I racconti di Fargo

La rivolta delle Parole

Il Re Vocabolario non aveva voluto credere alle voci che segnalavano un certo malcontento fra i suoi sudditi: le Parole. Aveva preferito pensare che fossero soltanto malignità di due streghe invidiose, che lui ben conosceva: la Grammatica e la Sintassi. Ogni anno continuava ad essere edita una marea di libri in tutto
il mondo: poteva esserci malumore?
- Sono convinto - si disse - che non ci sia nulla di preoccupante. Tutto passerà senza che io sia costretto a prendere provvedimenti.
Invece il malcontento, col trascorrere dei giorni, crebbe ed anche lui cominciò ad averne sentore. Dal momento che era un Re moderato ed accorto, indisse un’udienza generale nel Castello del Sapere per capire, direttamente dalle voci delle sue Parole, quali fossero i motivi dello scontento. Aggettivi, Sostantivi e
Verbi sono sudditi che incutono rispetto anche al Re più coraggioso e lui li blandì con un discorso introduttivo tutto burro e miele.
- Miei cari, vorrei che voi oggi mi parlaste a cuore aperto. Se qualcosa vi turba, ditemelo con franchezza: io sono qui per aiutarvi. Voi tutti, senza preferenze, siete figli miei diletti. Dal consesso dei presenti si levò un mormorio di soddisfazione. La dichiarazione di intenti del Re aveva già riportato un po’ di serenità nell’animo esagitato di ognuno.

- Sono curioso di sapere qual è il motivo del vostro turbamento. Chiunque è libero di intervenire e può farlo senza timore.
Un suddito davvero speciale avanzò: era la Morte. Più di qualcuno, Re compreso, fece un gesto di scongiuro al suo passaggio.
- Maestà, - disse con voce grave. - perdoni il mio ardire, parlo a nome dei Sostantivi. Il motivo del nostro risentimento è semplice: non vogliamo più essere accoppiati a qualcuno di questi infami. - disse indicando il gruppo di Aggettivi che si trovava proprio di fronte a lei. - Ci fanno apparire per quello che non siamo.
Gli Aggettivi, per tutta risposta, la ignorarono del tutto. Grande era la superiorità che nutrivano da sempre nei confronti dei cugini Sostantivi: erano o no loro a qualificarli?
Il Re alzò le ciglia perplesso.
- Mi spiego meglio - disse la Morte intuendo il suo imbarazzo. - Prenda me, per esempio. Per quale motivo devo essere definita Orrenda, Raccapricciante, Brutta e Rivoltante? Possibile che io non possa mai essere, una volta nella vita, Affascinante, Desiderabile o, meglio ancora, Splendida e Sensuale? Anche quando
dicono: ‘Non ha fatto proprio una Bella morte’, mica vogliono farmi un complimento…! E c’è addirittura chi, come ho visto poc’anzi, fa gli scongiuri al solo sentirmi nominare…io vorrei tanto entrare nei libri Harmony invece che nei soliti Horror…
Tutti i Sostantivi annuirono, trovandosi assolutamente d’accordo con lei. Il Re, dopo che il suo suddito ebbe finito la lamentela, gli chiese: - A quale Aggettivo ti piacerebbe essere accoppiata?
- Non chiedo molto, Maestà, ma penso che Inevitabile, Ineluttabile ed anche Attesa, potrebbero rendermi più gradevole.
- Ne sei proprio certa? - disse il Re Vocabolario fissandola negli occhi, per niente convinto.
La Morte non rispose, si limitò a chinare il capo. Il Re attese che altri dicessero la loro. Uno si mosse dal gruppo.
- E tu chi sei? - con un cenno della mano il Re lo sollecitò a farsi avanti.
- Sono la Vita.
- Ebbene?
- Ho un problema di identità. Taluni mi definiscono Bella, Meravigliosa, Eccezionale, Esaltante. Altri dicono che sono Grama, Pessima, Infame, Miserevole ed Infelice. Chi sono dunque io? Vorrei capirlo…
- La penso esattamente come te. - la interruppe il Coltello, intervenendo nel dibattito.
- I motivi della mia protesta sono simili ai tuoi, ma vertono su un concetto diverso. Signora Morte, non se la prenda, ma lei è quel che è. - La Morte gli lanciò uno sguardo pieno d’odio. - Oh, non vorrei essere frainteso! Voglio dire che nel nome c’è il nostro destino ed anche la nostra condanna. E lei, con qualsiasi aggettivo si accoppi, resta comunque se stessa. Io invece reclamo una mia identità: se sono usato per tagliare una mela, posso essere Utile, Bello, Prezioso, Insostituibile ancorché Affilato, e, talora, anche Necessario. In un omicidio però, finisco col diventare inevitabilmente Acuminato, Terrificante, Insanguinato. Sono dunque un oggetto utile o uno strumento di morte? È questo dubbio la fonte di tutto il mio dolore.
- Chi mi chiama in causa? Io credo che nessuno possa stare peggio di me! - gli sguardi dei presenti si rivolsero sul personaggio che si stava presentando alla ribalta.
- Io sono il Dolore e voi vi lamentate? - affermò quest’ultimo stupito.
- Ahi! - disse fra sé il Re, che al solo vederlo si sentì male.
- Voi, qualche volta almeno, cambiate i vostri compagni di viaggio. Io no. Sono sempre Insopportabile, Acuto, Lancinante, Indescrivibile, addirittura Cane. E invece vorrei essere Bello, Piacevole e Macho.
- Questo è un po’ troppo, non credi? - Intervenne il Re, ridendo sotto i baffi, assolutamente in disaccordo con lui.
- Vorrei avere anch’io le vostre crisi d’identità! - concluse con amarezza il Dolore, senza che alcuno avesse coraggio di fargli obiezione.
- Nessuno vi emargina, per quanto io ne sappia! - urlò uno strano personaggio, dal fondo della sala. Tutti si girarono verso di lui. Lo videro avanzare con incedere lento tra la folla che si apriva a ventaglio, cercando in tutti i modi di mantenere una debita distanza da lui, come se fosse un appestato.
- Nessuno si gira dall’altra parte al vostro apparire. Se c’è una cosa da evitare per eccellenza, quella sono io. Tanto che mi faccio schifo da sola. – disse il nuovo arrivato.
Il Re ascoltò ancor più interessato il grido accorato di quel suddito, che gli sembrava di riconoscere dall’odore.
- Vorrei tanto essere Profumata, Eccitante e Sexy. - continuò il misterioso essere, elencando gli Aggettivi desiderati. - Invece…niente di tutto ciò. Rimango sempre uno Scarto ed un Insulto. Eppure sono Essenziale per la vita di tutti.
- Voglio sapere qual è il tuo nome, suddito fedele! - domandò il Re.
- Sono la Merda! Piacere di presentarmi a Lei, Maestà, e a voi tutti.
Gli astanti, che si erano turati il naso con le dita, scoppiarono a ridere. Ma il Re trovò che non c’era nulla di comico nelle sue esternazioni e si inquietò. Tutti avevano il diritto di esprimersi, meritando eguale rispetto e considerazione.
Il singolare individuo si guardò in giro in cerca di consenso. Ma tutti tacquero, freddamente. E lei ne prese atto.
- So che la mia presenza qui è sgradita, perciò non continuerò a tediarvi un minuto di più. Ma riflettete bene su quanto vi ho appena detto.
Si allontanò a passi lenti, con grande sollievo di tutti, ritornando in fondo alla sala. Il Re stesso, non ebbe coraggio di aggiungere altro: cos’altro poteva dire più di quello che lei stessa, molto sinteticamente, aveva espresso?
Gli interventi di molte altre Parole si susseguirono fino a notte inoltrata. L’Ano manifestò una profonda contrarietà, anche a nome della dirimpettaia Vagina. Erano entrambi indispettiti da certi Aggettivi che qualificavano, a volte in maniera degradante, la loro integrità fisica. Per ultimo parlò l’Incubo, Inquietante come non mai per via della tarda ora. Il Re ascoltò con la massima attenzione anche i suoi deliri. Dopo quest’ultimo intervento, si era fatto un’idea assolutamente precisa di come stavano le cose. Da buon Governante, decise secondo il suo giudizio
e queste furono le sue conclusioni.
- Ho ben capito, cari Sostantivi, quali sono i motivi che vi hanno spinto a mettervi contro i vostri cugini Aggettivi e quindi contro le regole della Lingua. È questa ricerca, come voi dite, di identità che vi rende irrequieti. Come tante donne smaniose, volete entrare nella stanza del trucco e migliorare il vostro aspetto
per rendervi desiderabili. Ma credete che ciò sia possibile? Signora Morte, lei crede davvero che potrà mai essere Bella e Avvenente come una Fata? Signor Dolore, si illude di poter diventare Amabile come un buon bicchiere di Vino? E lei, signora, che non oso nominare, pensa davvero di poter diventare Dolce come un
Bignè? A me questo vostro malcontento sembra una follia.
I Sostantivi, per nulla intimoriti, cominciarono a rumoreggiare. Il re, spazientito, battè il pugno sul tavolo.
- Avete completamente dimenticato che tutti voi siete e rimarrete soltanto Parole, umili servi cioè alle dipendenze dei Fatti? Tutto il resto è frutto della vostra Fantasia, forse malata, e chiedo scusa alla signora Fantasia, se la offendo in questo modo. - il Re, si rivolse con deferenza al suo gentile suddito. - Non saranno
gli Aggettivi che desiderate a rendervi diversi. Non siate ridicoli! La Morte non potrà mai essere Desiderabile, come la Vita non potrà mai essere Eterna. E tu, mia cara Innominata, rasségnati, rimarrai per sempre uno Scarto Maleodorante! Perciò, vi dico, tornate a casa in pace! – I Sostantivi rumoreggiarono ancora più forte, ma il Re, imperterrito, continuò il suo rimprovero.
- Ognuno impari ad amare se stesso e quegli Aggettivi che lo accompagneranno, nel bene e nel male, per sempre e…
- Le vostre sorti non dipendono da essi, aggiungo io! - Qualcuno dei presenti osò interrompere il Re. Questi gli lanciò contro uno sguardo di fuoco.
- Chi sei tu che sfidi la mia ira? - chiese stizzito.
- Sono il Destino e nessuno può sfuggirmi!
Un gelido silenzio cadde sulla sala. Aggettivi, Sostantivi e Verbi abbassarono il capo in segno di rispetto verso l’ultimo intervenuto, sospendendo ogni protesta verbale. Come avrebbero potuto inimicarsi un personaggio così importante?
- Questo - pensò il Re, che era buon amico del Destino. - è il momento giusto per chiudere l’udienza. E così fece.
Ognuno dei presenti ritornò lento e muto nelle pagine del Dizionario, da dove era sceso, e riprese il posto assegnato. Il Re sorrise soddisfatto: la rivolta, almeno per questa volta, era stata domata con successo.

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Un amore impossibile

'Tutta la materia vive, ha coscienza di sé
e reclama la vita degli uomini.' (Mark Allen)
New York
Grande era l’amore che scaldava l’anima di Laura. Un amore di quelli che fanno salire le pulsazioni, tremare le gambe, confondere la ragione. Ogni volta che lei guardava il volto di Fred oppure soltanto ne percepiva il profumo, i suoi occhi si accendevano di passione. In quei momenti Laura avrebbe pagato chissà che cosa
per stringersi fra le braccia del suo uomo e baciarlo fino a perdere il respiro. «Vieni qui, stupido!» - gli diceva in continuazione senza ricevere risposta. Fred sembrava non ascoltarla. Continuava a fissarla con uno sguardo freddo ed impassibile, incurante, almeno in apparenza, dei desideri che suscitava. Ma anche lui era perdutamente innamorato di Laura. Mai però sarebbe sceso dalla bicicletta su cui sedeva per prendere la mano della creatura meravigliosa che aveva accanto: a volte non basta la fiamma del desiderio perché un amore si realizzi.
Laura e Fred erano due manichini che vivevano la loro vita nel reparto abbigliamento al quinto piano di Macy’s, il grande magazzino di New York. In quel periodo formavano una bellissima coppia di sportivi. Lei indossava un completo da tennis, lui una muta da ciclista. «I sogni che si realizzano sono merce rara». - amava ripetersi Fred, che da tempo era scivolato nella più fredda e totale rassegnazione. Sapeva bene che recidere i legacci della materia che lo tenevano bloccato e conquistare la vita degli esseri umani era impossibile. Laura no. Era possibilista. Attendeva con incrollabile fiducia il giorno in cui sarebbe volata via con Fred verso l’infinito. Quando una lacrima, invisibile agli occhi degli uomini, anche quel giorno, rigò il viso della sua donna, Fred ebbe un moto di ribellione. Avrebbe urlato se avesse potuto. E pianto. Soffriva e non riusciva a darsene pace. Il sorriso beffardo ed enigmatico che qualche mano malevola aveva
dipinto sul suo viso mascherava in realtà un dolore senza fine. L’amore, quello vero, è sofferenza. Ne era cosciente. E lui era pronto ad affrontare qualsiasi sacrificio pur di vivere da uomo accanto a lei. In quel grigio giorno di dicembre, la vita per le strade di New York fluiva con il solito, frenetico ritmo. Nel
cielo, fin dalle prime ore del mattino, erano andate accumulandosi soffici nubi che poi si erano spinte a quote altissime. Il fragore di un tuono verso mezzogiorno annunciò l’arrivo del temporale. Poi una pioggia diagonale e dura scese sulla metropoli e graffiò via anche lo sporco dalle vetrate dei grattacieli, che, sotto il
soffio di venti rabbiosi, presero ad oscillare come giganteschi pendoli. Perfino le acque dell’Hudson si ornarono di creste spumose. In un impeto di rabbia, il vento formò un imbuto di nuvole e si avvitò sulla parte orientale della città risucchiando tutto quello che incontrava nel suo folle girovagare. Tutti i passanti furono
costretti ad ingaggiare una vera e propria lotta prima di trovare un riparo sicuro. All’improvviso, un fulmine cadde su Macy’s, squarciò la vetrata che dava sulla trentaquattresima strada ed entrò con fragore nel piano dell’abbigliamento sportivo, provocando gravi danni. I cavi elettrici, tranciati di netto dalla rovinosa caduta dei pannelli dentro cui erano imprigionati, dettero vita ad un incendio. Le fiamme, il fumo, i calcinacci, i vetri scoppiati terrorizzarono i visitatori di quel piano e ben presto una folla impazzita si riversò verso i piani inferiori. Una massa di aria fredda, densa come nebbia d’autunno, entrò dalla vetrata infranta del quinto
piano e sparse un sottile strato di gelo su ogni cosa, ridimensionando e poi soffocando l’incendio. Come se fosse in cerca di qualcosa, il getto d’aria girò nell’ampia sala e con un guizzo si lanciò su Laura e Fred: i due rotolarono a terra di colpo. Poi, così com’era venuta, la nuvola uscì dalla vetrata rotta.
- Cosa è successo? - si chiese Laura stordita, mentre cercava di recuperare la posizione eretta.
- Accidenti, ma questo è sangue! - esclamò Fred guardando la mano che aveva portato allo zigomo.
Ci volle un po’ di tempo prima che la lucidità schiarisse le loro menti e la ragione avesse il sopravvento. La preoccupazione che ebbero subito dopo la caduta fu quella di rimettersi in piedi. Il dolore, che ora per tutto il corpo provavano, li aveva distolti dalla consapevolezza di essere diventati due esseri umani. Fu Laura la prima a capire che la realtà ruotava intorno a lei in un modo diverso. Sbarrò gli occhi dalla sorpresa e dalla paura. D’istinto con lo sguardo corse a cercare Fred. Questi non riusciva a rendersi conto del cambiamento avvenuto. Avvertiva solo qualcosa di strano. Si guardò i polpastrelli delle dita. A lungo. Erano insanguinati. Guardò Laura. Quando i loro sguardi si incontrarono, lui prese piena coscienza della nuova, sconcertante realtà in cui era immerso. Fred si avvicinò con movimento lento a Laura, che era ancora a terra. Le si sedette accanto. Girò e rigirò le palme e mosse le dita, incredulo. Più volte. Sorrise. Approfittò di quegli strumenti meravigliosi per accarezzare il viso della sua donna. Lei invece li usò per stringere al petto il suo uomo. Fred, come un bambino, tuffò il viso fra i caldi seni della donna e ne respirò la femminilità. Entrambi piansero senza ritegno. Per lunghi istanti rimasero in silenzio a godere delle dolci sensazioni che il contatto dei loro corpi caldi generava. Si guardarono a lungo negli occhi prima di scambiarsi un lungo, dolcissimo bacio.
- Fred, ho tanto freddo… - disse Laura con voce tremante ad un certo punto.
- Anch’io. - rispose lui, macchiato del sangue che colava dal suo viso. - Vado a cercare qualcosa da indossare.
L’uomo si portò sul versante opposto del piano, là dove c’erano i capi invernali. Lo sguardo gli cadde sul pesante giubbotto di pelle che stava appeso alla sedia della ca sa. Apparteneva forse al cassiere che era fuggito con gli altri dopo lo scoppio dell'incendio. Lo indossò. Raccolse quindi un maglione ed un pesante
soprabito per Laura e tornò da lei. La donna era talmente intirizzita da non riuscire quasi a parlare.
- Avevo sempre creduto che un giorno il nostro sogno si sarebbe realizzato... – ebbe la forza di dire mentre poggiava la testa sul petto muscoloso di Fred.
- L’ho sempre sperato, ma non ci ho mai creduto. - rispose Fred.
Cominciarono a scendere le scale mobili, che erano bloccate dall’assenza di energia elettrica, ed arrivarono al piano terra dove regnava la confusione più totale. Ne approfittarono per uscire indisturbati all’aperto. Fuori la situazione era ancora più caotica. Pompieri, ambulanze e rappresentanti delle emittenti radiotelevisive
erano immediatamente arrivati sul posto con imponenza di mezzi. La polizia aveva messo strisce di nastro bianco e rosso attorno all’edificio per bloccarne l’accesso. Fred e Laura entrarono nel nuovo mondo con paura. Fu il timore che qualcuno potesse privarli in qualche modo della loro libertà a spingerli ad allontanarsi
in fretta dall’edificio. Facendosi forza l’un l’altro, mano nella mano, s’avviarono sulla trentaquattresima strada e si confusero fra la folla, incuranti della pioggia che li bagnava come pulcini. Erano felici. Il resto non contava niente. Si guardarono ancora una volta stupiti: erano davvero esseri umani come gli altri?
Arrivarono a Central Park. Quel parco meraviglioso li teneva lontani dalle assordanti automobili e dalla gente. Erano spaventati da tutto. Stretti a braccetto, camminarono a lungo sotto la pioggia. Poi, sfiniti, sedettero su una panchina semi-nascosta da un cespuglio. Fred strinse Laura a sé e la baciò. Quel bacio liberò la scintilla della passione e i loro corpi divamparono come torce: consumarono su una panchina bagnata un amore a lungo sognato.
- Non avrei mai pensato che la vita degli uomini fosse così bella! - disse sospirando Laura, con il cuore traboccante di felicità.
- Neanche io. - aggiunse Fred, felice come un ragazzino nel giorno del suo compleanno. Laura dette un leggero colpo di tosse.
- Ho fame e freddo, amore.
- Anch’io. – rispose Fred
Il nuovo corpo cominciava a manifestare esigenze sconosciute alle quali i due non sapevano bene come reagire. Furono gli istinti di base però ad indicare ai ‘neonati’ la strada da seguire nei primi momenti della nuova 'vita'.
- Dobbiamo trovare qualcosa da mangiare e soprattutto un riparo. – disse deciso Fred. Come aveva avuto modo di osservare nella sua precedente vita da manichino, sapeva bene che per comperare qualcosa occorre avere denaro. E a quel pensiero Fred si sentì perso. Dove l’avrebbe preso? Una folgorazione improvvisa lo spinse a frugarsi addosso. Da una delle tasche del giubbotto estrasse un portafoglio. Quando vide che all’interno c’erano diversi biglietti verdi, esplose di gioia.
- Questa è la nostra salvezza! - disse trionfante.
A pomeriggio inoltrato, alle quote più basse, il vento cominciò a perdere energia. S’affievolì progressivamente e poi sparì del tutto. Le nuvole s’allontanarono a passo di danza e nel cielo sgombro apparve un grande arcobaleno che, come un pittore svagato, rovesciò un barattolo di mille colori sulla città. Dopo il tramonto, migliaia di luci, simili a lucciole vagabonde, si accesero dentro ai grattacieli che ora si rispecchiavano nelle calme acque del fiume. Giù nel porto, i passeggeri delle navi transoceaniche, che attendevano impazienti di addentrarsi nell’Atlantico, ammirarono un panorama di incredibile bellezza. Dritti come fusi, tutti i grattacieli ora solleticavano il cielo pulito. A sera, un magico silenzio strinse il porto nelle sue
braccia. Fu così che, camminando senza meta, Laura e Fred si ritrovarono a Times Square. C’era molta gente che sbocconcellava qualcosa; più di qualcuno aveva in mano un sacchetto da cui tirava fuori del cibo. I due capirono che in quei sacchetti c’era qualcosa di desiderabile. Non impiegarono molto a capire quale fosse la direzione giusta da prendere. Era bastato loro guardarsi intorno. Dopo alcuni istanti si trovarono di fronte ad un grande McDonald’s. Un gentile commesso mise sul vassoio hamburger e patatine ed essi iniziarono a mangiare per la prima volta. Con avidità. Mangiare era cosa piacevole. Questo era quello che capirono subito. Risero degli strani rumori che uscivano dalle loro bocche quando bevevano la Coca Cola. Ma il vero piacere lo trovarono nel bere il caffè. Dava calore ai loro corpi infreddoliti. Dopo aver soddisfatto il loro bisogno primario, rimasero nel locale ad osservare quell’umanità variegata che sfilava davanti ai loro occhi senza sosta. Laura era attratta dai bambini che agitavano festanti dei palloncini colorati. Li amava senza comprenderne il perché. Poi una riflessione su le altre prese il sopravvento. Cos’altro erano loro stessi, pensò, se non bambini proiettati di colpo sulla ribalta di un mondo di 'grandi' che non conoscevano? Sorrise a quel pensiero. Altro tempo passò. Fred notò che il viso di Laura si era acceso di un rosso vivo. Era più bella che mai e lui la baciò delicatamente sul collo. La donna era molto calda, quasi bruciava. Fred non dette importanza al particolare. Non poteva dargliene. La sola cosa che importava era la realizzazione del loro sogno. E a quel sogno Fred si aggrappò, in quel sogno si adagiò prima di cadere, all’improvviso, addormentato. Anche Laura s’addormentò, ben stretta al suo uomo, neanche avesse paura di perderlo. Quando arrivò l’ora della chiusura, un inserviente svegliò Fred e lui toccò con mano leggera Laura. La donna
faticò a riprendersi. Nel mettersi in piedi, addirittura vacillò, sembrava incapace di sostenersi e Fred fu costretto a sorreggerla. S’avviarono lungo la strada senza sapere dove andare. Il freddo era diventato ancora più pungente e cominciava a mordere con violenza i loro corpi. Avevano bisogno di calore e Fred si
industriò di trovare un luogo confortevole dove trovare rifugio e riposo. C’erano degli uomini, non molto lontano, intenti a scaricare scatoloni da un camion che altri portavano dentro ad un grande magazzino. Non visti, si introdussero nel locale. L’ambiente era grande, ben riscaldato e c’era in abbondanza merce che
poteva offrire loro riparo sicuro. Fred sistemò alcuni scatoloni in modo da formare una barriera che li proteggesse da sguardi indiscreti. Sarebbe stata la loro camera da letto. Poi prese uno scatolone vuoto, lo aprì e lo stese a terra. Sarebbe stato il loro materasso. Aiutò quindi Laura a distendersi. Con uno straccio trovato non molto lontano le tenne sollevata la testa. Il corpo della donna ora addirittura bruciava: una febbre altissima la stava divorando.
- Amore, non riesco a respirare… - disse lei ad un certo punto.
- Cerca di riposare. - la incoraggiò Fred. - forse dopo ti sentirai meglio.
- Sì, amore. - rispose la poveretta con un filo di voce.
Tossì una volta. Poi una seconda, poi a lungo. La tosse, sempre più stizzosa, le procurava dolore per tutto il corpo, soprattutto al centro del petto e in ezzo alle spalle. Dormirono fino a giorno inoltrato. Al risveglio Fred si accorse che le condizioni di Laura non erano affatto migliorate. Le fu vicino con tutto l’affetto che poteva darle, ma una polmonite stava consumando la giovane donna. Il suo organismo era stato piegato dal freddo della ‘nascita’ e da quello del ‘primo’ giorno di vita, quando aveva camminato indifesa sotto la pioggia. Le
difese immunitarie di entrambi non avevano la forza di contrastare neanche il più debole dei virus.
- Non lasciarmi Fred… sono troppo debole. - implorò lei ad occhi chiusi.
Laura stava entrando dentro a una nuvola.
- Stammi vicino…
Fred la strinse al petto.
- La vita che mi è stata data, non durerà a lungo… - aggiunse la donna con amarezza.
- Amore, no! Non dire così. La nostra vita è appena agli inizi… - cercò di rassicurarla Fred, sempre più preoccupato di non riuscire ad arginare la disperazione che sentiva crescere dentro di sé.
- Lo spero tanto… - ribattè lei con un filo di voce.
Una strana inquietudine scese nel cuore dell’uomo, che non voleva accettare la nuova, sconvolgente realtà. Laura, allo stremo delle sue forze, cadde in un sonno profondo e cominciò a respirare con affanno. Fred si prese la testa fra le mani: avrebbe voluto picchiarla contro il muro. Scacciò dalla mente l’idea di chiedere
aiuto a quegli uomini che sentiva parlottare in lontananza. Li temeva: essi avrebbero potuto anche buttarli fuori da lì. Pescò nel fondo della sua anima un po’ di ottimismo.
- Passerà tutto questo e la fortuna tornerà ad aiutarci… - le disse per incoraggiarla.
D’un tratto una corrente d’aria fredda lo investì. Una voce profonda pronunciò il suo nome e Fred rabbrividì.
- Chi mi chiama? - si chiese sorpreso.
- Sono colui che vi ha dato la vita.
L'uomo non ebbe coraggio di rispondere.
- Volevo dirti che grande è l’amore che ho per voi.
- Soffro… - trovò la forza di dire Fred. - Non volevo una vita come questa…
- Non ti eri dichiarato pronto a sopportare qualsiasi sacrificio pur di vivere da uomo accanto a lei?
- Sì è vero… ma non posso vederla soffrire. Il dolore che provo è troppo grande… perché?
- Grande è il premio finale.
- Non voglio premi… io voglio lei… e lei sta morendo…
- Laura sta per conquistare la vera vita… e questo farà sì che tu diventerai uomo... un vero uomo.
- Il dolore che provo è il prezzo che devo pagare per meritarmi una vita da uomo?
- Sì, Fred.
- È un sacrificio troppo grande… io… io non ce la farò a vivere senza lei…
- Nessuna conquista è senza sacrificio…
- Ma... ma io rifiuto tutto ciò…
- In tal caso tu e lei tornerete a vivere da manichini… è questo che vuoi?
Fred non trovò parole per replicare. Si immerse nei suoi pensieri per trovare una risposta, ma il getto d’aria sparì. Fred, intirizzito, si avvicinò a Laura che aveva perso coscienza. Era bella Laura. Più bella che mai. Con fredda lucidità cominciò a sviscerare l’esperienza che stava vivendo. Mai avrebbe creduto che la vita
degli uomini fosse così difficile e tormentosa. Mai avrebbe creduto di dover pagare un prezzo così alto per una felicità durata alcuni attimi. L’illusione di poter vivere una vita come gli altri era durata soltanto un giorno. Prese atto, con tristezza, che i loro sogni di manichini erano affogati in un mare di dolore e che la loro breve
vita era stata un fallimento. Neanche il loro amore aveva trovato una degna consacrazione, visto che avevano dovuto consumarlo su una squallida panchina invece che fra le lenzuola di un morbido letto. Si chiese anche se chi aveva dato loro la vita li amasse per davvero. Ma non seppe trovare una risposta.
Chissà perché, prese il portafoglio e lo aprì. Estrasse un documento di identità. Al debole chiarore di una luce lontana, intravide il volto di un uomo di colore.
- Sarà un uomo felice? si chiese.
Alcune fotografie scivolarono a terra e Fred ne raccolse una. In essa l’uomo, in divisa da marine della U.S. Navy, era ritratto insieme a sua moglie nel giorno del matrimonio. Sorrise: sapeva benissimo in quale particolare occasione veniva usato quel lungo vestito bianco. Nella ‘vita’ precedente, più di una volta aveva
fatto la parte dello sposo. Fra quelle fotografie spuntarono anche due talloncini. Li osservò attentamente: sopra c'erano stampati due delfini colorati. Erano due biglietti d’ingresso dell’acquario di Genova. L’uomo doveva averli conservati per ricordo. Fred non ne capì l’uso. Raccolse tutto e richiuse il portafoglio con un
po’ di vergogna: spiare i segreti di un uomo, che pure non conosceva, non gli sembrava una cosa bella. La pena che ora gravava sulla sua anima era immensa. Trasse un lungo sospiro. Guardò la piccola e tenera Laura. La sollevò per il busto, la strinse a sé e cominciò a cullarla. Con delicatezza. La donna ebbe di nuovo
un terribile attacco di tosse. Poi più niente. Fred capì che la donna era morta soltanto quando s'accorse che la sua testa ciondolava di lato. E pianse. A lungo, come un bambino rimasto solo. Agitò più volte minaccioso i pugni verso l’alto ed imprecò contro colui che li aveva condannati ad un infame destino.
- A che serve il dolore? A che serve una vita come questa? - si chiese pieno di disperazione.
Scosso dai singhiozzi, sollevò il corpo infuocato della donna, ora più che mai simile ad un manichino, ed uscì dal magazzino. Vagò con lei tra le braccia per tutta la notte, sotto un cielo luminosissimo, finché non arrivò al molo. L’acqua, pur se incendiata da mille luci, era scura e cantava una sinfonia piatta e senza nerbo. Le note sfibrate di quella musica, in cui i violini sembravano lacerarsi nella seta, trasmisero a Fred una grande serenità. L’uomo rimase a lungo in balia di pensieri a lui sconosciuti. Guardò l’acqua con gli occhi di un figlio abbandonato ed ebbe voglia di entrare nel ventre di una madre che non aveva mai conosciuto. Baciò Laura sulle labbra ormai senza più colore, la strinse forte al petto e saltò nel fiume. La discesa dei due verso gli abissi fu rapida. L’acqua, appena le bolle d’aria ebbero esaurito la loro corsa verso l’alto, ritornò in pochi istanti calma e tranquilla.
Quando le prime luci del giorno illuminarono il porto, poco lontano dal punto in cui alcuni nottambuli avevano visto scomparire Fred e Laura, i soccorritori rinvennero due manichini. Se ne meravigliarono. I due erano abbracciati l’uno all’altro e la cosa era davvero strana. Come e perché essi fossero finiti in acqua, fu cosa cui
nessuno riuscì a dare un senso logico. Si pensò, molto semplicisticamente, che qualche irresponsabile avesse compiuto una bravata e sulla faccenda calò ben presto il disinteresse più totale. La vita e la morte di Fred e Laura si consumarono così senza che nessun essere umano ne avesse avuto conoscenza. Forse la morte li ha salvati da amarezze e umiliazioni ancora più profonde: di tutti gli esseri umani, essi erano i più deboli e i più indifesi. I più soli. Nessuno avrebbe mai potuto capire che la loro anima era capace di esprimere sentimenti nobili e veri. Meglio di qualsiasi altro essere umano.


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Uno studente difficile
di Fargo

- Fate un po' de silenzio! Avete sentito? Ho detto silenzio! Foscolo! Che c'hai da confabulà co' Ortiz?
- Stavamo a legge du' lettere...
- Che lettere?
- Quelle che j'ha scritto la regazza, l'urtime...
- Mo' c'è lezzione e fatela finita! Tu e Ortiz quanno c'è da cazzeggià nun ve tirate mai indietro... bene, bene... propio a te Foscolo cercavo... hai scritto 'n sonetto che pe' capillo me c'è voluto l'interprete.
- Quale sonetto?
- 'Alla sera'
- Embè? Che ch'ha che nun va? Dicheno tutti che è bello.
- Nun va gnente, ecco che nun va... a comincià dalla punteggiatura... ma chi te l'ha 'mparata?
- Julian Wayne! (1)
- L'attore? Nun ce posso crede.
- Macché attore a professò! Julian Wayne è Bruno Giuliano!
- Me cojoni! E chi è?
- 'N amico de famija che, siccome c'ha bisogno de sordi, dato che va spesso 'n Sudamerica, mi padre j'ha detto de damme quarche lezzione d'itajano...
- A lezzione ce dovrebbe annà lui si è pe' questo!
- A professò, quello se vanta d'esse stato allievo della Paresce (2), scusate se è poco!
- La Paresce? Mai sentita.
- Ma come? La conosce tutta Roma. É una che va 'n giro co' 'n bardacchino a dà lezzioni d'itajano...
- 'N bardacchino? E a che je serve?
- Da scrivania. Se mette all'angoli de le strade, te 'nsegna la grammatica e te scrive tutto quello che voi.
- Senti, senti...
- M'è costato 'n'occhio, però me l'ha coretto lei er sonetto... so stato proprio fortunato, a professò, perché quella ce capisce de letteratura!
- Ce sarebbe da carceralla a 'sta Paresce... bbona propio si fa corezzioni come queste...
- Pe' esse bbona è bbona...
- A Foscolo, nun fa er cascamorto come ar solito! A proposito, te la 'ntenni sempre co' la contessa Pallavicini?
- Sine.
- E come sta?
- Male
- Che jè successo?
- É cascata da cavallo.
- O cazzo! Quanno è successo?
- L'artra domenica. Stavamo a annà da Goethe quanno er cavallo è 'nciampicato dalle parti de Villa Pamphilii...
- Embé?
- La contessa è ruzzolata pe' tera... ha fatto 'n botto!
- Che annavate a fa da Goethe?
- Volevamo annà a trova Werther che 'sto periodo è ospite a casa sua.
- Veltroni?
- Werther ho detto, professò. Mica Walter. È 'n periodo che nun sta tanto bene.
- Er giovinotto?
- Sì. Propio lui.
- Che ch'ha?
- Ch'ha li dolori.
- Li dolori? Che deve da partorì?
- Soffre de core, quer poraccio.
- É cardiopatico?
- Macchè, a professò! Soffre le pene de l'inferno, però d'amore! Nun se riconosce più, è ridotto 'no straccio.
- E che cazzo, Foscolo! Stanno tutti male l'amichi tua? Nun sarà che porti jella pe' caso?
- A professò, vero è che sto a scrive 'Li seporcri', però da qui a portà jella ce ne core...
- Li seporcri? Oddio, Foscolo, famme grattà... che robba so' 'sti seporcri?
- 'N carme.
- Dimmene 'n pezzo.
- All'ombra dei cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della morte ben duro?
- Ben duro?!? Hai capito 'sta Pallavicini...
- A professo', me so' sbajato. Volevo dì' 'men duro'.
- Foscolo, Foscolo... vabbè, passamo ad artro... hai fatto 'n macello coll'urtimo compito, lo sapevi?
- Ma, veramente...
- Quante vorte t'ho detto che nun vojo vedè le parole tronche ne li sonetti?
- Ma, professò, l'endecasillabo... la rima...
- E che vordì? Si spremi la capoccia le parole escheno, artroché! É troppo facile usà le parole tronche. E poi 'quïete' perché me l'hai fatto trisillabo?
- Pe' via dell'endecasillabo.
- Aridaje! Così però lo dovemo da legge quì-e-te, si metti, come hai messo, la dieresi sulla i.
- Giusto?
- Giusto.
- Sbajato, cazzo! Che nun lo capisci?
- E come dovevo da fa?
- Dovevi da scrive, per esempio: 'L'immagine della fatale quiete/forse tu sei, così cara a me vieni...'
- Giusto?
- Giusto.
- E da quanno 'n qua se scrive 'i zeffiri' invece che 'gli zefiri' e poi co' 'na effe sola? Qui so' due l'erori.
- Beh, professò, 'na licenza poetica me la dovete da concede.
- Sei furbo, Foscolo, ma nun me la ricconti giusta! Guarda 'sto verso: 'e quando dal nevoso aere inquiete'. Me lo dici come lo devo da legge pe' fa tornà l'endecasillabo?
- Beh... oddio... la sineresi se magna la o di nevoso e la e finale di aere... così er verzo torna.
- Troppo comodo. Sei uno scanzafatiche, artro che storie! Un lavativo, un dongiovanni e 'no scrittore da poco. Questa è la verità. Co' 'sti sonetti nun entrerai mai nella storia, te lo dico io, mica 'n cojone. Tocca da fa li sarti mortali pe' leggete, a Foscolo. Guarda qui! Che c'è scritto?
- Meco.
- Da quanno 'n qua se dice meco?
- Perché nun se po' dì?
- None. Che a casa tua lo dite?
- Quarche vorta.
- Me cojoni!
- Ah, professò, però voi lo dite... e so già du' vorte...
- Dico che?
- Meco.
- Ma quanno mai?
- Ahò, l'avete appena detto.
- A Foscolo, che me stai a cojonà,?
- Avete detto 'meco joni', mica so scemo io.
- Guarda che si me voi pija per culo hai sbajato indirizzo! A Foscolo, io te massacro, artro che cazzi! Guarda qui che hai scritto, per esempio!
- 'Secrete', embé?
- Che è participio passato de secerne?
- No.
- E allora?
- Sta pe' 'anniscoste'.
- Allora dovevi da scrive 'segrete'.
- Me possino cecamme... è vero!
- C'ho sempre raggione io, a Foscolo si ancora nun l'hai capito! 'Sto sonetto è vecchio come er cucco. Oggi nisuno parla più così. Così l'ho dovuto da riscrive da capo pe' daje 'na parvenza cristiana. Tiè, ecchite er compito coretto e va' a posto che quattro oggi nun te lo leva nisuno! E domani vié a scola accompagnato da tu' padre...
- È 'na parola!
- Perché?
- 'Sto periodo se sta a batte la Fagnani Arese e a casa nun ce sta mai.
- Ah, ma allora quello de 'ntendevela co' le contesse è 'n vizzio de famija! Beh, dije de mollà perché j'ho da parlà. E adesso, si voi sapè come se scrive 'n sonetto, leggi qua!

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Alla sera

L'immagine della fatale quiete
forse tu sei, così cara a me vieni,
o Sera, corteggiata dalle liete
nuvole estive e zefiri sereni.

E sempre, quando giù dall'aria inquiete
tenebre oscure all'universo meni,
scendi invocata tu che le segrete
strade del cuore dolcemente tieni.

Con i pensieri vago sulle orme
che vanno al nulla eterno mentre fugge
questo mio tempo e assieme a lui le torme
delle cure per cui con me si strugge.

E, mentre guardo la tua pace, dorme
il guerrillero che dentro mi rugge.

di Fargo

Alla sera


Forse perché della fatal quiete
tu sei l'immago, a me si cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.


di Ugo Foscolo

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