In Treno - di Mario Robusti
Stamattina parte male! Salto di corsa in sella alla moto e parto per Piadena, altrimenti a Parma col cavolo che c’arrivo. Oltre alla luna storta ci si mette anche il traffico. Un camion si è ribaltato sul rondò di Drizzona e tutto è bloccato. Svicolo fra il cattivo umore di mezza provincia, tirandomi dietro una sequela di bestemmie che starebbero bene in bocca ad un camionista turco. Mollo la moto al parcheggio e già sento la sua voce. “ Ciao Mario come vaa?”
“MALE” Il mio umore peggiora viavia che aumenta la nebbia. Poi c’è Elisa, che sa sempre cosa dire per peggiorare la situazione.
“Oggi pome c’è la partitella al campetto, ci sono tutti, vieni anche tu?”
“Bella domanda! Se la fanno a S.Siro mi va bene. Si fa il pienone per veder giocare quel brocco di Skeggia.”
“Oh, è vero. Poverino lui, oggi va a Milano! E poi skeggia guarda che è bravino, mica ha i piedi a pera come te”
Non perdo nemmeno tempo a rispondergli che salto sul primo vagone e cerco un posto tranquillo. Purtroppo Andrea mi blocca subito.
“Hola mario. Come esta la siesta!”
Da quando è stato in Messico è peggiorato a vista d’occhio. O sono stati i funghi trifolati che ha mangiato appena tornato a casa mia?
“Lascia stare Mòra, piuttosto sai chi è il prof di oggi?”
“Ma che mi frega, sarà il solito rompipalle. Mi sto sparando l’ultimo dei GemBoy. E’ una figatademenziale assurda. Si intitola Internettezza Urbana, lo vuoi ascoltare?”
“Oh Dio santissimo bastardo, perché mi trovi amici così?”
Il viaggio a Parma passa via fra i primi appunti universitari e i commenti sulle passegiere. Arrivati a Parma passo un casino di tempo fra abbonamenti ed amici che incontro, gente che non vedevo da una vita. Ma ora sono una matricola, e più gente fai finta di conoscere meno campagnolo sembri.
L’ingresso in università è traumatizzante, 250 studenti schiavizzati e tradotti in un bunker prebellico, dove già cento persone si sentono come gli ebrei su un treno per Birkenau. L’ingresso del professore è seguito da un silenzio tombale. Una palla gialla e grigia con un barbone bianco fa il suo ingresso dalla porta di servizio.
“ Beh, fate comunicazione e non parlate nemmeno con il fostro vicino. Ma ragazzi, aete mai rimorchiato una tipa nella vostra vita?”
Diobonino, questo è un grande! Ha sciolto il ghiaccio in due secondi e subito dopo ha iniziato la mia prima lezione di letteratura italiana contemporanea. Fantastica, divertente, interessante. Le prime due ore di università scorrono via tranquillamente, ed arriva l’ora di andarsene.
A ripeggiorare la situazione ci pensano le emettitrici elettronic/digital/automatiche. Automatica sta cippa! “Il ser-vizio è mometa-nea-mente fuori-uso” Ho cinque minuti per prendere l’intercity, ‘cogiuda mi tocca mettermi in coda. Riesco a farmi pelare la bellezza di trenta vecchie carte da mille e mi precipito al binario. Sorpresa, la stessa vocina di prima “Inter-siti 463 da Napo-li, per Mila-nocentale, è in ritr-do di die-cimi-nuti”.
Che bello sentirsi presi per il culo da una voce elettronica!
Salire sul treno mi ricorda le prime volte delle superiori, quando per saltare(è la parola più adatta) sull’autobus dovevi mandare qualcuno all’ospedale.
Trovare un posto sembra già impossibile, la gente si ammassa sulla banchina, una massa scura in volto e col cellulare in mano. “cara, aspettami un attimino ch il treno ha un ritardino” Cazzo! Un quarto d’ora lo chiami ritardino! Io la chiamo pausa bianco al bar della stazione di Napoli!
Chi ha voglia di scappare bestemmia contro il treno in ritardo. Non ne possono più di questi odori, ma non sanno che ne troveranno di uguali, solo più lontani. Cambierà l’odor di merda di vacca con quello di fogna, ma non è un passo in avanti. Poi c’è chi non vuol partire, che scappa al bar, calcolando inconsciamente i minuti persi che gli farebbero vedere la coda del treno allontanarsi.
Alla fine il treno arriva. Lascio scappare chi ha voglia di vecchio fra i vagoni di prima. Attendo con pazienza il mio turno, e infine, un po’ controvoglia, salgo. Non che Milano mi attiri molto, avrei preferito dover andare in qualunque altro posto sperduto, ma il lavoro al giornale mi potrà servire prima o poi. Il dovere è il dovere…ma quanto cazzo mi costa!
La Parma Milano tra i ritardi, il caldo e la mancanza di una qualunque forma di poltroncina da seconda, inizia a passarmi sotto i piedi.
Il treno è quasi tutto prima, bei sediili puliti per bei contenitori vuoti, cellulare in mano e doppiopetto a righe. Trovo il Basso seduto con suoi Soci in un buco fra due scompartimenti, dove metal e sigarette fanno stare a galla le cazzate. Ce ne freghiamo per un bel po’ di tutti quelli che passando ci guardano storto. Scopro che anche i suoi amici sono mie compagni di facoltà. Però ho voglia di sedermi, e allora saluto, facendomi prometter l’intera collezione dei Deicide e dei Napalm Death. Vado alla ricerca di un posto a sedere. Alla fine dio m’assiste e trovo posto in uno scompartimento di terza, fra nonna Cuncetta e il nipotino gennarino. Il ragazzino sporco sta dormendo, e mi fa un po’ pena. Ma non è lui che ho notato. Ci ero già passato davanti a questo scompartimento, mentre seguivo il Basso nei suoi giri psichedelici. Poi di colpo l’ho vista. Sta guardando fuori dal finestrino, mezza addormentata. Mi siedo cercando di fare l’indifferente, ma mi ha colpito. Sembra stia pensando a quanto lontana sia casa sua, mentre deve andare lontano. Cosa stia guardando da dietro quegli occhiali rosa non lo so. Forse è il cielo che sta guardando quanto i suoi occhi gli assomiglino. Un cielo che vedo eterno e follemente voglioso di vita, mentre si specchia nei suoi occhi. Poi si addormenta, lasciando apparire una ciocca di capelli biondi da sotto un cappotto nero. Ogni tanto are gli occhi, si gira e incontro il suo sguardo. Non sapendo cosa dire o fare, l’unica alternativa è mettersi a scrivere. Raggiungiamo Piacenza, si sveglia: “Quanto manca a Milano?” Non so perché ma le rispondo io. Gli altri passeggieri mi guardano aspettando una mia risposta, come se fossi io il primo a dover parlarle. Io che di solito non spiccico una parola “in un’ora ci siamo, se non si fermano a prendere un caffè”
Un sorriso. Vede il block scribacchiato e mi chiede cosa studio. Panico, che gli rispondo, facoltà di Scienze della Comunicazione in editoria e giornalismo applicati a testi ed ipertesti? Tanto vale dirgli che sto scrivendo un libro per un concorso. La impressiono…
“Ehm, sai, il tema del concorso è un viaggio in treno, e mi sembrava una buona occasione!” Il suo sorriso deve avermi fatto passare dal pallido al rosso fuoco in meno di trenta centesimi.
Riesco a sapere che è di Roma. Forse dovrei insistere, magari otterrei qualcosa… ma non sono così. Certo è molto carina, fa l’università a Roma, e non credo sia venuta a Milano per comprarsi un paio di scarpe. Da Piacenza a Lodi continuo a scrivere questo racconto. Ogni tanto incrociamo i nostri sguardi. Siamo a Milano.
I treni merci ci incrociano, e il cemento avanza fra le robinie ed i prati. Il cielo passa dall’azzurro al grigio. E di colpo siamo immersi dalla Centrale.
“ Beh, se vorrai leggere quello che ho scritto, qui c’è la mia email.”
“certo, mi piace leggere”
“Ok, allora ciao.”
Passo tutto il tempo in redazione a ripensare al viaggio. Poi mi ritocca affrontare Milano fino alla stazione Centrale. Sto per salire sul treno, ma una voce mi ferma, raggelandomi il sangue nelle vene. “ Ohh Mario ma sei ancora quaa?”
“piuttosto te che cacchio ci fai su?”
“Ehh, sono venuta a predere un paio di scarpe per la disco!”
“Proprio oggi…che culo!”