Candido
L’appartamento in una palazzina di
Milano, vista su un asse di scorrimento, aria pulita a ferragosto,
era per Candido il migliore dei mondi possibili. Era cresciuto
a nutella, brioshes e merendine in una scuola di Milano, clonato,
nei pomeriggi e nei festivi, da una televisione che ripeteva tra
gli orrori che questo è il migliore dei mondi possibili.
E lui con l’ingenua semplicità ed entusiasmo dei
suoi giovani anni, aveva fatta sua questa idea. Era di carattere
allegro. Gli piaceva la sua famiglia sempre affaccendata in mille
stupide importantissime quisquilie. Gli piaceva andare, il sabato
sera, con gli amici a mangiare pizza vegetariana, ma soprattutto
gli piaceva Valentina, una ragazza della III B che ancora non
si era accorta di lui, ma rendeva con il suo sorriso più
tollerabile la grigia aria del Liceo Mariani Assurdi che Candido
frequentava.
Nell’ora di educazione fisica, mentre correvano nei soliti
25 minuti iniziali intanto che il prof. utilizzava con soddisfazione
il suo nuovo telefonino e si raccontavano con il poco fiato che
rimaneva gli ultimi avvenimenti, un ragazzo della classe di Valentina
lo informò che la sua amata era stata rapita. Non lo hai
sentito al telegiornale? Cavolo, aveva da studiare e i suoi non
sapevano niente del suo love. Quando lo seppero, perché
dal suo volto emaciato trapelava inevitabilmente la grande sventura
che lo aveva colpito, iniziarono il lamento: “Con la figlia
di un salumiere: ti vai a incapricciare proprio della figlia di
un salumiere, ricco, certo, ma pur sempre un salumiere!”
Il notaio Grilli che sperava in un accoppiamento più prestigioso,
appariva visibilmente contrariato: “Il tempo risana le ferite,
ti manderemo in un College inglese. Diciamo la verità,
qui imparavi soltanto emerite cazzate”.
Candido si rincantucciò nel suo angolo supercomputerizzato
e incominciò a mirare senza centrare un bersaglio. Era
decisamente infelice. Valentina chissà dove e lui a Londra
a fare la bella vita. Se avesse avuto fegato avrebbe lasciato
tutto e sarebbe andato alla sua ricerca. Dopo alcune notti insonni
decise che il coraggio lui ce l’aveva. E si mise a preparare
il necessario per partire quella mattina stessa.
Aveva sentito che Valentina era stata rapita da una banda di Sardi;
quindi andò a Genova e s’imbarcò per Olbia.
In un bar, mentre passava il tempo giocando ai videogames, sentì
parlare della banda degli Animastri che erano molto amati dalla
popolazione per la loro generosità. Infatti, dopo ogni
sequestro andato a buon fine, offrivano vino e dolci a tutti.
Adesso avevano in mano una ragazza, una bella milanese. Subito
Candido si informò del loro nascondiglio - lì tutti
sapevano tutto - e partì.
Il pullman che lo portò nell’entroterra lo lasciò
alla base di una cerchia di monti abbastanza ripidi e Candido
dovette proseguire a piedi. Gli sarebbero servite delle pedule
anziché le sue scarpe da ginnastica super molleggiate e
dopo un’oretta era già stanco morto, perché
a Milano non era abituato a muovere un piede e, a parte i famosi
25 minuti di corsa nell’ora di educazione fisica sfasciabudella,
non si spostava mai. Ma tant'è… Valentina aspettava.
Già immaginava la sua sorpresa nel vederlo, la sua gratitudine.
A dir la verità non aveva dimostrato per lui molta simpatia
nel passato, gli aveva risposto anche con qualche vaffanculo poco
angelico, ma ora Candido non ci voleva pensare.
Invece ci dovette pensare, non appena - era lei, era lì-
se la vide davanti che se ne stava a canticchiare in mezzo a un
gruppo di banditi festaioli. Banditi ospitali, a dire il vero,
che, visto approdare alle loro sponde il giovane con i piedi gonfi
e in preda alle furie d’amore, cucinarono in suo onore una
grigliata di agnello e gli diedero in mano un bicchiere di buon
vino sardo.
Candido, nonostante fosse astemio e anche vegetariano, per non
contrariare i banditi si cimentò con l’orribile carcassa
del montone e bevve a garganella quattro bicchieri di vino del
luogo senza poter evitare la conseguente conseguenza che lo spinse
a dimostrare alla bella Valentina qual era il suo sentire nella
sua interezza.
I banditi liberarono la fanciulla, che d’altronde già
di per sé menava di santa ragione, e Candido, trascinato
di via con i calzoni a mezz’aria, lamentava al vento la
sua sventura. Valentina non ne voleva sapere di lui, e lui, sfidando
sole a picco, calli e banditi, non aveva fatto altro che romperle
le uova nel paniere.
Le uova si chiamavano Giuliano, il bel capo bandito di cui era,
dal giorno del sequestro, diventata l’amante. Giuliano glielo
disse, un po’ scherzando e un po’ serio: non era aria
per lui, se voleva rimanere, padrone, l’ospite si sa è
sacro; ma Valentina era sua e lui si togliesse il pensiero.
Candido nonostante la delusione trascorse una settimana interessante,
meglio che una vacanza al club Mediterranée. Si divertì
a giocare a tric - trac, imparò a scuoiare montoni, contemplò
molti tramonti.
Poi decise che era ora di partire. La vista di Valentina che cinguettava
con il bandito era troppo sgradevole. A quattr’occhi Candido
aveva cercato più volte di convincerla spiegandole che
rischiava grosso con quei tipi che adesso sembrano angeli bonaccioni
ma poi, se gli gira, chissà che cosa ti combinano, ma lei,
invitandolo a farsi i cazzi suoi, lo aveva congedato sbrigativa.
Ritornato a Milano disse subito ai suoi che era disposto a partire
per Londra. In fondo aveva bisogno di aria nuova. Fosse pure nuovo
smog . Tanto meglio.
Al college non mise mai piede. Cominciò invece a lavorare
in un pub giocando in borsa i soldi della retta e con un po’
di fortuna racimolò in poco tempo un discreto gruzzoletto.
Pensò allora che era tempo di lasciare l’Europa e
di conoscere il mondo.
La prima tappa fu il Brasile. Non sapeva neppure lui perché
avesse scelto quella meta. Vagava tra le favelas in mezzo ai bambini
che dormono tra le immondizie e pensava: il migliore dei mondi
possibili?! Noi stiamo bene; abbastanza, anche se i problemi non
ci mancano, ma tutti questi, queste masse sterminate che vivono
di espedienti, pronte a tutto, rassegnate ? Che ne sarà
di un mondo così sbilanciato? A occhio e croce mi sembra
piuttosto pericoloso. Noi siamo in pochi. Milioni e milioni di
persone si riverseranno sull’Occidente come sulla terra
promessa . Cosa potremo fare? Forse per calcolo, o per bontà,
apriremo le braccia ai nuovi venuti. Forse fiduciosi nella nostra
superiorità crederemo di essere sempre e comunque in grado
di condurre il gioco. Ma ...miliardi di persone che vivono con
pochi spiccioli sono una forza gigantesca, è difficile
che l’Occidente la sappia gestire. Così meditava
Candido guardando i ragazzini. Poi per non diventare troppo triste
si metteva a giocare con loro. Gli piaceva quel mondo e stranamente
si sentiva meglio che a casa sua.
Una mattina che s'era alzato prestissimo perché non riusciva
a dormire per il gran caldo conobbe Iole. Aveva 10 anni, era sporca
e vestita di stracci. Eppure era bellissima. Viveva per strada
assieme al fratellino.
«Mi dai qualcosa ?» gli aveva detto la bambina con
la decisa impudenza di chi non ammette un rifiuto.
Candido si era seduto vicino a lei e avevano cominciato a parlare.
La bambina non aveva una casa, non aveva una famiglia, aveva solo
un pezzo di cartone che si tirava dietro. Lei e il fratellino
vivevano soli.
«Soli?» chiese Candido stupito.
«Tanti bambini vivono come noi» precisò Iole
senza scomporsi. «In Brasile è così E' facile
rimanere soli. Gli altri hanno i loro guai e non ti cercano. Così
devi imparare ad arrangiarti».
Lei a dire il vero aveva imparato molto bene.
La strada, di cui conosceva ogni segreto, era il luogo da cui
traeva cibo e riparo. Con l'incoscienza dei suoi dieci anni non
aveva paura .
Candido le si affezionò presto. Al mattino andava a trovarla,
le portava da mangiare e qualche volta andavano assieme a giocare
sul mare.
Iole chiacchierava sempre e allegramente gli raccontava incredibili
sventure, così atroci che Candido non riusciva neppure
a immaginarle come possibili e reali. Suo padre - raccontava la
piccola - era morto nel disastro di una miniera e la mamma, che
aveva sette figli e niente da mangiare, ne aveva affidato un paio
da allevare a una sua vicina, donna buona ma disgraziata perché
aveva un marito ubriacone che, di norma, quando ritornava a casa,
menava senza fare troppi complimenti .
Così, stufi di botte, lei e suo fratello erano scappati
e si erano messi a vivere per la strada come tanti altri bambini.
Candido di fronte a queste sventure si sentiva impotente e anche
un po' a disagio e allora cercava di distrarla chiedendole che
cosa desiderava, che cosa sognava e voleva per il futuro.
La bambina guardandolo negli occhi e ridendo con grazia maliziosa
rispondeva: « Vivere con te in una casa con le finestre
rosse e un bel giardino».
Candido allora scuoteva la testa, sorrideva e la prendeva in braccio
cercando di spiegarle: «Tu sei troppo piccola, non ti posso
portare con me. Sai che cosa mi succederebbe in Italia? Minimo
minimo, mi darebbero qualche annetto di riformatorio».
La bambina allora piangeva e tra le lacrime borbottava che non
era affatto vero, che era tutta una scusa perché non le
voleva bene e non voleva vivere con lei.
Poi, rinsaccocciate velocemente le lacrime che non avevano prodotto
l'auspicato risultato, passava ad altri mezzi facendogli intravedere
possibili paradisi a poco prezzo.
Un giorno, poi, dopo numerose avances allusive che non avevano
smosso Candido di un palmo, la piccola pensò di offrirgli
in modo esplicito e inequivocabile la percorrenza già d’altronde
ampiamente collaudata dei suoi giovani genitali. Al rifiuto di
Candido la bambina, meravigliandosi del suo no accalorato, gli
spiegò con la massima naturalezza che in Brasile a quell’età
lo facevano tutte perché non si correva il rischio di rimanere
incinte.
Ma a Candido la coscienza occidentale non concedeva queste indulgenze
e di fronte a quell’esplosione di ingenuità e di
erotica disponibilità pensò che era meglio fuggire.
La sera stessa aveva già in tasca un biglietto per le isole
Samoa. Sulle rotte di Stevenson volò a Uppolumu andò
alla ricerca di un mondo dall’altra parte del mondo, un
paradiso di atolli dove l’acqua è sempre limpida
e calda.
Certo, l’acqua era limpida e calda e tutto era favoloso,
anche se non era la stagione migliore – ah il biglietto
dell’aereo a prezzo stracciato! - non c’era refrigerio
dagli alisei e il caldo umido non dava tregua neppure la notte.
Affittò una beach-fole e si adattò a un comfort
primordiale dormendo sullo stuoino e facendo a meno del frigorifero.
Queste privazioni non lo infastidivano affatto, anzi, lo mettevano
di buon umore. Quello che non riusciva invece a sopportare era
la vista degli indigeni che, nonostante quel mare di cristallo
e la natura prodiga e ricca, preferivano acquistare le scatolette
di tonno al supermercato.
E poi i giovani, obbedienti e gentili, che non dicevano mai di
no ai vecchi. Strana società quella. Una fissità
incredibile, eppure anche una straordinaria capacità di
ritagliarsi all’interno di stretti binari ampi spazi di
felicità. Forse gli ingredienti della felicità umana
cambiano ma la quantità raggiungibile resta sempre la stessa,
pensava Candido tra sé.
Talvolta percorreva la grande strada, l’unica arteria lungo
la quale, come in un incubo incomprensibile, correvano vecchie
automobili arrugginite. La bellezza dell’isola era scomparsa
nelle vicinanze di quella grande strada. I benefici della modernità,
arrivati negli anni sessanta grazie al governo americano, l’avevano
rovinata irreparabilmente. A lato troneggiava un mozzicone di
fabbrica ormai in sfacelo, non era mai stata finita perché
a un certo momento i fondi avevano smesso di arrivare. A una curva,
una piccola discarica di plastica e merce usata. In fondo, case
dai colori assurdi.
Anche questo paradiso lo stanno sputtanando per bene, pensava
Candido. Su quale pianeta potremo fuggire?
All’annuncio dell’imminente arrivo dell’uragano
dell’anno - era evidente, quella bassa stagione malefica!
- Candido si propose di ripartire. Ma non fece a tempo e dovette
ingollare un giorno di furia tropicale, acqua a fiumi, la sua
fole travolta e lui stesso in salvo a stento su un alto albero
di banane. Il giorno seguente però, ritornato il sole,
il mare più limpido del cristallo, tutto appariva bellissimo,
splendente come non mai. E davanti alla grande cascata di Sopo’aga
Candido si chiese se quello non fosse davvero il migliore dei
mondi possibili. A questa conclusione lo induceva anche la recente
conoscenza di una giovane del luogo che l’aveva aiutato
a scendere non senza sonore risate dall’alto albero di banane,
lo aveva ospitato nella sua capanna miracolosamente indenne e
lo aveva istruito egregiamente in una disinibita arte amatoria.
In tempo rapidissimo l’isola si trasformò per Candido
in un paradiso terrestre. Le notti sulla sabbia ancora tiepida,
il frusciare del vento tra le foglie, l’allegra disponibilità
della fanciulla...
Aveva chiesto a un amico che era rimasto a Londra di spedire ai
suoi con una certa frequenza e regolarità delle lettere
che lui aveva già compilato e di versargli in banca l’assegno
che i genitori gli inviavano per il college. Da lì attingeva
con la sua carta di credito. La portava sempre con sé,
anche nel costume da bagno e di notte nella foresta. E fu proprio
questa onnipresenza a incuriosire la procace selvaggia che, dopo
avergli chiesto se si trattava di qualche misterioso amuleto,
alla sua risposta negativa, ahi!, la sincerità della giovinezza,
seguita da un’esauriente spiegazione sull’uso della
medesima, rimase visibilmente interessata alle impreviste applicazioni
di quella piccola meraviglia. E avendo voluto per di più
Candido farle toccare con mano un così grande prodigio
acquistandole un vestitino molto grazioso, la fanciulla con incredibile
rapidità apprese l’arte di infilare nell’apposita
fessura la carta, digitare la password e via. La settimana successiva,
alla richiesta di un estratto conto, incredulo l'infelice si trovò
ridotto a qualche penny.
Arrabbiato con la ragazza che si era fatta velocissima un guardaroba
molto occidentale, chiese all’amico di fargli avere un po’
di denaro per prendere un biglietto aereo per Milano perché
del paradiso terrestre aveva piene le tasche.
Ritornato a casa impazzì rivedendo il suo angolo super
computerizzato. I genitori davanti a un arrosto con patatine gli
perdonarono di averli così a lungo presi per i fondelli
con la posta falsa britannica. La madre versò anche copiose
lacrime pensando che aveva rischiato di perdere l’amato
figlio mentre giocava a bridge il giorno dell’uragano. Candido
mostrava le più miti intenzioni e, seppure non ne volesse
sapere di ritornare al Mariani Assurdi, però prometteva
di studiare privatamente e di finire in un lampo. Valentina poi
era un pensiero morto e sepolto. Lo affermò con grande
decisione lo stesso Candido che aveva avuto occasione in quei
giorni di rivedere la sua bella. La segnava vistosamente una cicatrice,
ricordo del periodo trascorso con i banditi, e aveva un’aria
che a Candido era piaciuta molto poco. Erano spariti i capelli
lunghi e biondi, l’aria ingenua e quel po’ di sorriso
anche quando diceva di no.
Voltiamo pagina, disse tra sé Candido. La settimana seguente
avrebbe compiuto diciott'anni. Era felice di essere di nuovo a
Milano, di sniffare smog nelle ore di punta, di fare inutili acquisti
, di ascoltare idiozie alla televisione. In fondo quello era pur
sempre il migliore dei mondi possibili. O no?
Lo schiavo
Non era molto convinto che fosse una grande
idea ma sua moglie insisteva. Ce l’avevano tutte le sue
amiche, insomma, in un momento di intimità gli aveva strappato
una promessa che ora si sentiva in dovere di mantenere.
Lo sceglierò io però, aveva detto, almeno voleva
essere sicuro di lasciare sua moglie in buone mani. Aveva preso
qualche giorno di ferie . E si era messo alla ricerca.
Non che fosse difficile. Anzi. Neapolis, in quella primavera del
duemilacinquantuno, pullulava di gente di tutte le razze che continuavano
a riversarsi in Europa come sulla terra promessa. Ce n’erano
molti del Nordafrica, parecchi dell’Africa centrale, degli
Asiatici. Edoardo era indeciso tra gli orientali con il loro fascino
millenario e gli aitanti rappresentanti del Nordafrica islamico.
Erano i più richiesti e, come poté apprezzare in
quelle mattine di libertà, parecchie amiche di Melania
passeggiavano già con qualche bel negretto al seguito.
«Mi raccomando, che conosca l’inglese», aveva
detto sua moglie, «così faccio un po’ d’esercizio
e che sia una persona di cultura». Non c’era che l’imbarazzo
della scelta. Molti erano anche laureati. Ne prese con sé
tre o quattro, lasciando la scelta finale a sua moglie. Melania,
appena lo vide sbucare con il suo seguito, gli corse incontro
felice, «non speravo che saresti stato di parola- disse
- hai fatto un’ottima scelta. Ora li sottoporrò a
delle prove». Optò per quello che la massaggiava
meglio, che sapeva fare degli ottimi croissantes e che nella lista
della spesa non aveva dimenticato nulla. «Sarà un’ottima
compagnia» disse.
I figli ormai grandi, il marito sempre al lavoro, Melania era
caduta, come tante sue amiche, in una cupa depressione. Era lontano
il tempo in cui le donne avevano voluto lasciare il ruolo tradizionale
di angelo del focolare e si erano gettate a capofitto nel lavoro.
Era durato qualche decennio, non di più, l’entusiasmo.
Se ricordava bene quello che aveva imparato a scuola, dalla metà
del ventesimo secolo alla fine poi, già ai tempi di sua
nonna, era iniziato un ripiegamento. Le donne avevano iniziato
a essere malcontente, a rimpiangere il passato, a lamentarsi della
quotidiana fatica. E mentre loro si chiedevano se quella che non
sembrava più una gran conquista ma una dura necessità
non fosse da buttare e non fosse meglio la tradizionale spartizione
dei ruoli che dava più spazio alla vita e più valore
al tempo, intanto il mondo economico aveva già deciso.
La crisi che serpeggiava da anni, negata da tanti colpevolmente,
era esplosa. Chi aveva un lavoro era costretto a orari sempre
più pesanti, i tempi della pensione si allontanavano, lo
Stato che un tempo distribuiva sussidi a piene mani ora non era
disposto a dare neppure una pensioncina corrispondente ai contributi
versati. Le giovani donne che avrebbero voluto lavorare difficilmente
trovavano qualche impiego. Questa situazione aveva portato molte
donne della generazione della mamma di Melania e di quella di
Melania stessa a rimanere a casa. Madri, mogli e basta come in
un novello ‘800.
Ma qualche cosa era cambiato. La vita era diventata troppo facile.
Questo era il guaio. E la noia era sempre in agguato. Prendendosi
cura dei figli, una parte della vita, anche lunga, era in qualche
modo trascorsa; ma i figli crescevano e, prima o poi, si allontanavano,
e allora che cosa rimaneva da fare?
Le amiche di Melania avevano avuto l’idea. In fondo era
gente disposta a lavorare quasi gratis in cambio di vitto e alloggio
e cittadinanza europea. Si poteva avere con sé una fedele
compagnia, un intelligente collaboratore, un piacevole divertimento.
Al mattino, quando suo marito era già da un bel po’
al lavoro, Melania si svegliava avvolta dalle timide note di una
canzoncina lievemente stonata. Apriva gli occhi. Intanto le imposte
erano state aperte e si trovava vicino seduto sul letto il suo
“schiavo”.
Per tutta la vita aveva sognato che suo marito avesse il tempo
al mattino di sdraiarsi accanto a lei quando era ancora nel dormiveglia
e di coccolarla un po’. Invece, sempre di corsa, abituato
a essere efficiente anche quando era in vacanza, appena sveglio
balzava dal letto e, senza neppure stropicciarsi gli occhi, si
metteva subito a lavorare. Si faceva la barba con rumore infernale,
sfogliava velocissimo quattro o cinque quotidiani, ascoltava le
ultime notizie alla televisione e infine scappava via. E lei rimasta
sola sognava che qualcuno le solleticasse la schiena, le accarezzasse
i glutei, le massaggiasse le spalle.
Ma adesso c’era Mohammed, che intuiva quello che lei voleva,
che a un suo cenno era lì, sempre pronto, sempre a disposizione.
Eccolo là, aveva già preparato la colazione sul
terrazzo sapeva fare dei croissantes deliziosi. Poi passavano
in palestra dove, mentre Melania correva sul tapis roulant, Mohammed
le riassumeva le principali notizie. Proseguivano infine per la
passeggiata.
Melania incontrava le amiche ai giardini oppure, quando era la
bella stagione, al mare. Spesso davano qualche ora di libertà
ai loro “schiavi” per poter chiacchierare lontano
da orecchi indiscreti. Le sue amiche raccontavano le avventure
più esilaranti, storie piccanti che a Melania piacevano,
ma poi, quando veniva il suo turno, si schermiva, diceva che lei
mai e poi mai, insomma non ci pensava nemmeno. Era diventata il
principale zimbello della compagnia. Non che non ci avesse mai
pensato, anzi, le piaceva talvolta soffermarsi su quell’idea.
Quanto a metterla in pratica però...Insomma si lasciava
massaggiare, passeggiava con lui chiacchierando, ma si rendeva
conto che non riusciva ad “usarlo” davvero. Anzi,
cercava di stabilire con lui un rapporto di equità, di
rispetto, insomma lo trattava da amico. Per il resto niente, purtroppo.
Non aveva niente di piccante da raccontare.
Mohammed aveva una giornata libera che
coincideva con la domenica ma per lo più non usciva, almeno
al mattino. Se ne stava nella sua stanza, dove si dedicava ai
suoi doveri di buon musulmano oppure ascoltava un po’ di
musica.
E fu proprio una domenica mattina che, aprendo la porta della
sua stanza senza bussare, per portargli un libro che lui qualche
giorno prima aveva espresso il desiderio di leggere, potè
constatare che il suo efficientissimo marito, alzato già
di prima mattina, aveva pensato di fare buon uso dello schiavo
che si trovava suo malgrado tra i piedi. Allibita, con gli occhi
sgranati, Melania potè vedere il noto membro guizzare tra
i denti bianchissimi di Mohammed. Per un po' rimase come intontita,
con un piede ancora nella stanza e la mano sulla porta. Poi si
riscosse. Suo marito era troppo indaffarato per accorgersi di
lei. Mohammed invece la guardava con i suoi occhi di velluto,
visibilmente preoccupato. Che dire? Gli fece un sorriso rassicurante,
no, non lo avrebbe licenziato per questo, e chiuse con discrezione
la porta.