Da "Il maschio ecologico" di Marina Torossi Tevini (Campanottoeditore 1994)

Il tunnel

"Vengo a prenderti domattina. Stresa, Domodossola. Poi in treno passiamo in Svizzera. Andrea viveva a Brig."
Lucia ascoltava ancora sconvolta. "Sì, certo, se si riesce
a ritornare in giornata. Mi sarebbe difficile lasciare Mauro solo con i bambini."
Presero gli ultimi accordi. Poi Lucia riattaccò.
La telefonata di Emanuele, che le chiedeva di prendere parte al funerale di suo fratello Andrea, l'aveva sconvolta.
Ricordava gli anni del liceo e dell'università quando lei era la ragazza di Andrea. Anni inquieti, un po' acerbi, ancora vivi nel suo pensiero.
Poi aveva incontrato Mauro ed avevano deciso di sposarsi. Avevano lasciato Milano, s'erano sistemati in una villetta sul Lago Maggiore. Erano nati i bambini.
Con Andrea ed Emanuele non s’era più incontrata. Sei anni. Parevano una vita.

Morto in un incidente. Così aveva detto Emanuele. Lucia, preparandosi a quell'ora inusuale, ogni tanto si affacciava alla finestra per vedere comparire l'automobile di Emanuele. Arrivò infine. Lei scese di corsa. Si trovarono di fronte. Due amici diventati un po' estranei in quegli anni.

"Non sapevo se telefonarti. Poi ho pensato che in fondo era giusto che ti informassi", le disse Emanuele mentre salivano in macchina. Si girò un attimo, guardandola "E poi, non mi dispiaceva avere un'occasione per rivederti".
"Fa piacere anche a me" disse Lucia sorridendo. Avevano tante cose da raccontare, tanto tempo da riassumere, almeno un po', tante cose da ricordare. L'automobile creava un ambiente ovattato e discreto in cui i pensieri si distendevano morbidi.
"Ti confesserò - disse Emanuele ad un tratto - che tante
volte ho sperato che tu e Andrea vi lasciaste. Mi piacevi ma non potevo fare torto a mio fratello. Così preferivo sognare che a un certo punto vi sareste lasciati e io avrei preso il suo posto".
Lucia lo guardò stupita.
"Ma poi - riprese Emanuele come parlando tra sé - quando effettivamente, dopo parecchi anni, questo avvenne io ero via, in Canada e, quando sono ritornato, ho saputo che non vivevi più a Milano e che ti eri sposata". Deglutì. La guardò di traverso per vedere la sua espressione. Poi proseguì veloce "E poi chissà se tu mi avresti voluto".

Erano arrivati a Iselle. Breve attesa, poi imbarcarono l'automobile sul treno. Seduta in vettura, in attesa di imboccare il tunnel, Lucia sistemò in borsetta le poche cose che aveva portato con sè e nella mente le parole inaspettate dell'amico. In fondo le facevano piacere. S'era accorta tanti anni prima di come lui la guardasse ma erano solo sue supposizioni. Ora sentirglielo dire le dava uno strano piacere. Inopportuno se vogliamo in quel giorno.
Il treno cominciò a correre nel buio del tunnel con rumore assordante . L'automobile sembrava voler scivolare nelle viscere della terra.
D'un tratto Lucia sentì sulle sue la mano di Emanuele. Gli si strinse contro. Si abbracciarono a lungo. Il treno correva e il buio sembrava avvolgerli complici, sembrava voler creare attorno a loro quell'atmosfera irreale dove tutto poteva compiersi. Venti lunghissimi minuti per baci e carezze che mai la luce avrebbe conosciuto.

Riemersi un po' intontiti e abbagliati si guardarono in faccia. Lucia stava per parlare ma poi pensò che qualsiasi parola avrebbe banalizzato quel momento. Si chiedeva perchè, dopo tanti anni di amicizia, proprio in quella circostanza terribile avessero avuto il coraggio di amarsi un poco. Forse il pensiero della morte così vicina era stato, nella sua potenza, capace di annullare quelle riserve che altrimenti li avrebbero frenati.
Anche Emanuele taceva. Si chiedeva perché mai avesse strappato quegli attimi di gioia in un momento così inopportuno. Gli sembrava di aver tradito il fratello e si chiedeva impietoso se avesse in qualche modo voluto profanarne il giorno del funerale. Il funerale di un fratello di cui a lungo era stato il rivale. E perdente per giunta. No, era troppo doloroso pensarlo. Forse era meglio fare come tutti gli altri, accettare che quanto era accaduto fosse stato soltanto casuale.
Era stato solo un momento di irrazionale trasporto, complici quel lungo tunnel, il caldo, il buio. Un attimo da dimenticare.
Lo sapevano entrambi, guardandosi negli occhi senza rimorsi, amici come prima ma un po' più intimi e un po' più felici, in quella torrida giornata di luglio mentre abbracciavano parenti e amici e si univano al dolore degli altri.



Le due amiche

Quel pomeriggio Gabriella ritornò a casa in preda ad un’incredibile tristezza. Assurda se vogliamo. In fondo non c'era nessuna ragione per essere triste. La sua migliore amica le aveva solamente confidato di essere rimasta incinta. Ed allora?

Mise la chiave nella serratura ed aprì. La casa era silenziosa. Come sempre. Suo marito sarebbe rientrato tardi.
Sedette su un divano comodo. Come era stata la sua vita. In fondo che cosa le mancava? Di che cosa avevano bisogno? Così aveva sempre predicato la sua amica. Un lavoro ed una casa erano anche troppo. Non avrebbero avuto tempo per un figlio. E poi c'erano i viaggi, i pomeriggi in palestra, un po' di tennis, gli amici. Certo nella sua vita non si era annoiata. Una giornata lunghissima di sole, godibile e goduta. Ma...

A vent'anni avrebbe voluto dei figli, una casa piena di bambini, e chiasso e gioia. Avrebbe voluto abitare in una grande fattoria sopra una collina e avere attorno tanti prati e tanto cielo.
E invece erano vissuti in città, un appartamentino di due stanze. Francesco doveva finire gli studi, lei aveva cominciato a lavorare, di figli non s'era parlato nemmeno. Francesco le diceva "Non ti basto io? Non vorrei condividerti con dei marmocchi che ti sottrarrebbero tutto il tempo. Non mi guarderesti neppure." Gabriella sorrideva. Si sentiva amata e felice. E poi c'era il suo lavoro.

Nell'ufficio in cui lavoravano lei ed Isa i nuovi le confondevano sempre.
Bionde, piccoline, eleganti, sembravano due sorelle. Avevano vissuto assieme quei quindic'anni, ridendo o lamentandosi, chiacchierando e lavorando, e poi, fuori ufficio, si vedevano nei fine settimana per andare a cena con i mariti o a fare qualche piccolo viaggio.

Quella sera non preparò neppure la cena. Si sdraiò sul divano. E si mise a pensare.
"Un errore" aveva detto Isa "E' stato un errore. Mica che mi sia convinta all'improvviso. E' stato con Ugo".
Gabriella l'aveva guardata sbigottita
"Sei sicura?"
"Certissima. Piero era via".
"E quando lo verrà a sapere?"
"Non lo saprà. Nascerà prematuro"
Ugo era quello che Isa definiva "il suo amante a tempo", quello che si accontentava degli sprazzi di mesi in cui suo marito era via per lavoro. La accompagnava a teatro, le faceva compagnia la sera...
Gabriella non aveva mai capito come, senza il minimo scrupolo o rimorso, Isa avesse sempre padroneggiato la sua vita.
Ed ora si ritrovava quella gravidanza estemporanea e non voluta, eppure rideva ed era felice.

Gabriella invece non era felice. Si sentiva più sola che mai ora che Isa era incinta. Si sentiva tradita.

"Sei bellissima" le disse Piero al suo ritorno dagli Stati Uniti, vedendola alla stazione. "Che novità mi racconti?"
Isa non aveva detto nulla e gli aveva raccontato di quei mesi, del suo lavoro, di Gabriella.
Erano andati a cena fuori assieme.

"Hai qualcosa di speciale questa sera" Insisteva Piero come se la vedesse per la prima volta.

Effettivamente la maternità le donava. Man mano che passavano i mesi si sentiva più serena, la sua pelle era diventata più sottile e turgida, le sue guance più colorite. Mangiava di più e si sentiva a dispetto di tutto in splendida forma.