Il
tunnel
"Vengo
a prenderti domattina. Stresa, Domodossola. Poi in treno passiamo
in Svizzera. Andrea viveva a Brig."
Lucia ascoltava ancora sconvolta. "Sì, certo, se si
riesce
a ritornare in giornata. Mi sarebbe difficile lasciare Mauro solo
con i bambini."
Presero gli ultimi accordi. Poi Lucia riattaccò.
La telefonata di Emanuele, che le chiedeva di prendere parte al
funerale di suo fratello Andrea, l'aveva sconvolta.
Ricordava gli anni del liceo e dell'università quando lei
era la ragazza di Andrea. Anni inquieti, un po' acerbi, ancora
vivi nel suo pensiero.
Poi aveva incontrato Mauro ed avevano deciso di sposarsi. Avevano
lasciato Milano, s'erano sistemati in una villetta sul Lago Maggiore.
Erano nati i bambini.
Con Andrea ed Emanuele non s’era più incontrata.
Sei anni. Parevano una vita.
Morto in un incidente. Così aveva detto Emanuele. Lucia,
preparandosi a quell'ora inusuale, ogni tanto si affacciava alla
finestra per vedere comparire l'automobile di Emanuele. Arrivò
infine. Lei scese di corsa. Si trovarono di fronte. Due amici
diventati un po' estranei in quegli anni.
"Non
sapevo se telefonarti. Poi ho pensato che in fondo era giusto
che ti informassi", le disse Emanuele mentre salivano in
macchina. Si girò un attimo, guardandola "E poi, non
mi dispiaceva avere un'occasione per rivederti".
"Fa piacere anche a me" disse Lucia sorridendo. Avevano
tante cose da raccontare, tanto tempo da riassumere, almeno un
po', tante cose da ricordare. L'automobile creava un ambiente
ovattato e discreto in cui i pensieri si distendevano morbidi.
"Ti confesserò - disse Emanuele ad un tratto - che
tante
volte ho sperato che tu e Andrea vi lasciaste. Mi piacevi ma non
potevo fare torto a mio fratello. Così preferivo sognare
che a un certo punto vi sareste lasciati e io avrei preso il suo
posto".
Lucia lo guardò stupita.
"Ma poi - riprese Emanuele come parlando tra sé -
quando effettivamente, dopo parecchi anni, questo avvenne io ero
via, in Canada e, quando sono ritornato, ho saputo che non vivevi
più a Milano e che ti eri sposata". Deglutì.
La guardò di traverso per vedere la sua espressione. Poi
proseguì veloce "E poi chissà se tu mi avresti
voluto".
Erano arrivati a Iselle. Breve attesa, poi imbarcarono l'automobile
sul treno. Seduta in vettura, in attesa di imboccare il tunnel,
Lucia sistemò in borsetta le poche cose che aveva portato
con sè e nella mente le parole inaspettate dell'amico.
In fondo le facevano piacere. S'era accorta tanti anni prima di
come lui la guardasse ma erano solo sue supposizioni. Ora sentirglielo
dire le dava uno strano piacere. Inopportuno se vogliamo in quel
giorno.
Il treno cominciò a correre nel buio del tunnel con rumore
assordante . L'automobile sembrava voler scivolare nelle viscere
della terra.
D'un tratto Lucia sentì sulle sue la mano di Emanuele.
Gli si strinse contro. Si abbracciarono a lungo. Il treno correva
e il buio sembrava avvolgerli complici, sembrava voler creare
attorno a loro quell'atmosfera irreale dove tutto poteva compiersi.
Venti lunghissimi minuti per baci e carezze che mai la luce avrebbe
conosciuto.
Riemersi un po' intontiti e abbagliati si guardarono in faccia.
Lucia stava per parlare ma poi pensò che qualsiasi parola
avrebbe banalizzato quel momento. Si chiedeva perchè, dopo
tanti anni di amicizia, proprio in quella circostanza terribile
avessero avuto il coraggio di amarsi un poco. Forse il pensiero
della morte così vicina era stato, nella sua potenza, capace
di annullare quelle riserve che altrimenti li avrebbero frenati.
Anche Emanuele taceva. Si chiedeva perché mai avesse strappato
quegli attimi di gioia in un momento così inopportuno.
Gli sembrava di aver tradito il fratello e si chiedeva impietoso
se avesse in qualche modo voluto profanarne il giorno del funerale.
Il funerale di un fratello di cui a lungo era stato il rivale.
E perdente per giunta. No, era troppo doloroso pensarlo. Forse
era meglio fare come tutti gli altri, accettare che quanto era
accaduto fosse stato soltanto casuale.
Era stato solo un momento di irrazionale trasporto, complici quel
lungo tunnel, il caldo, il buio. Un attimo da dimenticare.
Lo sapevano entrambi, guardandosi negli occhi senza rimorsi, amici
come prima ma un po' più intimi e un po' più felici,
in quella torrida giornata di luglio mentre abbracciavano parenti
e amici e si univano al dolore degli altri.
Le
due amiche
Quel
pomeriggio Gabriella ritornò a casa in preda ad un’incredibile
tristezza. Assurda se vogliamo. In fondo non c'era nessuna ragione
per essere triste. La sua migliore amica le aveva solamente confidato
di essere rimasta incinta. Ed allora?
Mise la chiave nella serratura ed aprì. La casa era silenziosa.
Come sempre. Suo marito sarebbe rientrato tardi.
Sedette su un divano comodo. Come era stata la sua vita. In fondo
che cosa le mancava? Di che cosa avevano bisogno? Così
aveva sempre predicato la sua amica. Un lavoro ed una casa erano
anche troppo. Non avrebbero avuto tempo per un figlio. E poi c'erano
i viaggi, i pomeriggi in palestra, un po' di tennis, gli amici.
Certo nella sua vita non si era annoiata. Una giornata lunghissima
di sole, godibile e goduta. Ma...
A vent'anni avrebbe voluto dei figli, una casa piena di bambini,
e chiasso e gioia. Avrebbe voluto abitare in una grande fattoria
sopra una collina e avere attorno tanti prati e tanto cielo.
E invece erano vissuti in città, un appartamentino di due
stanze. Francesco doveva finire gli studi, lei aveva cominciato
a lavorare, di figli non s'era parlato nemmeno. Francesco le diceva
"Non ti basto io? Non vorrei condividerti con dei marmocchi
che ti sottrarrebbero tutto il tempo. Non mi guarderesti neppure."
Gabriella sorrideva. Si sentiva amata e felice. E poi c'era il
suo lavoro.
Nell'ufficio in cui lavoravano lei ed Isa i nuovi le confondevano
sempre.
Bionde, piccoline, eleganti, sembravano due sorelle. Avevano vissuto
assieme quei quindic'anni, ridendo o lamentandosi, chiacchierando
e lavorando, e poi, fuori ufficio, si vedevano nei fine settimana
per andare a cena con i mariti o a fare qualche piccolo viaggio.
Quella sera non preparò neppure la cena. Si sdraiò
sul divano. E si mise a pensare.
"Un errore" aveva detto Isa "E' stato un errore.
Mica che mi sia convinta all'improvviso. E' stato con Ugo".
Gabriella l'aveva guardata sbigottita
"Sei sicura?"
"Certissima. Piero era via".
"E quando lo verrà a sapere?"
"Non lo saprà. Nascerà prematuro"
Ugo era quello che Isa definiva "il suo amante a tempo",
quello che si accontentava degli sprazzi di mesi in cui suo marito
era via per lavoro. La accompagnava a teatro, le faceva compagnia
la sera...
Gabriella non aveva mai capito come, senza il minimo scrupolo
o rimorso, Isa avesse sempre padroneggiato la sua vita.
Ed ora si ritrovava quella gravidanza estemporanea e non voluta,
eppure rideva ed era felice.
Gabriella invece non era felice. Si sentiva più sola che
mai ora che Isa era incinta. Si sentiva tradita.
"Sei
bellissima" le disse Piero al suo ritorno dagli Stati Uniti,
vedendola alla stazione. "Che novità mi racconti?"
Isa non aveva detto nulla e gli aveva raccontato di quei mesi,
del suo lavoro, di Gabriella.
Erano andati a cena fuori assieme.
"Hai qualcosa di speciale questa sera" Insisteva Piero
come se la vedesse per la prima volta.
Effettivamente la maternità le donava. Man mano che passavano
i mesi si sentiva più serena, la sua pelle era diventata
più sottile e turgida, le sue guance più colorite.
Mangiava di più e si sentiva a dispetto di tutto in splendida
forma.