Questa proprio non ci voleva.
Partire per lavoro alla vigilia di natale. Solo al suo capo potevano
venire idee simili. E fra i tanti collaboratori, più in
gamba, più risoluti, più efficienti e manageriali,
chi ti va a scegliere? Lei, l’ultima ruota del carro, l’imbranata,
la timida, la riservata, la più insignificante dell’organico.
Forse proprio per questo: era sicuro che solo lei non gli avrebbe
detto di no. “E mi raccomando, curi la sua immagine, perché
sarà lo specchio dell’efficienza e della buona salute
della nostra azienda” L’ultima stoccata era diretta
al suo aspetto. Ma mica era colpa sua se madre natura non l’aveva
dotata di tutte quelle qualità estetiche che, guardandoti
allo specchio, ti fanno benedire di essere donna. Era consapevole
che un bell’aspetto aiuta sempre, in qualunque campo, anche
in un lavoro come il suo, sotterraneo, oscuro e mal riconosciuto.
Il suo di aspetto non era gradito neanche a se stessa, figuriamoci
agli altri. Mai e poi mai avrebbe pensato di essere mandata allo
scoperto, di più, allo sbaraglio.
Sprofondata nella poltrona del suo scompartimento di prima classe
(prima classe! Un lusso che poteva permettersi solo perché
pagava l’azienda) aspettava che iniziasse il viaggio, breve
ma pieno di incognite, un salto nel buio, una prova che avrebbe,
in un modo o nell’altro, dato una svolta al suo futuro di
piccola burocrate. Non temeva di fallire dal punto di vista effettuale,
in quei sei anni di lavoro, in maniera silenziosa, si era resa
conto della gestione dell’azienda e ne aveva incamerato
ogni più piccola scaltrezza, stipando tutto nel sottofondo
della sua memoria. Non si sa mai, pensava, ci può sempre
essere un momento in cui scopra che tutto ciò è
stato utile. E il momento era giunto. Perciò credeva di
poter essere in grado di assolvere al compito che le era stato
affidato. Quello che la spaventava era invece l’approccio
fisico con il suo interlocutore. Sapeva che se appena lui l’avesse
guardata con occhio indagatore, valutandone la scarsa avvenenza,
vagliandone l’anonimità dell’abbigliamento,
misurandone il grado di disinvoltura, si sarebbe sciolta come
cera calda e tutto il suo bagaglio di nozioni si sarebbe dissolto
in un bagno di acido.
Il treno aveva iniziato a muoversi. Dietro al finestrino sfilavano
i lampioni della stazione che si andava allontanando. Pochi viaggiatori.
Chi doveva partire non aveva aspettato la vigilia di natale. Alla
stazione di Pedara un gruppetto di persone attendeva di salire.
Ma certo non era gente da prima classe, contadini probabilmente,
o impiegati dello stato, avrebbe continuato a viaggiare da sola.
Ma, dopo qualche minuto, appena il treno ebbe ripreso il viaggio,
la porta del suo scompartimento si aprì ed entrò
un uomo con una bambina. Scambiarono un cenno di saluto, l’uomo
sistemò il bagaglio e, dopo aver fatto sedere la bambina,
si sedette a sua volta. Ida cominciò a sentirsi a disagio.
Adesso doveva iniziare a conversare? E cosa avrebbe dovuto dire?
E se le avessero chiesto di lei cosa avrebbe risposto? Ricordò
di avere letto da qualche parte che le conversazioni più
intime si svolgono sempre fra compagni di viaggio, persone che
incontri una sola volta nella vita e alle quali, proprio in virtù
di questa non continuità, sei disposto a confidare tutto
di te.
La bambina era immusonita. L’uomo le cercò la manina
e la tenne fra le sue. “Cosa c’è che non va?”
le chiese dolcemente. La piccola fece una smorfia e non rispose,
ma qualche attimo dopo le scivolarono sulle guance due grosse
lacrime. “Ti prego, non piangere, vedrai che andrà
tutto bene. I nonni ti aspettano ed anche i tuoi cugini, sarà
un bel natale, te lo prometto ” Le lacrime si fecero più
copiose. “Voglio la mia mamma ”
“Piccola, lo so che ti manca la mamma, ma ti assicuro che
presto questa assenza diventerà un dolce ricordo che rimarrà
dentro al tuo cuore e che ti terrà sempre compagnia. Le
persone che amiamo restano sempre con noi”
L’uomo trasse a sé la bambina e la strinse contro
il suo fianco. Poi si rivolse a Ida: “Mia moglie è
mancata tre mesi fa’ ”
“Mi spiace, comprendo la pena di sua figlia” Guardò
quella bambina con tenerezza. Nove o dieci anni, un visetto smunto
dove la cosa più bella erano quegli occhi annegati nella
tristezza di un’assenza definitiva; una bocca tremante nello
sforzo di trattenere il pianto. Aveva certamente bisogno di essere
consolata, rassicurata, le sarebbe stato di aiuto essere in qualche
modo distratta da quel suo pianto. Ma Ida si sentiva più
che mai imbranata, più che mai incerta su quelle che avrebbero
potuto essere le parole giuste. E tuttavia quella presenza raggomitolata
quasi a nascondersi le dettava un sentimento di compassione così
grande che avrebbe voluto aprire le braccia ed accoglierla.
“Come ti chiami?” Non trovò niente di meglio
da dire.
La bambina tirò un lungo sospiro, come a volere dare aria
ai suoi polmoni, e disse, con una vocetta che sembrava uscire
dalla pancia di una di quelle vecchie bambole parlanti: “Luisa”
Ida pensò che era un nome desueto per una bambina di oggi.
Le venne in mente il Piccolo mondo antico di Fogazzaro.
“Io mi chiamo Ida –disse- vuoi sederti qui vicino
a me per parlare un pochino?”
Come se non fosse stato un invito ma un ordine, Luisa si alzò
e le sedette accanto.
“Luisa è vissuta a Pedara dalla zia da quando mia
moglie si è ammalata –spiegò l’uomo-
E’ naturale che adesso trovi drammatico cambiare ambiente
ed abitudini ”
Ida annuì. Trovava sempre difficile fare conversazione,
in questo caso poi le sembrava addirittura stupido. Cosa avrebbe
potuto dire se non le solite frasi di circostanza? Quegli insulsi
luoghi comuni che tolgono vigore ai sentimenti e che finiscono
per appiattire e snaturare la vera essenza delle tragedie personali.
E come sempre si sentì inadeguata, inidonea a qualunque
rapporto umano.
“Lei ha figli?” Le chiese l’uomo.
Ida scosse la testa. Che dire? Che non ne aveva e basta? Che sperava
di averne? Che ne aveva aspettato uno? Quell’aborto era
conficcato nella sua anima come un chiodo arrugginito. Non c’era
notte che non le tornasse davanti agli occhi quel fiotto di sangue
che le scorreva lungo le gambe. E il rimorso per la disperazione
che aveva provato a sapere ch’era incinta non le dava pace.
Era arrivata a credere che fosse stato il suo inconfessato rifiuto
di quella gravidanza a farla abortire: quel bambino che non era
nato l’aveva punita negandosi. Era stato la conseguenza
di un amore che non avrebbe mai avuto sbocco, perciò si
era spaventata: sola, come avrebbe affrontato tutta la situazione?
Fausto aveva parlato chiaro: su di lui poteva contare poco o nulla.
E mentre si dibatteva nell’angoscia se far nascere o no
quella creatura, questa aveva deciso per lei: aveva rinunciato
da sé alla vita. Dopo, non aveva mai più considerato
l’eventualità di avere un figlio. Le sarebbe parso
di far morire due volte la sua creatura.
“Mi scusi, sono stato indiscreto”
“No, non si preoccupi. E’ solo che mi ha colto un
ricordo triste ”
“Mi scusi ancora. Ma non si lasci immalinconire, lei è
dolce e graziosa e la tristezza non le si addice”
Credette di essere arrossita. Non era abituata a sentirsi dire
che era graziosa e d’altronde non faceva nulla per esserlo.
In ufficio era chiamata Vereconda per la sua attitudine a non
mostrare di sé più del necessario, ma non c’era
malanimo in chi lo diceva. Le colleghe parlavano spesso di lingerie,
tanga, perizoma, giarrettiere…e facevano a gara a chi si
scopriva di più. Un giorno aveva sorpreso Laura seduta
sulla scrivania del capo, aveva le gambe leggermente divaricate
e gli diceva: ti piacciono le mie mutandine? Mica si era scandalizzata,
ma lei non ne era capace,tutto qui.
“Posso chiederle dove è diretta?”
“ Vado a Reggio per lavoro”
“La vigilia di Natale!”
“E’ stata l’idea peregrina del mio capo. Stasera
devo incontrare un cliente della nostra azienda che è di
passaggio”
“Se le dicessi che vado a Reggio anch’io?”
“Direi che è una coincidenza”
“E dove passerà la notte di Natale?”
“Presumibilmente in albergo. In attesa del primo treno di
domani”
“Perché non viene con noi? Siamo da mia madre. E’
triste stare da soli la notte di Natale”
Ida sorrise. “Grazie, lei è molto gentile. Ma sarei
solo un’intrusa”
“A Natale nessuno può essere un intruso”
“Dai, Ida, vieni con noi” Luisa finalmente sorrideva
e Ida ne fu contenta. Le prese le mani: “Davvero ti farebbe
piacere?”
“Sì, tanto. A Reggio non conosco nessuno, te invece
ti conosco” Si era rasserenata e il suo visetto aveva preso
un’espressione quasi gaia, come se, dopo una punizione,
le fosse giunto un dono inatteso.
Il treno si immise in una galleria. “Ho paura del buio”
disse Luisa. E si strinse al fianco di Ida a cercare protezione.
“Chiudi gli occhi e conta fino a cento, quando avrai finito
il buio non ci sarà più”
Luisa si mise diligentemente a contare. All’uscita del tunnel
li colse un boato. Fu un attimo. La carrozza si inclinò
e precipitò nel burrone. Un urlo e poi il silenzio.
Le trovarono abbracciate come madre e figlia.