,
parla tu. Perché mi hai chiamato? Che vuoi sapere?
FRANCHI: Va bene. Però poi mi spieghi. Anche di questa fantomatica
lettera. Dopo. Con calma. Allora. Ti spiego: io, noi stiamo cercando
di fare luce su un mistero.
MARTELLO (sorridendo scettico) Adesso sei diventato veggente? Adesso?
FRANCHI: Almeno ti capirei! Allora e anche adesso. Nunzio, non mi
credi? (si alza)
MARTELLO: (si alza, abbraccia Franchi) Scusami. Sto esagerando.
Ora basta. Ti chiedo scusa. (si siede e gli fa segno sulla sedia
al suo fianco) Continua.
FRANCHI: (torna a sedere) Il nostro è un mistero legale.
Anche legale. Che nasce da una fulgida intuizione del dottor Alessi.
ALESSI: (un po’ imbarazzato) Veramente è nato tutto
da una risata.
MARTELLO: Da una risata?
FRANCHI: Sì, ma la cosa non è per niente da ridere.
Vuole spiegarlo lei dottor Alessi?
ALESSI: La risata c’è stata. Quando ho letto la notizia…
FRANCHI: Nel mentre passavo io per il corridoio è l’ho
sentito ridere. Mi sono incuriosito e ho bussato. (ad Alessi facendogli
cenno di continuare) Scusi l’interruzione.
MARTELLO: E qual era ‘sta notizia ridicola?
ALESSI: L’annuncio che l’esame del DNA sulle ceneri
di Pirandello era fallita.
FRANCHI: Fallita! Le ceneri di Pirandello non erano le sue spoglie
ma cenere cenere. Cenere vegetale. Così ha esposto lo scienziato
Benigni. Fra la mortificazione di Castelli.
MARTELLO: Castelli mortificato? Quel pallone gonfiato? Me la sono
persa questa. Te la sei goduta tutta, ah Giuggiù?
FRANCHI: Veramente non me la sono goduta manco io. C’era però
il mio sostituto.
ALESSI: Mi ci ha mandato lei.
FRANCHI: E ho fatto bene. Io avevo impegni improrogabili. Ma continui.
Gli racconti come gli ha fatto drizzare i capelli a Castelli. Glielo
dica al professore Martello.
ALESSI: (siede, estrae dei fogli da una carpetta, da uno legge di
tanto in tanto, in un altro segnerà degli appunti durante
l’esposizione di Martello) Molto brevemente.
FRANCHI: Non sia modesto. (a Martello) Ha avuto un lampo di genio
che ha fatto tremare il culo al nostro sovrintendente.
MARTELLO: Che lampo?
FRANCHI: E se fosse falso il vaso? E il culo ancora gli trema. Sapessi
come si è presentato stamattina! A lisciare e a questuare.
A menzionare amici potenti. Amici miei. Ma non lo sa che ormai non
ne ho più. E allora ha cominciato a minacciare. Provvedimenti
di amici suoi. Amici suoi, amici miei. Non mi interessa più.
Non interesso più a nessuno come amico. (punta il dito su
Martello) Tranne quelli veri.
MARTELLO: Che stai cercando di dirmi?
FRANCHI: Che dal mese prossimo me ne vado in pensione anch’io.
Che dici, si trova un dammuso da acquistare a Pantelleria?
MARTELLO: Dovevi starmi vicino allora. Ne parliamo dopo, va bene.
Comunque, si può vedere. Ma me lo fai spiegare giusto? (indica
Alessi) Non lo fai parlare.
ALESSI: Al dunque: le ceneri non sono di Pirandello, non sono umane.
Anche il vaso non è originale. E’ un manufatto recente.
Vorremmo scoprire se e quando c’è stata una sottrazione
del reperto. Magari scoprire i responsabili.
FRANCHI: E tu potresti aiutarci.
MARTELLO: (ruota le tre dita a mimare il furto) Pensate che Castelli
possa aver fatto qualche tracchiggio? A questo non ci credo.
FRANCHI: Lui ha una paura terribile!
MARTELLO: Lo so io di che ha paura. Castelli è un pavido,
un lacchè, un arrivista. Facciolo. Ma non è un ladro.
FRANCHI: Comunque non ci fa una bella figura ad aver tenuto esposto
per più di cinque anni un falso. Tu puoi spiegarci. Sei stato
tu a reclamarlo dalla casa del Caos. O no?
MARTELLO: O no? O sì! Però prima dovete sapere. (a
Franchi) Dici che vuoi capire? Ma voi non sapete. Le vicissitudini
e le traversie di questo vaso sono state quasi quanto quelle di
Ulisse. (punta l’indice sull’amico) Tu dovresti saperlo,
Giuggiù. Non facevi parte anche tu del centro studi?
FRANCHI: Lascia stare quello che dovrei sapere io. Se no non ce
la facciamo prima di notte.
MARTELLO: E continuiamo domani. Che premura c’è? Avete
aspettato tutti questi anni. Notte più, notte meno. Non mi
hai detto che sono ospite tuo? (si mette a ridere, anche Franchi)
Comunque credo di saperne più di te, (calcando) anche se
io non ero nel vostro circolo.
FRANCHI: E io apposta ho cercato te.
MARTELLO: (assume il tono, basso e lento, di inizio narrazione)
Il vaso è un cratere attico.
ALESSI: (intromettendosi) Questo lo sappiamo. Il mito di Tereo,
il re dei Traci trasformato in upupa.
MARTELLO: (indicandolo) Ha letto Ovidio?
ALESSI: Dante.
MARTELLO: (si alza, decanta camminando) Purgatorio. Canto nono.
Ne l’ora che comincia i tristi lai la rondinella presso a
la mattina, forse a memoria dei suoi primi guai e che la mente nostra,
a le sue visioni quasi è divina…
FRANCHI: Vuoi recitarci tutta la divina commedia?
MARTELLO: No. Versi tredici diciotto. Però prima Dante aveva
detto: presso al mattin del ver si sapeva…
FRANCHI: (lo tira per la giacca) E basta. A me interessa la storia,
non la letteratura.
MARTELLO: (torna a sedere) La storia. Il vaso piaceva molto a Luigi
Pirandello. E il padre glielo promise. Però il cratere entrò
nella casa romana solo dopo la morte di don Stefano. Se cerchi chi
può aver rubato l’originale, ne hai voglia. Già
qui a Girgenti, nella casa disabitata del padre, chiunque poteva
sostituirlo. E poi…
ALESSI: Scusi se la interrompo. Se fosse stato allora, lei non se
ne sarebbe accorto?
MARTELLO: (ridendo) E che ero di guardia a casa Pirandello?
FRANCHI: Intendo dire: non hai mai esaminato il vaso?
MARTELLO: No. Appunto per questo mi trasferirono. Mi cacciarono
prima di averlo fra le mani. O affinché non lo avessi fra
le mani. Il vaso e il resto. Oppure perché… non potevo
riaverlo. Né il vaso, né il resto. (guarda Franchi
che gli fa cenno di rinviare) E tu non te ne sei neanche accorto.
Habbiamo detto dopo? E di questo ne parliamo dopo.
FRANCHI: Va bene. E poi?
MARTELLO: I figli, rispettando le ultime volontà paterne…
FRANCHI: Sia il mio corpo eccetera eccetera. Questo lo so. Il vaso
raccoglie le sue ceneri. Andiamo avanti.
MARTELLO: Mih! Ma interrompi sempre. (a Alessi) Ma lei come ci combatte
con questo capo.
FRANCHI: Ne avrà ancora per poco. Ma continua.
MARTELLO: Dopo la cremazione, le ceneri e il vaso, vennero conservate
per dieci anni nel cimitero del Verano a Roma.
ALESSI: A norma di legge.
MARTELLO: Pure lei interrompe?
FRANCHI: La stessa che vietava lo spargimento delle ceneri. Adesso
abrogata. Continua Nù!
MARTELLO: Aspetta, aspetta. Era vietato?
ALESSI: Articolo 411 comma primo Codice Penale. Era considerato
alla stessa stregua del vilipendio di cadavere.
MARTELLO: Esaudire le ultime volontà di Luigi Pirandello
quindi era reato? E fino a quando?
ALESSI: Ormai è stato abrogato dalla legge 130 del 2001 e
lo ius superveniens …
FRANCHI: Nunù, ma com’è tutto questo interesse
per la legge? Ma perché ti interessa? Continuiamo no?
MARTELLO: Lo so io perché mi interessa. Lo so io chi ha commesso
questo reato.
ALESSI: Ormai non ha più importanza, infatti stavo dicendo
che lo ius superveniens è sempre in favor rei…
FANCHI: Dottor Alessi, anche lei! Con questo sfizio di parlare latino?
ALESSI: (con ironia) Lo stesso suo di parlare il vigatese camilleriano.
Lo vogliamo chiamare vezzo?
MARTELLO: (ridendo) Camilleri? E la tesi di laurea di Luigi Pirandello
non ce la mette? Suoni e sviluppi sonori della parlata Girgentana.
Diglielo Giuggiù!
FRANCHI: E va bè! Che facciamo? Ma di che minchia stavamo
parlando ce lo siamo scordati?
MARTELLO: Del Verano. Stavo dicendo che il cratere è rimasto
dieci anni al cimitero del Verano. Incustodito fino al 1946. E anche
qui se furto c’è stato… Va trovalo! Continuo.
(Si alza, ricordando) Nel 1946 l’onorevole Gaspare Ambrosiani,
deputato dell’assemblea costituente nonché appassionato
cultore dell’opera pirandelliana, ottiene le debite autorizzazioni
ministeriali per esaudire le volontà testamentarie del grande
drammaturgo. Però dovete sapere che l’onorevole Ambrosiani…
FRANCHI: (ansioso) E’ importante? Per favore.
MARTELLO: Come non detto. Le volontà che sono anche dei figli.
FANCHI: Essere murato nella rozza pietra di Girgenti. E allora?
MARTELLO: Mih! Mi interrompi a ogni punto. E ora! (mima lo svuotare
di un sacco) Che sono sacco che sdivaco? Aspetta. Allora. Qui viene
da ridere. Vicende pirandelliane. Ambrosini aveva ottenuto, dalle
forze armate americane, l’uso di un aereo. Solo che i piloti,
venuti a conoscenza del tipo di missione, si rifiutarono di prendere
il volo, simulando un’avaria.
FRANCHI: E che c’è da ridere?
MARTELLO: Ho detto simulando. In verità avevano scoperto
le aspirazioni dello scrittore: siano le mie ceneri sparse al vento.
Non capite? I piloti, temendo che la sua volontà potesse
compiersi proprio durante il volo, precipitando, (mima il gesto
dell’ombrello) si rifiutarono.
ALESSI: (divertito) E li posso comprendere. Io ho una paura insuperabile
di volare. E senza bisogno di premonizioni. E che succede allora?
MARTELLO: L’onorevole si fa allestire una littorina che arriva
in pompa magna nella stazione centrale di Agrigento. Il cratere
resta, con tutte le ceneri, per quindici anni nel museo. In attesa
che fosse allestita la dimora definitiva sotto al pino solitario.
Nel mentre si lavora al restauro della casa natale. (blocca la narrazione,
guarda Alessi) Non sapevo che era vietato lo spargimento delle ceneri.
FRANCHI: Continua Nu!
MARTELLO: Poteva essere denunciato? (ride anche se cerca di trattenersi)
Lo potevano arrestare? Giugiù, poteva essere arrestato?
FRANCHI: (guarda Alessi sbigottito) Ma chi?
MARTELLO: (gli fa cenno di aspettare, recupera il fiato) Quello
lì. Come si chiamava? Il cerimoniere. L’illustre letterato.
Come minchia si chiama? Comunque. Quando posero le ceneri nell’urna,
l’urna che fu murata nel masso sotto il pino. (riprende a
ridere) Hai capito di chi parlo? (Franchi annuisce) L’urna
era troppo piccola per contenerle tutte. Le ceneri. Allora che fa!
Ha l’alzata d’ingegno: realizzare pienamente la volontà
del suo vate maestro. Afferra il vaso con le ceneri assuperchiate
e lo svuota. Lo scuote all’aria affinché le spoglie
raggiungano il sottostante dirupo e il mare africano, compiendo
appieno la volontà di Luigi Pirnadello. Solo che il vento
soffiava da scirocco e… (non riesce a trattenersi, ride fino
alle lacrime. Ridono anche Franchi e Alessi) Ebbene. Il vento contrario
gli ritorna le ceneri in faccia. Lui, sorpreso, ha un sussulto e
fa un gran respiro e… (aspira profondamente) E assorbe per
inalazione il suo maestro. Il massimo. Il massimo della sua…
della sua … aspirazione. Aspirazione. (ridono e hanno bisogno
di tempo per riprendersi) E ha commesso pure reato! Giù,
poteva essere arrestato?
FRANCHI: (scemando le risate e asciugandosi gli occhi) Arrestato
no, però… Lasciamo perdere. Stavamo parlando dell’inaugurazione…
MARTELLO: L’inaugurazione della casa museo del Caos. (assumendo
serietà) E’ stato proprio questo il problema. La casa
del Caos era comunale.
ALESSI: In che senso?
MARTELLO: Adagio, con ordine. Il vaso resta nella casa del Caos
per dodici anni, fino al 1973. L’anno nefasto. Portate pazienza
e non interrompetemi, se no facciamo davvero notte. L’anno
prima io divento sovrintendente. E finiscono i lavori del nuovo
museo, nella valle.
FRANCHI: Io non ti interrompo ma tu cerca di essere più chiaro.
Che centra? Spiegami perché hai voluto trasferire il vaso.
MARTELLO: (si spazientisce) E però lo fai! Interrompi. Ora
vengo e mi spiego. La casa natale di Pirandello era stata acquisita
dal comune di Agrigento. Il comune l’aveva restaurata e aperta
al pubblico. La fondazione aveva contribuito alla casa museo versando
cimeli e i documenti. Il cratere attico non so se venne donato dai
familiari. Sicuramente venne acquisito dalla sovrintendenza anche
se non c’è nessun atto formale. Però dopo il
travaso delle ceneri rimase al Caos.
ALESSI: Con quale motivazione?
MARTELLO: Non lo so. Fatto sta che quando dobbiamo, io veramente,
organizzare l’esposizione nelle nuove sale del museo San Nicola,
il cratere attico è inventariato fra i beni del museo, anche
se esposto nella casa natale. Per organizzare le nuove esposizioni,
cerco di effettuare una catalogazione dei reperti più interessanti
e della medesima sfera artistica. Cerchiamo nei magazzini. Ma non
solo. (aspetta l’interruzione)
ALESSI: (guarda Franchi che si alza e ignora il collega) Non solo
cosa?
MARTELLO: Dove! Non solo dove, no non solo cosa. Cerco di recuperare
tutti i pezzi temporaneamente in custodia e affidamento. Pezzi pregiati,
molto pregiati. Pezzi attinenti alle nuove mostre: anfore, statue,
vasi, maschere, monili. Epoca greca e romana. Per il momento ignoro
tutti i reperti di era medioevale e rinascimentale, quadri soprattutto.
FRANCHI: (ad annullare divagazioni) In custodia dove? A chi?
MARTELLO: (sorridendo all’interruzione) Ovunque. Agrigento
e provincia. Presso istituti scolastici. Nelle sale del comune,
della provincia, prefettura, tribunali. Tribunali. (guarda Franchi
di sbieco) Forse anche nella stanza del tuo capo. Quello di allora.
Anche nelle case private di varie autorità. Case pri-va-te.
FRANCHI: (riflettendo) Anche di amici. Amici e nemici. Ora capisco.
Capisco anche Castelli.
MARTELLO: (avvicinandosi a Franchi, gli appoggia una mano sulla
spalla) No, Giuggiù. Non t’amareggiare. Non ho rancori
verso di te. E neanche verso Marletta.
FRANCHI: Che centra Marletta.
MARTELLO: (ignorando la domanda) Era la rabbia del momento. Era
un fatto normale. Non la rabbia. Forse era normale anche la rabbia.
Vabbè! Dicevo che era un fatto normale che sale e importanti
uffici amministrativi fossero adornati di opere d’arte, in
attesa di degna collocazione. Era normale. Così come credevo
normale che si dovessero esporre nel nuovo, e sicuro, museo regionale.
(raccoglie fiato e ricordi) La sovrintendenza, cioè io, ha
inviato una lettera a tutti i custodi ufficiali annotati nel registro
dei reperti affidati. Una lettera di invito a rendere disponibili
i cimeli custoditi. A consegnare o consentire il ritiro. Ho firmato
una cinquantina di lettere. Un primo blocco. Per i reperti che ritenevo,
in base alla descrizione inventariale, più consoni all’esposizione
nelle sale da dedicare all’arte della Magna Grecia. Una di
queste lettere era indirizzata al presidente del centro studi pirandelliani.
Era il centro, per civica delega, che curava la casa del Caos.
FRANCHI: (sbalordito) Marletta?
MARTELLO: (annuendo) A Marletta.
FRANCHI: Allora è a lui che ti riferisci a proposito di amici
e nemici. A Marletta!
MARTELLO: (fa una smorfia, dissente) Ti ho detto di lasciare perdere.
Basta! (abbassa il tono) Forse hanno voluto farmelo credere.
FRANCHI: Credere cosa?
MARTELLO: Che la causa del mio trasferimento sia stato Marletta.
Ma lasciamo perdere. Non l’ho bevuta neanche allora. Quasi
sicuramente. Sicuro. Dicevamo del vaso.
ALESSI: (cercando di riportare la discussione all’argomento,
meditando e facendo di conto) Il vaso di Pirandello rientra al museo.
E il resto? Il resto! Lei era già andato via, giusto?
MARTELLO: Il ragazzo sì che ha capito. Già. E il resto?
Lo so che il cratere è arrivato al museo subito. Ma io non
l’ho visto. Non ho fatto in tempo. Ha fatto prima la lettera
di trasferimento. Il resto. Andate a chiederlo al mio successore.
FRANCHI: Castelli?
MARTELLO: (fende l’aria con la mano con fastidio) Macchè!
A Calogera Gallo. Lilla Gallo. Lei prese il mio posto. Chiedetelo
a lei. Del vaso e, soprattutto, del resto.
FRANCHI: (ad Alessi) Calogera Gallo. Ha segnato? Ma io a questa
non lo ricordo.
MARTELLO: (sedendo) Se non ricordo male si stava occupando personalmente
degli scavi delle antiche mura di Gela. E continuò a seguirli.
E poi rimase poco ad Agrigento. La fecero restare molto poco. Giusto
il tempo di liquidare me e la questione.
FRANCHI: (sedendosi anche lui) Calogera Gallo. Chiederemo chiederemo.
A lei e a Castelli. Chiederemo anche… (guardando Alessi) anche
del resto.
MARTELLO: (sospirando) Prima. Prima dovevi chiedere. Ormai …
FRANCHI: Chi tarda non manca. Io ho tardato… ma non mancherò
MARTELLO: Stavolta Liolà ha mancato. Prima Giùggiù!
FRANCHI: (si rialza nervoso) Ora. Anche ora. Chiederò.
MARTELLO: (con tono scettico e sentenzioso) Per chiedere puoi chiedere.
Ma quali risposte troverai ora? Quale verità? Quali? Quella
di comodo. Quella aggiustata. Il tempo aggiusta tutto. Anche le
risposte. Il tempo dà alle risposte la forma della logica,
del ragionamento, la forma collettiva, sociale. Risposta formale.
ALESSI: La Vita muore con il tempo. Sopravvive la Forma.
MARTELLO: (a Franchi, sorpreso) Hai iscritto pure lui al circolo?
ALESSI: (guarda storto Franchi) Mi sono adeguato quando ho scoperto
la passione del mio superiore.
FRANCHI: (ignorando il sostituto, pensa) La Vita muore, sopravvive
la forma. Giusto! (gongolante) Non hai detto che c’è
il registro? C’è il registro! La Forma c’è.
MARTELLO: (sorride scettico) Illuso. Hanno tolto di mezzo me, figurati
il registro. E il bello sai qual è? Non l’avevo capito.
Ci ho messo mesi per capirlo. All’inizio non mi davo pace.
Senza un perché. Dopo è nata la mia congettura. Troppo
tardi. Ormai mi ero messo a coltivare le mie viti, il mio passito
a Pantelleria.
FRANCHI: (interrompendo secondi di riflessioni) Ma tornando al vaso
di Pirandello: per quale scascione non fu esposto subito nella sala
delle ceramiche? Perché rimase per quindici anni nascosto?
MARTELLO: (allarga le braccia) A questo punto, dopo quello che mi
avete raccontato posso azzardare un’ipotesi. (riflette, si
alza per chiudere la discussione) No. Chiedilo alla Gallo.
FRANCHI: (Alzandosi) Come no?
MARTELLO: Ti ho detto chiedilo alla Gallo.
FRANCHI: E va bene, chiederò alla Gallo. E anche a Castelli.
MARTELLO: Quello non capisce una minchia. Ti ho detto a Gallo.
ALESSI: (alzandosi anche lui) Professor Martello, lei però
ne capisce. Perché non ci illustra la sua opinione?
MARTELLO: Fermo. Ho detto di no. Me ne sono disinteressato allora.
Figuriamoci ora. Ormai me ne fotto altamente. Semmai… Al nostro
amico Marletta. A lui potrebbe ancora interessare. Può darsi
che ti aiuti a non mancare, (sorride a Franchi) Liolà.
Sipario
fine secondo atto
Terzo atto
Stanza del procuratore capo Franchi come nel secondo atto. Sul
tavolo troneggia il cratere di Pirandello. Gerlando Franchi è
seduto alla sua scrivania, legge dei fogli. Di fronte siede Vincenzo
Marletta, aspetta e sbuffa.
MARLETTA: (cerca di distoglierlo dalla lettura avvicinandosi al
tavolo) Ma sei sicuro che viene?
FRANCHI: (guarda l’orologio) Verrà. Dovrebbe venire.
Ma perché, hai da fare?
MARLETTA: (si alza a passeggiare per la stanza) No. Niente di meglio
che stare a guardarti mentre leggi le tue carte bollate. Però
quando è venuto Nunzio non mi hai chiamato.
FRANCHI: (spazientito) Cecè, te l’ho già spiegato.
Quello ci aveva mandato affanculo a tutti. Che ne sapevo che non
avrebbe fatto il bis pure la settimana scorsa.
MARLETTA: Ma mi hai spiegato pure che non era più incazzato.
Potevi chiamarmi. Che fa? Non era possibile aggiungere un coperto?
FRANCHI: (allargando le braccia) E va bè! Hai ragione. Ma
gli è presa la fisima di cucinarsi il pesce a casa mia. E
andare a comprarlo e cucinarlo. (sorride) Quando ho chiamato a casa
alla domestica per dirle di apparecchiare per due ha invocato Gesù,
Giuseppe e Maria. E l’anima della mia defunta consorte.
MARLETTA: Vabbè! Accucchiami storielle.
FRANCHI: (posa il foglio in una carpetta) E dovevi vederla quando
Nunzio si è messo il fallarino per annettare il pesce. S’è
fatta il segno della croce e se n’è andata. Però
almeno s’è convinta che non c’era nessuna avventura
galante e, soprattutto, che non rischiava di essere sfrattata da
altre fimmine. E noi abbiamo potuto stare in pace.
MARLETTA: (risentito) Tu e lui da solo.
FRANCHI: Non mi ha raccomandato altro: salutami a Cecè.
MARLETTA: Certo. Di persona non si poteva?
FRANCHI: Minchia Cecè, e basta. E’ stato lui, se lo
vuoi sapere, a dirmi che mi saresti potuto essere utile oggi.
MARLETTA: Ma avrei voluto sentirlo di persona. Che non ha nessun
rancore, che ha sbagliato oggetto della sua acrimonia. Ma che cosa
gli avrei fatto poi io?
FRANCHI: Ancora non l’hai capito? Ma allura sì di chiummu!
MARLETTA: Il trasferimento del vaso. L’ho capito. Ma se hai
detto che sono stato l’unico che ha ottemperato!
(bussano)
FRANCHI: (si alza, si avvia alla porta) Lasciamo perdere. Avanti.
(il sostituto Alessi cede il passo a Calogera Gallo, una donna anziana
ma non vecchia, vestita in modo mascolino con abbigliamento da esploratore.
Marletta la osserva)
ALESSI: (entrando al seguito) Le presentazioni le faccio io?
FRANCHI: (porgendo la mano alla donna) Visto che l’ha conosciuta
per primo. Gerlando Franchi. Piacere.
ALESSI: Il procuratore presso il tribunale, il mio capo.
FRANCHI: (indicando Marletta) Il professore Marletta.
MARLETTA: (destandosi) Vincenzo Marletta, onorato di conoscerla.
GALLO: (salutando con vigorose stretta) Piacere. Calogera Gallo.
Ma chiamatemi Lilla.
FRANCHI: Dottoressa Lilla.
GALLO: Lilla, senza dottoressa. Io non guarisco nessuno. Mi chiami
Lilla, chiamatemi Lilla. Come tutti. E io faccio lo stesso. Gerlando,
va bene?
FRANCHI: Giuggiù. Per gli amici. (rifà le presentazioni
con i diminuitivi propri) Lui è Nino Alessi e …
MARLETTA: Enzo. (Franchi lo guarda storto) Cioè … Cecè.
FRANCHI: (indicando la sedia al tavolo) Prego. Dottor Alessi, lei
resta in piedi?
ALESSI: (sorride sedendo) Abbiamo detto che mi chiamo Nino. No?
GALLO: Giusto. Tutti pari: nessun Piersilvio o Deborah. Siamo a
casa. Ora possiamo cominciare.
FRANCHI: (si schiarisce la voce, dà un colpetto con il gomito
ad Alessi che apre il rapporto. Franchi sbircia mentre espone) Come
ho avuto modo di spiegarle, spiegarti per telefono, ci stiamo occupando
del cratere di Pirandello. (l’archeologa annuisce e ruota
la mano per far avanzare il discorso) Nel 1973 il cratere di Pirandello
è spostato dalla casa del Kaos al museo. Per volere di Nunzio
Martello. Si stanno esponendo…
GALLO: Stipando!
FRANCHI: (sorpreso dell’interruzione) Come?
GALLO: Stavano affollando le nuove sale del museo di ogni sorta
di reperto, anche di scarsissimo valore archeologico. Mentre nei
magazzini i veri cimeli restavano a coprirsi di polvere.
MARLETTA: (si intromette) Allora è stato per mancanza di
spazio?
GALLO: Spazio? Cecè, non capisco.
FRANCHI: (cercando di spiegare l’amico, indica il vaso) Il
vaso attico. Forse non è stato esposto per scarsa capienza
del museo?
GALLO: (agita sopra il tavolo le dita strette a carciofo) Macché.
ALESSI: Dottoressa. Pardon! Lilla. Tu hai sostituito il professore
Martello dopo l’ultimazione dei lavori al museo di San Nicola.
Proprio mentre cominciavano ad arrivare i reperti custoditi presso
altre sedi, diciamo così. Fra questi c’era il cratere
attico che tenne in custodia, per anni e anni, le ceneri di Pirandello.
E che era in custodia nella casa del caos. Giusto?
GALLO: (si tira le maniche più in su di alcuni centimetri.
Si porta la mani congiunte davanti al petto, sospira) Faccio ricorso
a un mio mantra per essere chiara e ricordare bene, anche se non
ho dubbi. Però voglio essere ordinata e precisa.
FRANCHI: (scaccia con un minimo gesto la faccia sbigottita che gli
mostra Marletta) Mi sta bene. Procediamo con ordine.
GALLO: (si scioglie dalla posa ascetica) Io sono stata praticamente
catapultata ad Agrigento da Gela. Mi sono anche catapultata io.
Cioè, ne sono stata felice. Capite: per me era il massimo.
Poter avere ettari ed ettari da scavare, rimestare, ricercare, disvelare.
Ma prima c’era da esplorare il magazzino. Ho trovato più
cimeli io seppelliti dentro il museo che Alex Hardcastle nelle campagne
di Akragas. E questo mentre si preparavano le esposizioni nelle
sale appena ultimate. Gli impiegati proseguivano nella disposizione
già data dal professore Martello. Io ogni tanto emergevo
dai sotterranei con qualche pezzo e disponevo l’esposizione,
dopo la necessaria ripulitura. Insomma, c’era un po’
di confusione.
ALESSI: (avallando la considerazione) Anche perché arrivavano
pure i reperti richiesti dal professore Martello.
GALLO: (ancora con le dita a carciofo sul tavolo) Io di reperti
provenienti da altri siti non ne ho visti.
FRANCHI: (imitando il gesto della Gallo) Come non ne ha visti. (indicandolo)
E il cratere?
GALLO: (agitando e ruotando la mano a sua volta) Il cratere sì.
Ma Nino parla al plurale.
FRANCHI: E certo! Ce n’è un registro pieno di reperti
affidati in custodia.
GALLO: (si alza) Registro? Quale registro. Io non l’ho mai
visto questo registro. Il cratere sì. Il cratere era già
lì, fra i pezzi da esporre. Altro non n’è arrivato.
Almeno fin quando ci sono stata io. Non è stato molto. Appena
ho capito che non erano previste campagne di scavo e che l’ultima
s’era chiusa pochi mesi prima senza nessuna traccia del teatro…
MARLETTA: (scettico) Se s’intestardiscono a scavare dove hanno
scavato. Non c’è lì il teatro. Il teatro deve
guardare a mare. E da lì dove lo vedi il mare? No no no.
FRANCHI: (spazientito) Cecè, che minchia centra il teatro
ora? (Alessi tossisce, Franchi si tappa la bocca con la mano) Mi
scusi. Scusami Lilla.
GALLO: (tornando a sedere) Giuggiù, per così poco!
Sapessi cosa scappa di bocca ai manovali mentre scavano a mani nude
dentro i fossi. Minchia è il saluto di qualche affioramento,
un richiamo di esultanza.
MARLETTA: Manovali. Altrimenti griderebbero eureka.
FRANCHI: Ma stavamo parlando del cratere. Perché non l’hai
esposto al museo?
ALESSI: Perché il cratere di Pirandello non è stato
poi esposto?
GALLO: (si alza, prende in mano il vaso, lo soppesa, lo innalza
e lo ripone sospirando) Perché appunto è il cratere
di Pirandello.
ALESSI: (guardando Franchi e Marletta) Nel senso che è solo
di Pirandello?
FRANCHI: (meravigliato) Tu sapevi che non era un cratere attico?
GALLO: (sospira e acconsente) Di attico ha solamente le raffigurazioni.
Di cratere solo l’ampia sommità. Ma non è arcaico.
FRANCHI: (sporgendosi sul tavolo) Avevi scoperto che era falso?
GALLO: Ho sempre avuto forti dubbi. L’avevo pensato. Lo pensavo.
Ora voi mi avete dato la certezza. E ve ne sono grata. Un dubbio
mi restava sempre. Resta sempre. Ora non più. Allora io non
avevo i mezzi per ricorrere ai moderni metodi di datazione e poi…
Niente. Non mi sentivo di sconfessare i miei colleghi.
FRANCHI: (comprensivo) Per rispetto?
GALLO: (tentenna) Anche. Non volevo contestare i miei predecessori,
i miei colleghi, i miei superiori. Volevo restarci ad Agrigento.
E così, così l’ho sistemato nel magazzino.
MARLETTA: (sospira) Dove è rimasto accantonato per vent’anni.
FRANCHI: (guardando Alessi) Vent’anni!
ALESSI: (allarga le braccia) Anche se ci fosse stata truffa o sottrazione,
anche rapina, ormai è caduta in prescrizione. Anche un omicidio
sarebbe già prescritto. E comunque Castelli ne è fuori.
FRANCHI: (oscilla l’indice a smentirlo) Di questo ne parliamo
dopo. Si chiude il cratere ma c’è un vulcano da scoperchiare.
Dopo, dopo. Lilla, da cosa avevi capito? Fin d’allora dico.
Che il vaso non era un originale.
GALLO: Che non è un reperto antico. Perché originale
lo è davvero. (riprende in mano il vaso a rimirarlo) E bellissimo.
ALESSI: (abbandona di interrogare con lo sguardo Franchi) Che significa?
GALLO: Che non è una patacca, un manufatto dozzinale.
FRANCHI: (approvando, si alza e gira attorno al tavolo) E logico!
E allora sarebbero stati veramente dei cretini, i nostri amici esperti,
a non accorgersene.
GALLO: Ma non solo…
MARLETTA: (alza l’indice a chiedere permesso, guarda assorto
il soffitto e Franchi) E’ un’opera d’arte. Giusto?
GALLO: Opera di un vero artista. Sicuro, Cecè.
MARLETTA: (si avvicina al vaso a scrutarlo) Di un artista. (medita)
FRANCHI: (spazientito) Cecè, ci vuoi dire che ti passa per
l’anticamera del cervello?
MARLETTA: (tamburella con le dita sul tavolo) Fausto. Fausto Pirandello.
FRANCHI: Suo figlio?
MARLETTA: Suo figlio, il pittore. Quando Fausto espresse al padre
questa sua vocazione, sapete cosa rispose Luigi Pirandello?
FRANCHI: E sentiamo!
MARLETTA: Gli disse: d’accordo, ti manterrò per tutta
la vita.
FRANCHI: Cecè, e che minchia ci trase? Scusatemi eh!
(Lilla sorride. Scuote la testa a smentire la tesi del preside.
Alessi aspetta la fine dell’argomentazione)
MARLETTA: Centra, centra. Potrebbe essere stata una dimostrazione
di Fausto al padre: traviargli il suo amato vaso. Per rivalsa. Pirandello,
il padre, non perdeva occasione per disprezzare e spregiare lo stile
e l’opera del figlio. Arrivò al punto, una volta, di
strappargli il pennello di mano e spennellare la tela a cui Fausto
stava lavorando. Il giovane scappò di casa. Lo ospitò
il suo amico e collega Gianni Carlentini.
GALLO: (sorpresa, di colpo annulla la sua mimica scettica e di negazione)
Chi hai detto?
MARLETTA: Gianni Carlentini.
GALLO: (correggendolo) Vanni Carlentini? Vanni Carlentini!
MARLETTA: (le punta l’indice) Giusto. Vanni Carlentini.
GALLO: (tira un sospiro profondo, si alza, medita camminando) Questo
sì. Può essere! Questo potrebbe spiegare tutto. La
materia terra, la cottura arcaica, il dramma della ceramica, la
tecnica degli antenati… (posa il vaso con delicatezza e rispetto)
FRANCHI: (le si fa incontro) Potresti spiegare anche a noi?
GALLO: (continuando a camminare scansandolo) La terra no. Solo i
suoi colori mi fecero sospettare. E il soggetto. Il mito attico.
Adesso capisco. Vanni Carlentini e i riferimenti a Santomaso e Pirandello.
Fausto appunto. Vanni!
MARLETTA: Perché il soggetto?
GALLO: Ricordo che ne parlai anche con la mia amica, e collega,
Carmelina Carlino.
FRANCHI: (supplicante) Ne parli anche a noi.
GALLO: Melina stava elaborando una tesi sulle fasi iniziali della
produzione di ceramiche a figure rosse nella Magna Grecia, nel Contesto
del Ceramico del Metaponto…
FRANCHI: E allora?
GALLO: Carlentini. Lo scultore ha sempre evidenziato la sua ispirazione:
la terra-madre che genera figli-antenati. L’argilla della
nuova terra che genera il mito degli avi. Sicuro.
MARLETTA: (restio ad abbandonare la propria tesi) Solo che quando
Stefano Pirandello portò a casa il vaso, Vanni Carlentini
non era ancora nato. (enfatizza la sua freddura alzandosi e ruotando
la mano)
GALLO: (gli va quasi addosso) Che cosa? Cosa ha portato a casa Stefano
Pirandello? Esiste una foto del cratere di Stefano Pirandello? Chi
l’ha mai visto prima della sua morte? Quel vaso arrivò
nella casa romana solo dopo la morte del padre del drammaturgo.
Tre giorni dopo. Stefano Pirandello, quando andò ad abitare
a Roma con il figlio Luigi, l’aveva abbandonato nella casa
di campagna. Un reperto di così grande valore? E intendo
valore non solo artistico. E poi. Professore Marletta, dov’è
che è stato rinvenuto il cratere? Eh, dove?
MARLETTA: (titubante) Nelle campagne del Caos. E’ comprovato.
GALLO: Da chi? Da che? E quando mai nelle campagne del Caos s’è
mai rinvenuto un vaso. Che dico! Un coccio. A lei ne risultano?
No. Mai nessun altro reperto. Mai. Forse patacche. Patacche sì.
ALESSI: Dissotterravano patacche?
GALLO: (annuisce) La nuova attività degli artigiani della
terraglia. L’attività di inizio secolo.
FRANCHI: I bummulara? E che facevano i bummulara a inizio secolo?
GALLO: Non si limitavano a costruire bummuli, come dice lei, giare
e quartare. Hanno capito che rendeva molto di più, ma molto
di più, spacciare ceramiche antiche.
FRANCHI: E a chi?
GALLO: (un altro profondo respiro precede la spiegazione) Gli scavi
di sir Alex Hardcasle stavano riportando alla luce i resti dell’antica
Akragas, dei templi, delle necropoli. Ma non solo: il mecenate e
archeologo inglese comprava, comprava anche. Comprava i reperti
che i contadini avevano riportato alla luce accidentalmente o clandestinamente.
Poi anche i nobili e i borghesi hanno cominciato a comprare.
FRANCHI: (guarda insistentemente Alessi) Faceva chic avere cimeli
antichi sui cantarani. Questo lo so. (calcando) Ancora oggi.
GALLO: Andava fiorendo il commercio dell’arte. Attività
fino allora sconosciuta. E fiorisce anche il commercio dei falsi.
MARLETTA: Stefano Pirandello avrebbe comprato una patacca?
GALLO: Comprata? Era nella sua terra. Era sua. L’ha avuta
da un contadino che l’aveva dissotterrata nella sua proprietà.
Era del padrone. Una patacca che il contadino contava di vendere
a chissà chi, scavandola magari sotto gli occhi del potenziale
acquirente da raggirare. Solo che gli occhi erano di don Stefano.
Fine dell’affare.
MARLETTA: E Luigi Pirandello si sarebbe affezionato a una patacca!
GALLO: Cecè! Era poco più che un bambino. Era appunto
un’affezione, alle figure soprattutto. In quel periodo…
FRANCHI: Pirandello si cimentava con i classici della letteratura
greca e latina. Cecè, questo tu lo dovresti sapere benissimo.
MARLETTA: (cerca di difendere il campo delle sue competenze dall’assalto
di Franchi) E certo che lo so. Ci mancherebbe. Ma come centra Carlentini?
Perché Carlentini avrebbe dovuto creare un falso. Un falso
per un falso?
GALLO: (si spazientisce) Un falso un’opera di Vanni Carlentini?
(accarezza il vaso) Ma che stai dicendo! Eppure sei stato tu a tirarlo
in ballo. L’hai conosciuto o no? Conosci le sue opere?
MARLETTA: (tentenna imbarazzato) Veramente… No. Lo conosco…
Conosco! Ho letto di lui perché è stato… è
stato diciamo quasi allievo di Fausto Pirandello. E non conosco
le sue opere. No, non lo conosco. Va bene?
GALLO: (spiegando con calma) Allievo proprio no. Vanni Carlentini
ha tratto ispirazione anche dalle pitture di Fausto Pirandello.
Nel ciclo delle Terrecotte ingobbiate e graffiate. Sicuramente l’idea
è nata da lì.
FRANCHI: (agita sotto il naso la mano a carciofo)Terre che?
GALLO: Le terrecotte. Ma allora ditelo che non lo conoscete. Vanni
Carlentini. Pittore, scultore, vincitore di premi nazionali e internazionali.
Ha esposto in Italia e all’estero. Per tornare al nostro discorso,
a Pesaro studiò le tecniche della pittura antica.
ALESSI: Pittura antica? Ora capisco la tua competenza su Carlentini,
un artista così distante dai tuoi soliti studi e …
GALLO: (continua sovrapponendo le parole) Più che con la
pittura, la sua grande genialità è stata espressa
con l’arte della terra cotta. (tira un ipotetico filo orizzontale
a mezz’aria sul tavolo) Chiaro?
ALESSI: Mica tanto.
FRANCHI: Scusami Lilla. Va bene. Però domando: perché?
Dico: perché?
GALLO: (facendo cenno di aspettare) Stavo rispondendo a Cecè
quando dice: un falso per un falso. No! Un’opera d’arte
per una patacca. Può darsi, anzi credo che Fausto Pirandello
non abbia voluto che le ceneri di suo padre fossero custodite da
una cianfrusaglia. Così commissiona a un vero artista, il
suo giovanissimo collega Vanni Carlentini, maestro delle ceramiche
e delle terrecotte, il sarcofago per i resti di suo padre. E’
chiaro adesso?
FRANCHI: Lilla, ti rendi conto che la tua è un’ipotesi?
Devo dire molto verosimile ma solo un’ipotesi.
GALLO: Facilmente verificabile. Ma io ormai ne sono sicura. Sicurissima!
Questo vaso è un Carlentini. E lo posso provare. Il grande
Carlentini è morto nel 1985 ma i suoi allievi e colleghi
che gli sono stati vicino vivono ancora. E poi potrebbe bastare
un confronto della materia, di un microscopico frammento con alcune
sue opere per verificare l’identità degli elementi.
Con le strumentazioni di oggi è possibilissimo. Voi l’avete
fatto per la datazione. Possiamo rifarlo per la composizione. Peccato
che allora non ho avuto l’ispirazione che mi ha dato oggi
Cecè.
MARLETTA: (si inorgoglisce, torna a sedere guardando impettito gli
altri) Ispirazione. Intuito!
GALLO: (prende il vaso e lo porta in giro) E io avrei relegato un
capolavoro ad ammuffire in un magazzino per più di vent’anni?
Un capolavoro di Vanni Carlentini. E pensare che un’altra
sua terracotta è esposta al civico museo di arte contemporanea
di Milano. (in agitazione) No, io lo devo appurare. Non me lo potrei
perdonare.
FRANCHI: Vabbè! Ma stai calma.
GALLO: Che calma! (ripone il vaso) Va verificato subito. Vi capisco.
A te e a Nino. Magari non servirà a nulla per le vostre indagini.
L’arte però vuole questo riscontro. Anche se sarà
l’ultima cosa che farò prima di ritirarmi.
ALESSI: Mi sembra giusto.
FRANCHI: E va bene. Giustissimo. Va fatto. Sicuro.
MARLETTA: Però… pirandelliano pure il suo feretro:
un capolavoro moderno mascherato di falsa patacca mascherata di
reliquia antica mascherata…
FRANCHI: Già, maschere! Maschere mascariate.
MARLETTA: Un falso originale o un autentico travisato? Decidano
gli altri. Vero o falso. Maschera o realtà. E qual è
la realtà, la verità.
(Il telefono interrompe la disquisizione di Marletta)
FRANCHI: (va alla sua scrivania a rispondere) Cecè, di filosofia
ne parliamo dopo. (guarda Alessi mentre ascolta all’apparecchio)
C’è di là l’ispettore Bellazzi. Vuole
parlarti. Dice che è importante.
ALESSI: (si alza di scatto) Scusate. (fa per uscire)
FRANCHI: (chiudendo la comunicazione) Non c’è bisogno.
Gli ho detto di venire qui. Quello che ha da dirti interessa anche
me.
ALESSI: Di che si tratta?
FRANCHI: (indicando la porta a cui stanno bussando) Eccolo. Te lo
dirà lui. Cecè e Lilla ci concederanno due minuti.
MARLETTA: Ci mancherebbe. (Marletta e Gallo restano al tavolo a
discutere non ascoltati)
BELLAZZI: (tende la mano, saluta i due giudici) Dottor Franchi,
dottor Alessi. Ma forse disturbo…
FRANCHI: (porta i due a parlare vicino alla scrivania) Ispettore
Bellazzi, che fa vuole scherzare?
BELLAZZI: (imbarazzato) Pensavo che foste ancora interessati.
FRANCHI: Del caso Canino? Certo!
BELLAZZI: Il dottor Alessi mi aveva raccomandato di fargli sapere
e… (estrae dalla tasca un plico).
ALESSI: Che cos’è?
BELLAZZI: L’ordine di carcerazione preventiva per Vincenzo
Canino.
ALESSI: (Irrigidendosi) Sta andando ad eseguirlo?
BELLAZZI: (parlando ad entrambi) Sì. Con la massima urgenza.
Il procuratore ha avuto da redarguire. Doveva essere lei ad emetterlo,
prima. E anche per il nostro verbale di interrogatorio non firmato.
ALESSI: (Alessi ha un sorriso e un’alzata di spalle) Firmare?
Ci voleva la camicia di forza. Per fermarlo, non per firmare.
BELLAZZI: Ho cercato di spiegargli ma non mi ha fatto esporre le
nostre argomentazioni. Ha detto che io non avevo nulla di cui discolparmi.
Credo che ce l’abbia con lei (indica Alessi). Però
non ho capito.
FRANCHI: Capito cosa?
BELLAZZI: (Scuote il foglio) Se ce l’ha con lei per il ritardo
della carcerazione o per la rimessione dell’inchiesta.
FRANCHI: E non è riuscito a capire cosa pensa?
BELLAZZI: (incerto) Dell’arresto?
FRANCHI: Del reato. Lui ci crede o no nell’omicidio?
BELLAZZI: (guarda Alessi che è rimasto pensieroso, esprime
scetticismo con mimica facciale) Mica tanto.
FRANCHI: Lo immaginavo. Ma per lui importa poco crederci o no. So
comunque come procederà. Io il procuratore Caruso lo conosco.
Gonfierà il caso, più che può. E’ un
arrampicatore. Sempre in cerca di ribalte.
ALESSI: Cerca le luci della ribalta pure lui?
FRANCHI: (torvo) Con chi ce l’hai? Ce l’hai con me?
ALESSI: (ironico) Pirandelliano pure Caruso? Forma Vita, falso verità,
eccetera eccetera. Con Caruso. E con chi se no?
FRANCHI: Ah! Avevo frainteso. Vabbè! Non diamocene pensiero.
BELLAZZI: Però mi ci farà perdere un sacco di tempo.
ALESSI: Lei è sempre convinto dell’innocenza di Canino!
BELLAZZI: Quello è un disgraziato, non un assassino.
ALESSI: E la chiave? La chiave ce l’aveva lui.
BELLAZZI: Magari pensava di farcela una ricognizione in casa. Dottò,
quelli ci sono stati quasi tutta la notte. Canino e gli altri vicini.
Hanno visto che non c’era un … tubo.
ALESSI: Dopo. Ma prima Canino lo poteva sapere che non c’era
nulla da rubare?
BELLAZZI: Lo sapeva! Iaconi lo chiamava, ricorda? Era vero. Ci andava
in casa. La conosceva la casa. Vuole sapere cosa ne penso veramente?
Canino la chiave l’ha presa dopo. Quella notte in cui hanno
sfondato la porta. Dopo. Come ha detto lui. Io gli credo. E sa perché?
Perché secondo me Canino pensava di poterci abitare in quella
casa. Lui, la sua Assuntina e la creatura che verrà. L’ha
pensato mentre erano lì ad aspettare noi e i pompieri. Fanno
così con le case popolari disabitate, sa? Sfondano, occupano
e poi l’Istituto Case Popolari sana. Un sopralluogo del vigile
urbano, magari un amico o compiacente, e la casa è assegnata.
Canino fra pochi mesi avrà una famiglia completa: moglie
e figlio. E quegli scriteriati dei suoceri hanno ancora una caterva
di bambini in casa. Lo so. Canino strambo c’è. (rivolto
a Franchi) Ma che voi non ne conoscete di strampalati sposati?
FRANCHI: (ruota la mano a dimostrare abbondanza) A voglia!
ALESSI: Allora ho fatto male a passare il caso.
FRANCHI: Che centra? Tu hai fatto il tuo dovere. Caruso farà
molto di più, vedrai.
BELLAZZI: E io devo arrestarlo. A Canino.
FRANCHI: (ad Alessi) Non hai fatto male. (tende la mano al commissario)
E sono sicuro che ha ragione pure lei, ispettore.
ALESSI: (salutando il poliziotto) Non lo tratti male, a Canino.
BELLAZZI: (abbozza un sorriso) Che male… Mi fa pena. Comunque,
vi farò sapere.
FRANCHI: (accompagnando alla porta Bellazzi) Non ne dubito.
BELLAZZI: (passando saluta gli altri) Buongiorno e scusate. (esce)
GALLO: (alzandosi e guardando l’orologio) Vorrei concludere
quest’incontro. Spero me lo rendiate indimenticabile, memorabile.
FRANCHI: (pensa ancora a Bellazzi, come Alessi) In che senso?
GALLO: Il cratere. Voglio analizzare il vaso. Voglio provare le
mie teorie. Scoprire qui un Carlentini! Fatemi analizzare il vaso.
FRANCHI: (con ancora il pensiero alla discussione precedente) Certo,
il vaso. Va bene. Provvederemo. (attira l’attenzione di Alessi,
distratto pure lui) Vero Nino? Nino! La nomina di consulente per
l’amica nostra. Ci pensi tu?
ALESSI: (ritornando alla discussione) Certo. Ci penso io.
GALLO: Perfetto. Me la fate avere assieme al vaso. (si avvicina
a scrutarlo ancora)
FRANCHI: Sempre a Piazza Armerina?
GALLO: Alla villa del casale. Io sempre lì sono. A scavare.
(indicando Marletta) A proposito. Cecè vuole farmi vedere
dov’è sepolto l’introvabile teatro. Poi devo
andare.
FRANCHI: Io pensavo di pranzare tutti assieme.
GALLO: Proprio no. Strada da fare ne ho tanta. (sorride) Chilometri,
perché per il resto sono al capolinea. Ma ho la certezza
che chiuderò in bellezza la mia carriera.
FRANCHI: Cecè noi…
MARLETTA: Io poi accompagno Lilla fino al bivio sulla scorrimento
veloce.
FRANCHI: Chiamala veloce…
GALLO: Appunto. E’ meglio che vada. Arrivederci allora. (posa
il vaso sospirando) Un Carlentini. Autentico!
FRANCHI: (saluta) Arrivederci. Ciao Cecè, noi ci sentiamo.
GALLO: Ciao Nino, Nino?
ALESSI: (distratto) Scusa. Ci rivedremo presto. Sì, il vaso.
(escono Marletta e Gallo)
FRANCHI: (resta per qualche secondo a fissare Alessi il quale sfugge
gli sguardi) E allora?
ALESSI: Ha espresso disapprovazione per il mio operato. Dovevo arrestarlo
io, lo ha detto.
FRANCHI: (si siede) Caruso è tuo amico?
ALESSI: Che importanza ha?
FRANCHI: Che importanza ha? Ma ancora non l’hai capito dove
sei? Nino, benvenuto nel palazzo. Non hai amici. E pensi di non
avere neanche nemici, giusto? Illuso!
ALESSI: Non la seguo, non la capisco. Non ci capisco niente qui.
FRANCHI: E che? Se n’è andata Lilla e mi dai del lei.
(gli indica la sedia vicina) Nino, un amico ce l’hai. Almeno
uno.
ALESSI: (siede, appoggio la fronte al palmo, il gomito sul tavolo)
Che vuol dire? Stiamo lavorando, lavoriamo. Caruso non è
mio amico. Va bene. Ma perché dovrebbe essermi nemico?
FRANCHI: Eppure ti avevo avvertito. Quando hai proposto appello
alla sentenza del giudice Valenti. Ricordi?
ALESSI: Ma che minchia ci trase Valenti con Caruso ?
FRANCHI: (sorridendo per sdrammatizzare) Hai letto Camilleri di
recente? O ti stai ambientando?
ALESSI: Scusa, ma… Non ci arrivo. Sono nervoso!
FRANCHI: Sono amici.
ALESSI: Sono amici? Oppure Caruso è nemico tuo?
FRANCHI: No. Che centro io. Ha criticato a tia, non a me.
ALESSI: (alzandosi e aumentando il tono di voce) Ma che significa!
Non mi hai consigliato tu la rimessione? Consiglio di superiore.
Un ordine.
FRANCHI: (alzandosi anche lui e adeguando il tono superiore) Ma
che ti credi, Nì? Ma che minchia ti sei messo in testa? Che
fai una cosa e gli altri l’analizzano con obiettività?
Sei un illuso. (ritorna a un tono più discorsivo) Non è
così. Mi spiace ma non è così, Nino. E mi pare
che tu sia abbastanza avanti con gli anni da capirlo da solo. Hai
rimesso il fascicolo a Caruso? Bene. Per gli amici, se ne hai, sei
un magistrato coi controcoglioni, molto avveduto, brillante e perspicace:
hai scoperchiato un omicidio.
ALESSI: Se c’è stato un omicidio si saprà solo
dopo la sentenza, se si arriverà alla sentenza.
FRANCHI: Per gli amici. Per i nemici sei una testa di minchia: hai
impiegato un mese per capire che è stato commesso un delitto.
E non solo! Non l’hai neanche arrestato. Non hai nemmeno convalidato
il fermo. Te ne rendi conto? Amici e nemici. Nino, quanti ne hai
amici qui?
ALESSI: (passeggia) Vuoi che ti dica che ci sei solo tu? E allora?
Non sono un buon giudice perché non ho amici, perché
li ho tutti nemici? E un giudice si misura dalla quantità
degli amici? Amici che non propongono appello, amici che non rilevano
errori giuridici, amici che non calcolano i termini corretti. E
poi un dies a quo e un dies ad quem e le notifiche sono nulle, e
i processi sono da rifare e si grida allo scandalo perché
i delinquenti escono, anche per un timbro sbagliato… Amici!
Amici che non ti ostacolano la carriera, amici che sono iscritti
alla tua stessa corrente… Ma che razza di giudice è
questo? No e poi no. Non può essere questo il giudice naturale
precostituito per legge. O no? Rispondi. E tu? Giuggiù, quanti
amici hai tu? Che giudice sei?
FRANCHI: (con calma) Un giudice che ha amici. Ce li ho. Ho anche
nemici però. E me li sono fatti in quarant’anni di
onorata carriera. E’ questo che vuoi sentirti dire? Sia amici
che nemici. Ma se non ti sta bene… Puoi sempre cambiare mestiere.
ALESSI: No! No. Anzi è proprio il contrario. Il giudice non
deve avere amici, non deve avere nemici. Il giudice deve essere
al di sopra dell’amicizia. Deve essere al disopra delle parti,
te lo sei scordato? Al di sopra dei sentimenti, deve essere al disopra
delle emozioni, al disopra di qualsiasi interesse, al di sopra delle
cose e delle idee. E delle aspirazioni. Deve essere al disopra di
ogni legittimo sospetto. Non sono io che devo cambiare mestiere.
FRANCHI: (a sorpresa) Te lo ricordi Guardo Nicola? U Napulitanu?
ALESSI: (quasi gridando) Di che cosa mi stai biasimando?
FRANCHI: Calma Nino, non ti sto rinfacciando niente. Sai, a una
certa età la memoria comincia a fagliare. Ma comincia a mancare
in modo strano: ti scordi cosa hai mangiato a colazione però
hai stampato preciso in mente le parole precise di un mese prima,
un anno prima, una vita prima. Ti ricordi cosa ti dissi allora?
Ti dissi: ha visto come diventa difficile?
ALESSI: E va bene. E’ vero. Ho sbagliato. Lo conoscevo. Lo
conoscevo e mi sono fatto condizionare. Ho sbagliato e ne trarrò
insegnamento. Sì, dovevo astenermi.
FRANCHI: (sorride ironico, gli va vicino a guardarlo in faccia)
Astenerti da cosa?
ALESSI: Dal caso. Avrei dovuto dirtelo e fartelo assegnare a un
altro sostituto.
FRANCHI: Ma dici davvero? Per così poco? Non essere ridicolo.
Magari per te c’erano anche gli estremi per la legittima suspicione,
per il legittimo sospetto. Secondo te allora, da avvocato difensore
avresti chiesto la sospensione del processo? Il trasferimento del
dibattimento? Dico: se tu fossi stato il suo avvocato e non il giudice.
E allora, che dici?
ALESSI: (cercando di ragionare) Se l’avvocato fosse al corrente
del fatto che il giudice ha avuto rapporti con il giudicato…
FRANCHI: Nino, non sei davanti alla corte. Stai parlando latino?
ALESSI: Io non sono l’avvocato difensore. Io sono giudice.
E come giudice mi asterrei.
FRANCHI: Dal giudicare?
ALESSI: No! Dai rapporti personali. Mi asterrò.
FRANCHI: Deciditi. Prima hai detto che ti dovevi astenere dal caso…
ALESSI: Sì. Ma adesso ho capito la lezione. Grazie. Mi asterrò.
In futuro mi asterrò da certi rapporti personali. Anche con
quelli come Guardo ‘u napulitano, che continuo a non considerare
delinquente. La lezione l’ho imparata. Grazie.
FRANCHI: Lo sai cosa significa questo che stai dicendo?
ALESSI: Significa: o fare il giudice o rinunciare a un pezzo della
proprio vita. E’ così. Deve essere così.
FRANCHI: Esagerato. (seriamente) Diciamo rinunciare a un certo stile
di vita. Questo sì. O a imporselo. Tu lo faresti?
ALESSI: Sicuro.
FRANCHI: Appunto. E ti credo. Tu già lo fai. Sì, Nino.
Lo hai sempre fatto. La tua vita è irreprensibile. Il tuo
lavoro è incensurabile. E non è questa babbiata di
Guardo Nicola a comprometterti. Anzi! Io lo so. Anche se è
da poco che sei qui. Quant’è? Un anno? (pensa, annuisce)
Lo so. Tu lo puoi fare. Ce la puoi fare. Questa cosa la puoi fare
solo tu. Solo tu ce la puoi fare.
ALESSI: (ancora nervoso) Che cosa? Cos’è che posso
fare solo io?
FRANCHI: (sospira profondamente) Il vulcano. Stasare il tuppaglio
del vulcano. Il tappo che hanno messo a Nunù Martello. E
qui sono sicuro che non c’è rischio di prescrizione.
Hai sentito Lilla Gallo? Non ha visto rientrare niente. Solo il
vaso di Pirandello. Il resto è ancora da chi ce l’ha.
ALESSI: (ricordando) Cosa stai cercando di dirmi? Aspetta, com’è
che hai detto? Faceva chic…
FRANCHI: Faceva chic avere cimeli antichi sui cantarani. Anche ora.
ALESSI: Ma è una detenzione legale. Non c’è
nulla a rischio di prescrizione. Non c’è reato.
FRANCHI: Omnia munda mundi. (accenna un sorriso) Hai visto, Nì?
Parlo con il tuo latino. E pensi che avrebbero cacciato così
Nunzio Martello se non ci fosse stato nulla? Nulla di losco? Non
lo assicutavano così se non c’era….
ALESSI: Così come?
FRANCHI: (Sorride, allunga il piede a mostrarlo) Se non l’anno
preso a cavusci ‘nto culu c’è voluto poco. (tornando
serio) E prenderanno anche me a calci in culo. Ma io me ne vado
a raggiungere il mio amico Martello. Me ne fotto! Ma allora ancora
non l’hai capito che cosa c’è venuto a fare qui
Castelli?
ALESSI: (riflettendo) Comincio a capire. Adesso comincio a capire.
FRANCHI: Non è venuto per lui. Le telefonate. Per gli altri
è venuto. E’ venuto a sondare, a tastare, a tappare.
Per gli altri.
ALESSI: Solo per gli altri?
FRANCHI: Anche per se stesso. Per molti, per tanti. Si è
proposto. Si è premurato di bloccarmi. Per cercare di bloccare
sul nascere (mima i giochi d’artificio) questa bella maschiata.
Ma se n’è scappato. Terrorizzato. E senza neanche sentire
i botti.
ALESSI: (scettico) E tu pensi che se allora erano nel losco, non
si saranno già messi a posto? Ne hanno avuto di tempo. Sia
allora che adesso che hai acceso la miccia a Castelli.
FRANCHI: (stira la bocca di lato, tira indietro la testa) Ntzù!
ALESSI: Ma hanno fatto sparire i registri. L’ha detto anche
il professore Martello…
FRANCHI: (annuisce, serra le labbra, scuote il capo) Ntzù!
ALESSI: L’ha confermato la dottoressa Gallo: non c’è
più nessun registro.
FRANCHI: Tanto peggio per loro. Senza il registro di affidamento
anche la semplice detenzione diventa reato. Se poi il reperto non
c’è, il crimine diventa ancora più grave. Si
sono fottuti con le loro stesse mani.
ALESSI: Ma quale crimine? Quale sarebbe il reato da perseguire?
FRANCHI: Il reato? C’è una scelta di reati: appropriazione
indebita, distrazione, peculato, detenzione illegale. I reati potrebbero
essere tanti. Anche se il peccato è stato uno solo. Uno:
la superbia. Nei confronti del sovrintendente: ma come si permette
questo Martello a dare ordine di restituzione, a noi! Ma non solo.
Superbia nei confronti di chiunque reclami la giustizia. A loro…
A noi. A noi si può reclamare di applicarla. Anche di osservarla?
Peccato di superbia. Ma che nessuno menzione nel confessionale.
Superbi inconfessati! Questo siamo. Noi. Tu no! Tu no.
ALESSI: Ma allora come fai se non c’è il registro?
(sorride imbarazzato) Passi a setaccio tutta la provincia o confessi
tutti i superbi? Quale giudice preliminare ti autorizzerà…
FRANCHI: (trae di tasca una lettera, la sbandiera) Questa volta
l’ho ricevuta. Questa volta c’è arrivata a destinazione.
Sono io il procuratore capo. Allora ero solo sostituto. Era al capo
che si recapitava la posta.
ALESSI: Cos’è?
FRANCHI: La lettera che Nunzio Martello mi spedì vent’anni
fa. Questa volta è arrivata al destinatario. Ricordi? (scuote
il plico) Ci sono tutti. L’elenco a cui Nunù aveva
mandato la richiesta.
Ci sono tutti. Burocrati, autorità, politici, funzionari,
prelati. Ce l’abbiamo. Nomi, cognomi e indirizzi. Di tutti.
Hai una grande inchiesta fra le mani.
ALESSI: Io? Tu ce l’hai.
FRANCHI: (si stringe nelle spalle) Io non posso, Nì. Ho amici,
nemici. Sono anch’io superbo. Io sono guasto. E sono convinto
che nessun altro giudice può farlo.
ALESSI: E allora nemmeno io.
FRANCHI: Tu non sei come me, tu non la pensi come me. Tu puoi farlo.
Sì che puoi. Tu. Perché io non ce l’ho fatta
a rinunciare a un pezzo della mia vita. A un certo stile di vita.
Tu hai rinunciato. Sei disposto a rinunciare. E ne sei consapevole.
Io no. Io non ci credo. Per me, secondo me se un giudice non può
essere un uomo con la sua vita, i suoi difetti, le sue debolezze
allora…Allora nessun uomo potrà mai essere un giudice.
Nessuno potrà mai indossare questa maschera, né centomila
né uno. Nessuno. Nessun giudice. Secondo me. E per te non
è così. Giusto? E allora fallo vedere a tutti che
è possibile. A nemici e amici. Faglielo vedere a tutti. Provaci
anche tu. Soprattutto senza rischiare la vita. Tu non la rischi.
(si fa il segno della croce) Povera buonanima di ragazzino. Tu no.
Sicuro. Non ti permetterei di rischiare la pelle. (raggiunge la
scrivania, apre un cassetto e spiana sul tavolo un foglio dattiloscritto)
Io ti firmo la delega e…
ALESSI: (in agitazione, cerca di bloccare la firma di Franchi) Aspetta!
FRANCHI: (appoggia la sua mano su quella di Alessi protesa sulla
scrivania) Calma Nino, calma. Non è la delega. Queste sono
le mie dimissioni. Decorrono da dopodomani. Tu intanto pensaci.
Ragioni meglio la sera. Giusto? Domani mi dirai. Pensaci ma stanotte
non perderci il sonno. Riflettici. Su quanto potresti scoprire e
capire da un’indagine come questa. Potresti fare l’esame
a tutte le personalità della provincia. Un nome alla volta,
un indagato alla volta. E scoprirai amici e nemici. Tuoi. Ma soprattutto
degli inquisiti. Capirai chi sono i veri compagni degli indagati
e chi gli avversari, chi li stima veramente e chi aspetta solo l’occasione
per biasimarli. Ci sarà chi detterà le sentenze di
condanna in piazza o le scriverà subito con l’inchiostro
dei giornali. E ci sarà anche chi li assolverà. Oh
sì! Un nome alla volta, Nino. E ti scoprirai ad essere un
giorno rosso e uno nero, un altro giorno bianco. Una volta ti diranno
giustizialista e un’altra garantista, a secondo di che ne
è dentro e chi ne è fuori. Ti bolleranno come profittatore
della toga oppure ti elogeranno come il più leale servitore
dello stato. O tutte due le cose in contemporanea. Ti sentirai cercato.
Ti sentirai minacciato e lisciato. Adulato e calunniato. E ancora.
Supplicato, inquinato, alterato, ossequiato, incensato, denigrato.
Diffamato. Pensaci Nino, a come ti sentirai. Ti sentirai com’è
oggi la Giustizia.
Sipario
Fine
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